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Luoghi e PersonaggiPersonaggiEugenio Boer, un cuoco tra futuro e memoria

Eugenio Boer, un cuoco tra futuro e memoria

Goloso e curioso, assaggia tutto e riporta tutto nei suoi piatti, filtrato dalla sua sensibilità. Lo chef italo-olandese Eugenio Boer si racconta in questa intervista

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Un piccolo panino al latte, un carpaccio di lingua cotta a 52° gradi per 80 ore (sì, 80 ore: non è un refuso!), una composta di cipolla rossa e l'immancabile salsa verde: è l'omaggio al cibo da strada portato dallo chef Eugenio Boer sul palco della Street Food Experience, la kermesse gastronomica targata Sale&Pepe che ha animato il Fuorisalone milanese al Ventura District.

Un piccolo assaggio, perfetto nella sua essenzialità.

Del resto, Essenza è il nome del ristorante (in via Marghera 34, a Milano) in cui Eugenio esprime il suo pensiero.

Un nome scelto dai titolari del locale, ma che calza a pennello allo chef italo-olandese: "Che faccia un piatto barocco o uno semplice, quello che cerco sono i sapori netti", precisa Eugenio.

Niente mezze misure ma un lavoro che ruota attorno al cuoco, al suo modo di percepire ciò che lo circonda e alla sua storia.

"La mia è una cucina propositiva che nasce da quello che ho visto e vissuto", spiega Boer. "Sono goloso e curioso, assaggio tutto e riporto tutto nei miei piatti, filtrato dalla mia sensibilità e dal confronto con gli altri, la mia compagna prima di tutto, ma anche i clienti e le critiche. Sì, critica può essere una bella parola. Perché ascoltare è importante".

Così, il suo lavoro è un mix tra condivisione e memoria. In continua evoluzione: "Vedrò sempre altre cose e avrò sempre nuovi ricordi da tradurre nei miei piatti". Mai uguali a loro stessi: il menu, decisamente legato alla stagionalità, cambia 4 volte all'anno e, in poco più di 15 mesi dall'apertura, Eugenio ha creato più di 100 piatti: "147, per la precisione", sottolinea soddisfatto. Spesso mescolando sapori vicini e lontani per nuove, inaspettate suggestioni. Così, curiosando fra le proposte primaverili, scopriamo che la cervella e la crema del fritto all'italiana si sposano alla sapidità marina della salicornia e all'acidità piccante del kimchi coreano. Il Mediterraneo si esprime in tortelloni neri alle cozze con limone, zafferano e ricci di mare. L'agnello incontra la bottarga, il piccione va "in vacanza in Giappone", cucinato con katsuobushi (tonnetto essiccato e affumicato), fagioli azuki, alga nori e umeboshi, un acidulato di prugne tipico della cucina del Sol Levante.

Solo alcuni esempi di una carta che, assaggio dopo assaggio, invita al ricordo: di una vacanza in Sicilia, di un viaggio dall'altra parte del mondo, o della propria infanzia. Come succedeva con i Poffertjes, frittelline olandesi con una salsa al biscotto Plasmon: un dessert del menu invernale caratterizzato da un gusto immediatamente riconoscibile che faceva tornare subito tutti bambini.

Perché la buona tavola, in fondo, può essere anche un gioco se interpretata da uno chef creativo che non dimentica le sue radici, dove è stato e dove andrà.

(Ph. F. Cicogna)

Roberta Fontana
22 aprile 2016

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