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News ed EventiNewsSaranno frutti antichi, ma sono molto moderni

Saranno frutti antichi, ma sono molto moderni

L'anguria di Bagnocavallo e il melone zatta, la pesca sanguinella e la biricoccola: alla scoperta dei frutti antichi dimenticati (e ora recuperati) dell'estate italiana.

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Missing, desaparecidos, scomparsi (dalla tavola): chiamateli come volete, perché tanto il succo non cambia. Si tratta sempre di prodotti agricoli o alimentari un tempo molto comuni, consumati per secoli, e poi passati nel dimenticatoio, perché superati da nuove varietà, più moderne e produttive.

Mai assaggiato una biricoccola o un melone zatta? Erano molto diffusi in Italia, un paese considerato per secoli il frutteto del Mediterraneo. Ma la commercializzazione dei semi brevettati e la meccanizzazione dell’agricoltura hanno ridotto il numero dei frutti coltivati: se 200 anni fa ne avevamo più di 8000 varietà, oggi siamo a quota 2000. A salvarle dall’estinzione sono stati tanti agricoltori, molti appassionati e alcuni inconsapevoli “custodi” di semi tipici e locali. Tante tessere di un puzzle che ora si sta componendo e che sta diventando sempre più grande. Grande quanto l’Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. La riscoperta dei prodotti agricoli e alimentari tradizionali è diventata un vero e proprio un movimento che coinvolge tutti, dagli agricoltori ai commercianti ai consumatori. E l’estate è (probabilmente) la stagione migliore per fare di un po’ di “archeologia arborea” e scoprire i frutti antichi che mangiavano i nostri nonni e bisnonni.

Cocomere
Da nord a sud queste Cucurbitacee hanno accompagnato, dissetato e rinfrescato generazioni di italiani. E ogni zona ha la sua tipicità. A Bagnacavallo, nel ravennate, si coltiva una cocomera dalla scorza di colore verde pallido, striata di scuro, e dalla polpa rosata e delicata. Creduta scomparsa, è stata rintracciata in Canada, come racconta Morello Pecchioli nel suo interessante e curioso libro “I frutti dimenticati” (edito da Gribaudo) e riportata nella sua terra natale, dove oggi viene coltivata da alcune aziende ortofrutticole del ravennate, anche in modo biologico. E’ una tipicità della Sardegna l’anguria di Gonnosfanadiga, dalla forma allungata, dalla buccia verde scuro e dalla polpa di colore rosso scuro e molto zuccherina: ritenuta fino agli anni ’60 tra le migliori produzioni agricole dell’isola ma diventata via via più rara finché una comunità di agricoltori l’ha recuperata e rimessa in coltivazione in quest’area del cagliaritano.

Meloni
Compare già in un quadro del ‘500, dipinto tra i prodotti più pregiati destinati alla tavola dei signori rinascimentali, tanto che veniva chiamato “il melone del papa”. Allora era considerato una delizia, più o meno come lo è oggi dai pochi che lo conoscono e ne apprezzano il sapore dolce e il profumo intenso. Che sia stato il suo aspetto bitorzoluto a far dimenticare il melone zatta, così brutto da essere chiamato anche “melone rospo” e “melone rognoso”? Meglio non fermarsi all’apparenza e andare a cercare questo melone, coltivato dalla Lombardia alla Toscana, e squisito in macedonie, torte, gelatine, frullati, gelati e sorbetti. Il nome è ostico ma il sapore squisito e dolcissimo: il Porceddu di Alcamo ovale, dalla buccia verde scura e rugosa, è un melone antico e rustico, che si coltiva in asciutto nel trapanese. Dura a lungo (si consuma anche a Natale), anzi la polpa bianca e succosa si addolcisce nel tempo. E’ molto usato in gelati e granite ed è un Presidio Slow Food. Sembra un enorme cetriolo e si mangia come se lo fosse, ma in realtà è un melone (quindi appartiene alla stessa famiglia botanica) e si chiama serpente. Noto come tortarello o melone armeno, ha la buccia verde e rugosa, e la polpa chiara e soda. Al naturale è poco saporito: ma basta condirlo con sale, olio e limone e gustarlo in insalata per apprezzarne la freschezza e la digeribilità. Da provare anche nel gazpacho.

Pesche e susine
L’estate è il tempo delle pesche, uno dei frutti per cui l’Italia è famosa in tutta Europa. A fianco della produzione moderna, sopravvivono varietà antiche sorprendenti. Come la pesca sanguinella, che arriva in agosto e si fa riconoscere per la buccia di colore rosso antico e per la polpa vermiglia, che l’hanno fatta chiamare anche “pesca da vino” e “pesca del sangue”. Intensamente acquosa e molto delicata, dura pochi giorni e va consumata subito, magari affogata in una coppa di vino rosso. Tutti abbiamo sentito parlare della biricoccola, ma quanti di noi sanno cos’è? Pronta risposta: è un incrocio naturale tra susina e albicocca. Dalla prima ha preso il sapore leggermente acidulo e piacevolmente asprigno, mentre alla seconda deve il profumo e la buccia liscia o solo leggermente ruvida. E’ diffusa soprattutto nel bolognese e nella zona vesuviana, a cui corrispondono due differenti varietà. Entrambe sono deliziose da consumare fresche o da usare, come si faceva un tempo, per fare confetture, sorbetti e vari tipi di dolci, soprattutto crostate e frittelle ripiene.

Pere
Cominciamo dalla spadona, la varietà che matura tra agosto e ottobre, a seconda delle zone, ed è diffusa in gran parte d’Italia (a Castel Madama le viene dedicata, ogni luglio, una grande sagra). Il frutto è piccolo e oblungo, ha buccia verde e polpa bianca, di una grana finissima, dolce e succosa. Antica e poco nota è anche la pera mandorlina, molto usata da Bartolomeo Scappi, il cuoco personale di papa Pio V che ha firmato il primo best seller di cucina. Appena colta è aspra e dura, ma col passare del tempo diventa morbida e dolce, perfetta da far bollire nel vino o da lessare e condire con un po’ di sale, come si fa con le patate. Ma si usa anche per fare gelatine, confetture e sciroppi.

Manuela Soressi
agosto 2017

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