Prima di un sorso c’è sempre uno sguardo. Il colore del vino cattura e anticipa tutto: freschezza, maturità, emozioni. Basta inclinare il calice per leggere un mondo di sfumature, dai bagliori dorati dei bianchi ai lampi di un tramonto nei rosati fino ai rossi profondi che raccontano del tempo e dei legni. Saper cogliere tutto questo è un viaggio nel linguaggio più silenzioso e affascinante del vino
L’amore per una bottiglia di vino è un’emozione a prima vista. Un colpo di fulmine che parte dagli occhi: il profilo della bottiglia, il fascino dell’etichetta ma soprattutto lui, il colore. È il segnale che cattura e incuriosisce prima ancora del profumo e del gusto. Oro, rubino, granato, corallo: un calice è una tavolozza di tonalità e ogni sfumatura racconta una storia. Sommelier ed esperti di marketing concordano che, dapprima, si beve con gli occhi. Negli ultimi vent’anni il colore del vino è diventato una vera leva emozionale e commerciale, soprattutto per bianchi e rosati, sempre più spesso imbottigliati in vetri trasparenti proprio per mostrare tutta la loro veste. Il colore, infatti, parla al cervello prima ancora che l’olfatto o il palato: un bianco brillante promette freschezza e leggiadria aromatica, un rosato tenue evoca eleganza e delicatezza, un rosso carminio profondo suggerisce struttura e ricchezza. Ma da dove nasce il colore di un vino? In realtà, il succo della maggior parte delle uve, anche di quelle rosse, è incolore e chiaro. Non a caso molti Champagne, ottenuti da Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier, due uve rosse su tre, sono dorati o paglierini. A fare la differenza è il contatto del mosto con le bucce: più lungo per i rossi, minimo o assente per i bianchi. È la cosiddetta macerazione, ossia il periodo in cui il mosto resta a contatto con le bucce che, da par loro, cedono colore e altre sostanze antiossidanti. Ci sono, poi, le eccezioni: i cosiddetti vini “orange”, bianchi ottenuti con macerazioni prolungate, come insegna la tradizione georgiana o quella giuliana del Friuli e slovena. Al contrario, esistono rossi leggerissimi, quasi trasparenti, frutto di macerazioni molto brevi. La magia sta tutta lì, nel tempo di contatto e nella temperatura cui questo avviene. Le varietà d’uva, il clima e l’ambiente fanno poi il resto. Alcune uve, come Barbera, Cabernet Sauvignon, Lagrein o Syrah sono naturalmente più ricche di antociani, i pigmenti che colorano il vino, mentre altre come Nebbiolo, Sangiovese o Pinot Nero regalano tonalità più leggere e luminose. Il clima incide tanto quanto la varietà: annate calde portano a colori più concentrati ma anche più propensi all’ossidazione, mentre nelle zone fredde i vini risultano più vivi e luminosi nella loro veste cromatica. Infine, arrivano il tempo e la mano dell’uomo. L’acciaio dei tini di lavorazione conserva i colori originali, mentre il legno, soprattutto se piccolo, come la barrique, “aggiunge” calore e profondità cromatica grazie a una micro-ossigenazione controllata. Così, un bianco da paglierino diventa dorato e un rosso da rubino vira al granato. Una naturale evoluzione del vino, la sua storia che si legge nel calice come una biografia liquida. Insomma, il colore del vino non è solo estetica ma informazione, promessa e seduzione. La prossima volta quindi che verserete un calice, prima di annusare o assaggiare, fermatevi qualche secondo a guardarlo: vi sta già raccontando metà della sua anima.
Prima ancora di annusarlo o assaggiarlo, il vino si osserva. L’esame visivo è un piccolo rito fatto di gesti precisi: il bicchiere si riempie per un terzo, si solleva all’altezza degli occhi e poi si inclina leggermente, a circa 45°, su uno sfondo bianco. Basta questo per iniziare a leggere nel vino come fosse una poesia. Già da qui si può intuire molto: un colore vivo e brillante racconta giovinezza e buona acidità; un tono più caldo e profondo suggerisce struttura e alcol; una sfumatura opaca, invece, segnala i primi segni di “maturità”. Il colore, insomma, è un biglietto da visita eloquente, capace di rivelare età, provenienza, tecnica di vinificazione e perfino lo stato di salute della nostra bottiglia. Il “test dell’occhio” si basa su cinque criteri: tonalità, limpidezza, densità e, per gli spumanti, perlage. La tonalità indica il colore in sé, dalle sfumature del giallo a quelle del rosso, passando per le molteplici note dei rosati. La limpidezza misura la mancanza di particelle in sospensione, velature e anche, di riflesso verrebbe da dire, la trasparenza: un vino brillante riflette la luce come uno specchio; uno velato, invece, lascia intendere una certa evoluzione (o un piccolo difetto). La densità o consistenza si valuta roteando il calice: se il vortice del liquido scorre compatto e di si riassesta velocemente, il vino è ricco di glicerina, estratti e alcol, se indugia nel turbine e scivola lentamente è più snello e leggero. Il perlage, infine, è il segreto di ogni spumante: bollicine fini e continue indicano eleganza e qualità mentre quelle grandi e irregolari svelano un vino meno raffinato. Dal punto di vista chimico, i colori nascono da una famiglia di sostanze chiamate fenoli: nei rossi dominano antociani e tannini, nei bianchi leucoantociani, catechine e flavoni, sebbene la loro percezione varia grazie a deversi fattori quali vitigno, clima, tecnica di vinificazione, tipo di contenitore e durata dell’invecchiamento. In sintesi, più tempo e ossigeno il vino incontra, più il colore tende a “scaldarsi” ossidando: i bianchi da verdolini e paglierini diventano dorati, i rossi da porpora e rubino virano al granato e al mattone.
Nei bianchi il colore è una bussola. Cambia con l’età, il vitigno, la vinificazione e persino con il tipo di contenitore in cui il vino ha riposato. Dalla freschezza del verdolino alla nobiltà dell’ambrato, ogni sfumatura è una tappa nel viaggio del tempo. Un colore giallo verdolino è una tonalità chiara e tersa, segnata da decisi riflessi verdi, tipici dei vini giovani e freschi, ricchi di acidità e, talvolta, di note erbacee. In poche parole, è la tinta della giovinezza, che troviamo ad esempio nei Pinot Grigio del Trentino o del Veneto, negli aromatici e floreali Müller-Thurgau, nel fresco e leggiadro Blanc de Morgex et de La Salle della Valle d’Aosta da uve Prié Blanc, ma anche in alcuni Verdicchio dei Castelli di Jesi o nei più meridionali Locorotondo da varietà Verdeca e Bianco d’Alessano. Paglierino, invece, è forse la tonalità più diffusa tra i vini bianchi. È il colore della paglia estiva, luminoso e naturale. Racconta vini equilibrati, con un profilo fresco, floreale e fruttato. Molto comune nei Soave Classico, Lugana, Gavi di Gavi, Frascati, Falanghina, Biancolella di Ischia, Vermentino di Gallura, Etna Bianco da uve Catarratto, ma anche negli Inzolia e Grillo siciliani.
Più caldo e intenso è il dorato, la tonalità dell’oro, che indica la maturità del vino: un primo effetto del tempo ma, talvolta, anche di tecniche di macerazione a freddo del mosto con le bucce, come la criomacerazione o la crioestrazione selettiva. Spesso è il colore dei bianchi strutturati, magari passati in legno piccolo o raccolti a piena maturazione. Presente, in potenza, in molte tipologie di vino, è facilmente riscontrabile negli Chardonnay dei Colli Orientali del Friuli Venezia Giulia o dell’Alto Adige, nel Fiano di Avellino e nel Greco di Tufo irpini, nella Vernaccia di San Gimignano Riserva, nel Timorasso dei Colli Tortonesi, in alcuni Orvieto e nell’Albana di Romagna. Di colore oro brillante e smagliante sono poi anche alcuni passiti ottenuti dall’attacco della muffa nobile. Quando le tinte volgono al colore del miele e dell’ambra, i vini si identificano come ambrati o “topazio”, tipici delle etichette dolci e da dessert o dei vini ossidativi, nati da appassimento delle uve o da un’evoluzione lenta in legno o in bottiglia. L’ambra è il colore del Vin Santo toscano, del Passito di Pantelleria, della Malvasia delle Lipari o del Recioto di Soave, ma anche di alcuni vini di Jerez e dei maturi Sauternes, Tokaji Aszú ungheresi o Muffati della Valle del Tevere. Il colore mogano, infine, è una tonalità scura ma non per questo priva di luminosità: racconta lunghissime maturazioni ossidative. È raro ma affascinante, riservato perlopiù a vini da meditazione, da fine pasto o da dessert, come il Marsala Vergine, il Madeira, lo Jerez Amontillado o il Vin Santo Occhio di Pernice, la versione – quest’ultima – prodotta con uve rosse anziché con Trebbiano e Malvasia.
I rosati sono il colore della leggerezza, ma non della banalità. Ogni tonalità è un equilibrio tra la delicatezza del bianco e la struttura (o gli “attributi”) di un rosso. Nel calice, i rosa non sono tutti uguali: cambiano in base alla durata del contatto del mosto con le bucce, da poche ore a mezza giornata, alla ricchezza di sostanze coloranti dell’uva e allo stile del produttore. Il colore più tenue, che ricorda il fiore di pesco o la buccia di cipolla rosa dorata, è un rosa pallido, quasi trasparente, che si ritrova oggi in molte categorie di vini italiani, spesso ispirati ai famosi rosati provenzali. È il segno di vini giovani e profumati, leggiadri e sbarazzini, pensati per un consumo immediato. Garda e Bardolino Chiaretto ne sono un esempio, così come alcuni Pinot Nero rosato, ma anche dei Sangiovese o Frappato, e la “nouvelle vague” dei Rosati di Cirò o dei Lacryma Christi del Vesuvio da Piedirosso e Aglianico. La tonalità ramato è un rosa tenue con riflessi aranciati: una tinta “di confine” tra bianco e rosato, spesso legata a vini ottenuti da Pinot Grigio nella versione friulana del Ramato, ma anche ad alcuni pugliesi da Negroamaro o Susumaniello. Rosa salmone è invece un colore caldo e soffice, di maggiore saturazione dei pigmenti e con lievi tocchi aranciati: segno di un vino più ricco e deciso. Esempi ne sono l’Aglianico del Vulture Rosato, alcuni Etna Rosati oppure la DOCG Castel del Monte Bombino Nero. Crescendo nella densità cromatica troviamo le tonalità cerasuolo o corallo, profonde e accese al contempo, quasi con riflessi porporini. Sono i rosati dell’energia e della forza, talvolta potenti al naso e di grande carattere. È il regno del tradizionale Cerasuolo d’Abruzzo (anche in versioni più tenui), dei Nero d’Avola Rosato, del Salice Salentino Rosato o di alcuni rosati da Cannonau. L’ultimo gradino, al confine con il rosso, è quello del Chiaretto o del rosa peonia. Siamo di fronte a una tonalità di rosa con decise sfumature violacee e una forza cromatica evidente. I tradizionali Chiaretto del Garda erano di questo colore, oggi meno in voga per scelte più leggere; lo stesso vale per alcuni Sangiovese toscani ottenuti con la tecnica del salasso (si preleva una parte di mosto dalla vasca di macerazione del vino rosso dopo poche ore di contatto con le bucce e lo si vinifica in bianco per produrre un rosato), oppure per i golosi Lagrein Kretzer e i Rosati da Schiava, sempre in Alto Adige.
Il colore di un vino rosso è, spesso e volentieri, il racconto di un’evoluzione. Dalla vivacità violacea dell’ebbrezza e del vigore giovanile al calore granato della maturità, descrive una vera e propria memoria liquida del tempo. Porpora e amaranto sono i rossi intrisi di viola, segno di gioventù e spontaneità. All’assaggio rivelano vini floreali, leggiadri, fragranti, freschi e fruttati. Non mancano in questa categoria cromatica i vini novelli o frizzanti. Possiamo citare il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro e alcuni Lambrusco di Sorbara (la maggior parte dei Sorbara, tuttavia, presenta colori rosati con spuma bianca), la Bonarda dell’Oltrepò Pavese, la Lacrima di Morro d’Alba, ma anche alcuni giovani Syrah e Nero d’Avola insieme alle Malvasie Nere del Salento. La gradazione rubino, anche nella sua evoluzione verso tratti carminio, è il classico rosso luminoso, netto e più o meno trasparente della maggior parte dei vini prodotti. Indica equilibrio e freschezza ma anche densità estrattiva e carattere. Innumerevoli gli esempi: dal Chianti Classico al Dolcetto d’Alba, passando per Valpolicella Superiore, Merlot e Cabernet friulani, Montepulciano d’Abruzzo, Bolgheri Rosso, Aglianico del Taburno, Castel del Monte Nero di Troia, Primitivo di Manduria, Carignano del Sulcis e Nero d’Avola di Sicilia. Più evoluta è la tonalità del granato, un rosso profondo che ricorda la pietra preziosa e ha un’anima bruna. È il colore dei grandi vini in evoluzione, complessi e longevi. Possiamo citare, in tal senso, l’obiettivo cromatico di un Barolo, Barbaresco, Brunello di Montalcino, Amarone della Valpolicella (inizialmente carminio), Sagrantino di Montefalco (anch’esso all’inizio rubino profondo), Taurasi o Aglianico del Vulture. Annuncia ricchezza olfattiva, profumi terziari, equilibrio gustativo e, spesso, tannini soffici e levigati. La tonalità è presente anche in molti vini liquorosi come il Porto (ne esistono anche di colore rubino o carminio, soprattutto nelle versioni Late Bottled Vintage o Vintage) e nel Banyuls francese. L’aranciato è l’ultimo stadio evolutivo del colore dei rossi. Appare come una tonalità non più vivida, con riflessi aranciati, mattone o rame: segno di lunga vita e di ossidazione controllata. Oltre alle grandi annate dei vini citati nella categoria precedente, troviamo qui anche alcuni Porto Old Tawny invecchiati quarant’anni.
Alessandro Brizi,
ottobre 2025