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ViniToscanaIl Chianti Classico

Il Chianti Classico

Nato da un territorio complesso e dalla storia antica, incontra salumi toscani, pici, gnudi ma anche arrosti o selvaggina così come è assolutamente perfetto con la “Fiorentina”. Ce lo racconta un esperto dell'ONAV

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Un territorio complesso e dalla storia antica quello del Chianti. La sua estensione, 47 km da nord a sud e 27 da ovest a est, comprende ben 70mila ettari di cui però ne risultano destinati alla viticoltura meno di 10mila. All’interno di essi occorre poi fare un’ulteriore divisione fra quelle zone che rientrano nel Chianti Classico, dal 1996 codificato da un disciplinare a sé stante, e quelle che invece si estendono oltre i comuni storici e partecipano alla produzione del Chianti DOCG rispondente anche alle sottozone: Colli Senesi, Colli Fiorentini, Rufina, Colli Aretini, Colline Pisane, Montalbano e Montespertoli. Per oltre sessant’anni, questa suddivisione è rimasta interna in seno al medesimo disciplinare, ma l’esigenza di differenziare quei vini frutto dell’areale più antico non poteva più essere trascurata. Del resto, la storia del Chianti, così come quella delle colline su cui albergano le viti, ha radici profonde. Già nel 1716 l’identità vitivinicola di questi luoghi era così potente da richiedere l’intervento del Granduca di Toscana Cosimo III de Medici nell’emanazione di un bando che sancisse i confini di produzione del vino Chianti, riconoscendone quattro regioni: Chianti, Pomino, Val d’Arno di Sopra e Carmignano. Tali confini, peraltro, non si discostano molto da quelli attuali.
Come ulteriore segno di questa radicata tradizione vitivinicola e la conseguente volontà di preservarne identità e qualità, i produttori di Chianti saranno i primi a fondare, nel 1932, un Consorzio di Tutela della marca d’origine.

Dal 2005, insieme alla fascetta di stato per la DOCG, un simbolo inconfondibile fa capolino sul collo delle bottiglie: il Gallo Nero. Vessillo, a suo tempo, della Lega Militare del Chianti è un iconico rimando alla leggendaria corsa dei cavalieri, l’uno senese e l’altro fiorentino, per sancire la linea di confine tra le due città. Dopo aspre e violente battaglie si optò infatti per un “duello” senz’armi: un cavaliere per città sarebbe partito in direzione della magione nemica e il loro punto d’incontro avrebbe finalmente posto fine alle ostilità fissando la frontiera. Sarebbero partiti all’alba, al primo canto del gallo. I senesi scelsero un gallo bianco come “sveglia”, che nutrirono a volontà mentre i fiorentini preferirono un gallo nero, chiuso in una gabbia e denutrito pesantemente. La fame e la costrizione, portarono il gallo nero a manifestare il proprio disagio in un canto potente ben prima dell’alba, concedendo al cavaliere fiorentino un considerevole vantaggio. Il gallo senese, troppo satollo e rilassato, attese che il sole facesse realmente capolino prima di intonare il proprio canto, cosicché il cavaliere poté percorrere miseri 12 km, fermandosi a Fonterutoli (oggi sede di un’importante azienda vitivinicola) dove incontrò il cavalleggero avversario.

Lo studio e l’approfondimento delle origini geologiche di questo lembo di terra coperto per oltre il 60% da boschi e con altimetrie che vanno dai 200 agli 800 metri s.l.m. (limite massimo imposto dal disciplinare di produzione) hanno poi condotto verso un’attenta zonazione. Nascono così, con la modifica al disciplinare approvata nel 2021, le UGA ovvero Unità Geografiche Aggiuntive. Alla stregua delle MGA di Barolo e Barbaresco (da cui differiscono soltanto nel nome ma non nella valenza giuridica), le 11 UGA del Chianti Classico vanno a identificare differenti unità cartografiche in virtù dell’origine della formazione geologica su cui si trovano i vigneti. La macro distinzione fra esse separa le unità di origine marina e quelle di origine continentale. Le prime, legate primariamente all’emersione delle terre dagli antichi fondali marini, si compongono di marne e arenarie, calcaree e non, mentre le seconde fanno capo prevalentemente a depositi alluvionali e lacustri di diversa origine. Questa complessa conformazione disegna un pattern articolato entro i confini della denominazione riversando nei calici, provenienti dalle differenti zone, altrettanta diversità. Ciò che, ad ogni modo, accomuna Vagliali, Gaiole, Radda, Castellina, Greve, San Casciano, San Donato in Poggio, Panzano, Castelnuovo Berardenga, Lamole e Montefioralle è il disciplinare di produzione di quel nettare che da tempo immemore irretisce gli animi degli avventori della terra toscana.

Il Sangiovese trova fra queste colline la sua dimora d’elezione; sebbene del medesimo vitigno si possano identificare molteplici cloni, la principale distinzione viene posta fra il Sangiovese grosso, chiamato nella zona di Montepulciano Prugnolo Gentile e Brunello a Montalcino, e Sangiovese piccolo, con il primo da sempre ritenuto come il più qualitativo. Quest’uva, dotata di grande potenziale, partecipa almeno per l’80% alla produzione del Chianti Classico DOCG sebbene molti produttori scelgano anche di utilizzarla in purezza. Laddove si preferisce la strada del blend, sono ammessi nel 20% restante vitigni storici come Canaiolo, Mammolo e Colorino ma anche internazionali come Cabernet Sauvignon e Merlot. L’affinamento prevede un minimo di 12 mesi prima dell’immissione sul mercato che diventano 24 per ottenere la menzione Riserva che salgono a 30 per la Gran Selezione.

Un calice di Chianti Classico, dai toni rubino che volgono verso il granata con l’andare degli anni e dell’affinamento, è un piacevole intreccio di violetta, amarena, rosa, macchia mediterranea, pepe nero e toni balsamici, con echi di torrefazione e tabacco, fava di cacao e spezie dolci. Il quadro si arricchisce talvolta con nuance di sottobosco, terra bagnata, humus ma anche prugna coscia di monaca e arancia sanguinella. Il sorso è vibrante, tenace nella sua freschezza, mai banale nella progressione gustativa. Teso il corpo, con spinte speziate e ritorni fruttati, guizzi agrumati e chiose talora sapide, reminiscenza di terreni ricchi di sali minerali.

Nell’abbinamento, ci orienteremo su un Chianti “Annata”, più giovane e vibrante nei suoi toni, per incontrare i salumi toscani di cinta senese e la finocchiona, ma anche accanto a una ribollita o un piatto di pici al ragù bianco. Anche gli gnudi in salsa di pecorino potranno trovare un solido sposalizio così come i fagioli all’uccelletto con salsiccia. Ci sposteremo verso un Riserva laddove preferiremo accostare al nostro calice degli arrosti o selvaggina, optando, ad esempio, per un primo al ragù di cinghiale, delle pappardelle ai funghi porcini e tartufo oppure, tra i secondi, un coniglio in porchetta così come una faraona o agnello arrosto. Anche il lampredotto, cibo da strada ante litteram, si abbinerà bene al nostro Chianti Riserva così come sarà assolutamente perfetto nell’incontro con una bistecca di manzo ai ferri taglio “Fiorentina”. Con il Gran Selezione potremo poi scegliere di assaggiare dei pecorini toscani stagionati, la nana (anatra) arrosto, o un buon brasato.

Alessandro BriziAlessandro Brizi è caporedattore de L'Assaggiatore, la rivista ufficiale dell'ONAV, Associazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all'approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all'estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell'Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.

Novembre 2023

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