Stuzzicante dell’appetito come della passione, questo diavoletto vegetale prediletto dall’imperatore Montezuma, dal 1492 continua a conquistare estimatori in tutto il mondo grazie al navigatore genovese, che lo caricò sulle sue caravelle
Esalta i sapori, dona un inconfondibile pizzichino a piatti e bevande, prima tra tutte la cioccolata calda. Il peperoncino, così familiare alla cucina del nostro Sud, re dei mitici spaghetti con aglio e olio della cucina romanesca, poi adottati da tutto il Paese in allegria, diventati sinonimo del conviviale tra amici. Non solo: il peperoncino, in giuste dosi, esalta ogni piatto, anche le più semplici minestre, e contrassegna piatti mitici come le penne all’arrabbiata, gli spaghetti alla puttanesca, la pasta all’amatriciana, i bucatini alla corsara, la pasta alla carrettiera per parlare dei soli primi, ma caratterizza anche il pollo alla diavola, il coniglio all’ischitana, il sauté di vongole, le seppioline piccanti, salse come il bagnet ross piemontese, la Worcestershire, la catalana romesco, il chimichurri, i chutney, l’harissa, il Tabasco. Perfino la frutta esotica (si sposa benissimo con ananas e papaya, mango, melone), cioccolatini e torte, l’elenco è lunghissimo.
I reali di Spagna concedono le caravelle a Colombo Sconosciuto al Vecchio Mondo, il peperoncino arrivò sul continente europeo – che fino a quel momento si affidava al tocco piccante del solo pepe, anch’esso originario di altri lidi – proprio perché un navigatore e mercante marittimo genovese decise di cercare il pepe e altre spezie orientali… passando da Occidente.
Fu così che nel 1492 Cristoforo Colombo, finanziato – oggi si direbbe sponsorizzato – dai regnanti di Spagna, Fernando e Isabella di Castiglia – partì da Palos per arrivare nelle Indie.
Sbarcato finalmente su un’isola che chiamò San Salvador (probabilmente una delle Bahamas), Colombo “scoprì” le Americhe fino a quel momento sconosciute, incontrando una moltitudine di alimenti e prodotti mai visti nel mondo che aveva lasciato. Tra questi, c’era il peperoncino, la ‘spezia infuocata’, il ‘pepe d’India’ o ‘pepe delle Molucche’.
Colombo sbarca sull'isola che chiamerà San Salvador Sbarcato finalmente su un’isola che chiamò San Salvador (probabilmente una delle Bahamas), “scoprì” le Americhe fino a quel momento sconosciute, incontrando una moltitudine di alimenti e prodotti mai visti nel mondo che aveva lasciato. Tra questi, c’era il peperoncino, la ‘spezia infuocata’, il ‘pepe d’India’ o ‘pepe delle Molucche’.
I conquistadores arrivati nelle Americhe dopo Colombo si limitarono a chiamarlo “pimiento”, cioè pepe in spagnolo. Sarà solo intorno al 1600 che in Italia da pepe si passerà a peperone (il più grande ortaggio della stessa famiglia, privo però di capsaicina, alcaloide che dà la piccantezza) fino ad arrivare al più recente, novecentesco, ‘peperoncino’.
Di ritorno dal secondo viaggio nel 1493, tornato in Spagna, Colombo portò il peperoncino in dono ai sovrani di Spagna, spiegando che gli indigeni ne facevano largo uso per insaporire i cibi, e ne sottolineò i poteri medicamentosi (stimola il corpo a rilasciare endorfine, con effetto analgesico ed euforizzante).
La nuova spezia piacque molto ai palati aristocratici, e i sovrani intravidero un’opportunità di lucroso commercio con la sua importazione, progetto che però svanì a breve: il peperoncino, infatti, sembrò gradire molto il nuovo ambiente e attecchì subito in tutto il sud del Vecchio Continente. In alcune regioni del nostro Sud dove la cucina tradizionale è povera come (Calabria, Puglia, Basilicata, Abruzzo e Marche) è uso comune coltivare in casa o nell’orto il peperoncino, presente anche in insaccati locali come ‘nduja, soppressate, salsicce e capicollo.
Spaghetti aglio, olio e peperoncino Ce ne sono ovviamente moltissimi, alcuni molto celebri. Il primo a proporre ricette con il peperoncino fu Vincenzo Corrado, gastronomo alla corte napoletana, che insieme a Ippolito Cavalcanti ne scrive nel XVIII secolo. Brillat-Savarin del 1825 non lo cita nel suo libro di Fisiologia del gusto e Pellegrino Artusi non ne parla nella sua Scienza in cucina, il trattato in cui codifica la cucina italiana. Nel 1983 una ricetta di Spaghetti, aglio, olio e peperoncino è presente nel libro Gentiluomo in cucina di Livio Cerini.
Tra gli entusiasti del peperoncino ci sono Isabel Allende, scrittrice nata in Perù e cresciuta in Cile, che nel suo Afrodita descrive il peperoncino come “…il fiero elemento di tutti quei piatti esotici che lasciano la bocca in fiamme e stimolano immaginazione e appetito amoroso”.
Un altro fan fu il poeta Gabriele D’Annunzio, noto per le sue liriche guerresche ed amorose: ne era appassionato al punto di dedicare una poesia al peperoncino calabrese, Ode al diavolicchio, che esalta il brodetto di pesce della terra d’Abruzzo. Appassionati della sua fiera natura furono anche l’attore Gregory Peck, il cantante Frank Sinatra, la pittrice messicana Frida Kahlo che amava cucinare il mole, specialità che richiede diversi tipi di peperoncino, cioccolato, noci, cannella e sesamo e Filippo Tommaso Marinetti, che lo inserì nel suo primo pranzo futurista.
In genere, i peperoncini piccoli sono più piccanti di quelli grandi, i rossi freschi sono 2-3 volte più piccanti di quelli verdi, e quelli essiccati, che sono più concentrati, sono da 2 a 10 volte più piccanti di quelli freschi.
Oggi si misura il grado di piccantezza delle centinaia di varietà di peperoncino con la Scala di Scoville (da 1 a 10), che suggerisce di abbinare quelli di gradazione alta alle carni, media ai primi e alla pasta, e di usare quelli a bassa gradazione con il pesce e nei dolci. Non resta che cominciare…
Francesca Tagliabue
ottobre 2025