Succoso pane dei poveri: questo veniva considerato il fico d'India prima di diventare, anch’esso in pieno trend, cibo ricercato e corteggiato. Verga lo scriveva tutto attaccato, ficodindia, come amano ancora fare i siciliani e nonostante le coltivazioni siano in tutto il mondo, anche grazie alla sua resistenza all’aridità, la pianta è nativa del Messico. Qui in Italia però ci richiama il profondo sud dove, soprattutto in Sicilia, colora i paesaggi e le tavole. Tanto che proprio qui troviamo quello dell’Etna Dop, naturalmente biologico, che per primo ha ottenuto il riconoscimento europeo nel 2003. Quelle spine moleste che lo caratterizzano in realtà lo rendono edile per gli esseri umani, ma fanno sì che sia un frutto da trattare con sapienza, poichè per essere raccolto e gustato al meglio occorre usare qualche piccolo, ma importante accorgimento. Vediamo quali.
Del fico d’India innanzitutto si possono mangiare persino le pale (in insalata, fresche, candite, in salamoia, sottaceto, scottate sulla piastra o fritte) e i fiori e la polpa viene usata anche a fini terapeutici, come cicatrizzante. Ma il suo trionfo è il frutto, mangiato in quanto tale o declinato in marmellate, gelati e granite. Zuccheri, vitamine (soprattutto C), potassio, magnesio e antiossidanti: questo cibo ha proprietà notevoli e trasversali ed è considerato un ottimo diuretico. Infine, per chi non vuole eccedere a tavola, ricordate che regala un provvidenziale senso di sazietà.
Maneggiare con cura
Già ma una volta reperito e identificato, una volta deciso come proporlo e una volta ammirato ci si trova di fronte alla sua caratteristica principale: è pungente. Insomma, per arrivare al suo cuore tenero e alla sua polpa carnosa è necessario un piccolo esercizio di sbucciatura non troppo difficile, ma accurato.
Istruzioni per l’uso
Prima regola: dotatevi di guanti, possibilmente in pelle sintetica. Seconda regola: se tira vento e volete raccoglierli autonomamente, ancora tiepidi di sole, rimandate l’operazione perché quelle piccole e insidiose spine che li cospargono potrebbero volare via e “colpirvi”. Terza regola: una volta raccolti (o comprati a seconda di come vi vengono venduti, ma ricordate che anche se sbucciati le spine più piccole, glochidi, non vengono eliminate del tutto) mettere i colorati frutti in una bacinella d’acqua e lasciarli in ammollo per un’oretta, operazione propedeutica alla rimozione delle spine. A questo punto, quarta regola, vanno sbucciati, sempre ricordando di indossare i guanti e di non toccare direttamente il frutto. L’ideale sarebbe aiutarsi con una forchetta e un coltello, tagliare la parte finale, incidere la buccia nel senso della lunghezza e poi sbucciare il fico d’India naturalmente, poiché la buccia dovrebbe spontaneamente venire via accompagnando con il coltello il taglio dall’interno. Quinta regola: non affondare il coltello nella polpa. Sesta regola: gustarseli tutti, come finger food o in un’insalata di arance, olive e formaggio o ancora, semplicemente, in un’insalata di frutta.
E se ci pungiamo ugualmente?
Possibilissimo, nonostante tutti gli accorgimenti. Il fico d'india infatti ha ben due tipi di spina. Le prime sono grosse e appuntite e ovviamente più a rischio di infezione, mentre le seconde ricordano una sorta di peluria (i cosiddetti glochidi) e caratterizzano prevalentemente i frutti della pianta. Ma proprio i glochidi sono più molesti perchè si insinuano meglio e talvolta sono difficili da rimuovere. Nel caso c'è chi usa le pinzette, chi la colla (considerato il miglior antidoto) e chi addirittura il nastro adeesivo. I contadini, infine, usano una pompa d’acqua con getto ad alta pressione poichè, considerata la leggerezza delle spine, spesso un getto d’acqua forte riesce a rimuoverle.
Colori...
Sulfarinai, muscaredda o sanguigni, così definiti a seconda del colore (rispettivamente gialli, bianchi o rossi), è bene ricordare che i migliori sono i sanguigni: sono quelli con la polpa rosso rubino infatti e sono i più dolci e maturi al punto giusto. In questo periodo si stanno preparando a esplodere nell’isola siciliana, dove i primi esemplari vengono chiamati scozzolati mentre quelli tardivi, considerati più prelibati, si chiamano bastardoni (avete capito bene). Si possono raccogliere en plein air, utilizzando anche uno strumento chiamato “u coppu” (cilindro di metallo collegato ad un bastone), ma qualcuno la chiama caffittera, o trovare in qualsiasi baracchino, ai super e ai discount, e poi nelle sagre che celebrano questo frutto esotico e che sono tantissime in questo periodo.
Conservazione
Per la conservazione l’ideale è un contenitore di plastica o di acciaio inox, avvolgendoli con un canovaccio bagnato e ben strizzato. In questa modalità in frigo possono durare 3-4 giorni. Nel sud Italia infine si usa anche conservare i fichi d'India essiccandoli al sole. La morte sua? Con un prosecco o un delicato rosé.
Emanuela Di Pasqua
settembre 2018
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