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Luoghi e PersonaggiMade in ItalyCapperi di Pantelleria: venti giorni di sale, secoli di storia

Capperi di Pantelleria: venti giorni di sale, secoli di storia

Raccolti a mano sull'isola e conservati sotto sale, hanno sapore intenso e una fragranza speciale

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capperi di Pantelleria

"Venti giorni di sale, secoli di storia". Riassume così l’essenza del cappero di Pantelleria Igp uno dei produttori del prezioso frutto, attivo sull'isola da più di 60 anni. "Sale" perché è proprio la lenta maturazione in salamoia a conferire ai capperi, naturalmente amari e sgradevoli al gusto, il loro pregiato aroma e sapore.

Tradizione secolare perché gli arbusti dalle foglie verde scuro e i fiori bianco rosa crescono sull’isola fin dai tempi antichi, anche se la coltivazione è documentata da metà Ottocento. Con il suo terreno vulcanico e il clima caldo e ventoso, Pantelleria è infatti l’habitat ideale per gli arbusti dei capperi, che si allungano nei terrazzamenti con i muri a secco, dove crescono anche viti (celebri il Moscato e il Passito isolani) e ulivi.

Fiori non frutti

Di forma quasi sferica e di colore verde con sfumature senape, i capperi in realtà non sono i frutti della pianta ma i “bottoni fiorali” non ancora sbocciati. I frutti, chiamati cucunci (nella foto a sinistra), si formano invece quando il fiore appassisce e hanno forma allungata, con il picciolo. I bottoni vengono raccolti a mano appena germogliano, tra fine maggio e inizi di settembre, ma non si possono mangiare freschi perché troppo amari. Ed ecco l’importanza del sale, rigorosamente marino, con cui vengono ricoperti per una decina di giorni nei tini, mescolati con tocco sapiente dai contadini che si tramandano l’arte da generazioni.

L’acqua emessa dai bottoni fiorali e il sale creano una salamoia che serve a far maturare i capperi. Al primo periodo di riposo ne segue un secondo con meno sale finché sono pronti al consumo: fragranti, di consistenza carnosa e sapore deciso e piccante. Vengono venduti sotto sale, contrassegnati dal marchio Igp, dai produttori dell’isola, molti dei quali si sono riuniti nella Cooperativa Agricola Produttori Capperi.

Passapartout in cucina

Prima del consumo, i capperi vanno sciacquati e lasciati a bagno nell’acqua ma per conservarli vanno tenuti sotto sale, in un barattolo di vetro, in modo che non si secchino. In cucina sono particolarmente versatili. Quelli più piccoli e sodi sono i migliori per essere mangiati crudi: per guarnire le tartine, nell’insalata russa e in quelle di riso, negli antipasti come le uova farcite, i crostini con le acciughe, i peperoni e i pomodori ripieni, con il salmone affumicato. Ma sono ottimi anche sulla pizza, per insaporire la pasta con olive e acciughe o con l'"ammoghio" pantesco, cioè pomodoro fresco lavorato con una forchetta e insaporito con un trito di prezzemolo, origano e basilico. Da provare anche sul pesce e con le carni delicate, come coniglio, pollo e vitello.

I capperi più grandi e morbidi sono perfetti per le salse: le classiche verde e tonnata, e i sughi, come il pesto pantesco, a base di pomodoro crudo, olio d’oliva, aglio, basilico e peperoncino, usato sia per condire le paste sia per i pesci arrosto o le carni lessate. Fra le altre specialità isolane con i capperi è molto gustosa la sciakisciuka, una specie di caponata calda arricchita da formaggio stagionato e uova.

di Marina Cella, ricetta di Livia Sala, foto di Maurizio Lodi

ricetta tradizionale

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