Risaie ricostruite in piazza Castello a Torino con assaggio di insalata di riso alla piemontese, sfilata sul Canal Grande a Venezia, degustazione di risotto allo zafferano sotto il nuovo palazzo della Regione a Milano: sono iniziative (anche) provocatorie quelle dei produttori italiani di riso aderenti a Coldiretti, che oggi lasciano i campi coltivati per protestare nei grandi capoluoghi del nord. Obiettivo? Contrastare le importazioni a dazio zero dai Paesi meno avanzati. E se da un canto invitano i consumatori a scoprire la qualità del cereale italiano, dall'altro chiedono alle istituzioni un intervento deciso presso l'Unione Europea per tutelare un settore sempre più in crisi.
A provocare la concorrenza sleale ai nostri risicoltori è la normativa europea che abolisce i dazi sulle importazioni dai Paesi in via di sviluppo. E in questo settore sono in particolare Cambogia e Myanmar a esportare sempre più tonnellate di prodotto nell'Unione, sottraendo mercati al nostro riso grazie ai prezzi molto vantaggiosi. Così in Italia, che è il primo produttore europeo per quantità e qualità, si riducono le coltivazioni, chiudono imprese agricole, si perdono posti di lavoro.
Ma in questa guerra commerciale il fattore di preoccupazione maggiore è quello della sicurezza alimentare, perché i prodotti di origine asiatica sono trattati con pesticidi non autorizzati in Europa e non vengono sottoposti a corretti controlli sanitari. Come può difendersi allora il consumatore, dato che sulle confezioni non è indicato da dove arrivi il riso né dove sia stato lavorato? E come spiegare che la parola Arborio o Carnaroli sulla scatola non è necessariamente sinonimo di "italiano"? La tracciabilità del prodotto può essere il punto di partenza delle rivendicazioni, ma Coldiretti chiede una decisa inversione di tendenza: i prodotti importati devono rispondere agli stessi requisiti imposti ai produttori europei e vanno ripristinati i normali dazi doganali. Dopo tanto "Riso amaro" aspettiamo buone nuove.
Enza Dalessandri
11 luglio 2014
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