La carne di cinghiale regala un sapore molto particolare e molto apprezzato, soprattutto dagli appassionati di selvaggina. Questo ingrediente arricchisce i piatti – specialmente quelli autunnali e invernali – con molte proteine e pochi grassi. Brasati, spezzatini, ragù, ma anche al forno: scopriamo come cucinare il cinghiale in poche e semplici mosse.
Il cinghiale (Sus scrofa) – antenato selvatico del maiale – è oggi diffuso in tutta l’area del Mediterraneo. La sua carne è molto gustosa. Oggi, grazie agli allevamenti in tutta Italia, è reperibile più facilmente, anche se non si è nei periodi di caccia tradizionali; si trova anche nei grandi supermercati, soprattutto tra i surgelati. Unisce al sapore della carne suina quello della cacciagione.
La carne di cinghiale è piuttosto fibrosa: si presta bene alle cotture in padella e in umido, a stufati e brasati e soprattutto in sugo. Rende bene anche arrostita e allo spiedo, ma in questo caso deve essere preventivamente lardellata affinché non si asciughi troppo.
La qualità e i tagli della carne utilizzati del cinghiale sono uguali a quelli che consumiamo del maiale. Per la loro polposità vengono prediletti i tagli della coscia, che con spalla e carrè sono adatti al ragù ma anche alle cotture al forno; per brasati e spezzarini si utilizzano pancia e stinco; in padella e alla griglia ideali le costolette e il filetto.
Quando si acquista la carne di cinghiale è importante che sia visibile il certificato antitrichine, per essere sicuri che l’animale non sia stato infettato dalle trichine, vermi nematodi che si trasmettono all’uomo. Se si sta acquistando la carne di un maschio adulto, bisogna fare attenzione al fatto che l’animale non sia stato abbattuto tra novembre e gennaio (durante la stagione degli amori), altrimenti si rischia che la sua carne abbia un odore penetrante e un sapore sgradevole.
Prima di consumare la carne di cinghiale, è necessario procedere con il processo di frollatura, successivo alla caccia (questa operazione può essere fatta anche congelando la carne, una volta ben sgocciolata dal sangue). Per ottenere risultati migliore bisognerebbe avere un abbattitore di temperatura, ma basta anche un buon congelatore.
La marinatura serve per ammorbidirla e per togliere alla carne il gusto troppo selvatico: la tipica marinata prevede una notte in infusione in frigorifero in una ciotola con 1 litro di vino rosso e una cipolla, una carota, una costa di sedano, uno spicchio d’aglio e spezie (chiodi di garofano e pepe). Se la ricetta è in agrodolce, si può marinare il cinghiale con aceto (1 bicchiere/chilo) e aromi. Alcuni utilizzano una marinatura con il latte, 500 ml/chilo di carne. Se la carne è cotta alla griglia, conviene sempre bagnarla con la marinatura.
In base all’età dell’animale, questa carne ha vari tipi di preparazione:
La carne di cinghiale viene usata per la preparazione di molti piatti. Si presta molto bene alla preparazione di spezzatini, umidi e per realizzare sughi e ragù con cui condire dei primi piatti. La sua cottura ha tempi un po’ lunghi, ma il risultato ripagherà di tutti gli sforzi fatti.
Ne sono un classico esempio le pappardelle al ragù di cinghiale (foto sopra), da tutti conosciute. Altri piatti molto apprezzati sono lo spezzatino di cinghiale al vino (realizzato con il cosciotto, tagliato a pezzi e lasciato a bagno in acqua e aceto per 12 ore) e il cinghiale in umido. ottimo anche con la polenta: il sapore rustico delle farine di mais gialla o taragna, ben si sposa con l’aroma selvatico della selvaggina. Ricette molto conosciute sono anche il cinghiale in dolceforte, con cioccolato fondente e cannella tra gli ingredienti, le tagliatelle al ginepro impreziosite da tartufo oppure ancora pappardelle, arricchite dai porcini; Da provare il cinghiale al Merlot con purea al finocchio e sedano rapa e le braciole con fagioli di Sorana.
I piatti con la selvaggina – come cervo, capriolo, lepre e cinghiale – amano vini rossi complessi, intensi e resistenti. Il cinghiale, specie se preparato in agrodolce, vuole un vino rosso di media evoluzione, caldo e morbido, sapido come un vino nobile di Montepulciano Riserva (Toscana), o un Taurasi Riserva (Campania).
Francesca Tagliabue
aggiornato agosto 2024
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