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ViniSardegnaIl Cannonau

Il Cannonau

È l’uva sarda per eccellenza, bandiera enoica della Sardegna. Lo sposalizio perfetto? Con le ricette regionali: dalle carni ai formaggi al pane frattau. Nelle sue versioni liquorose si presta anche all’abbinamento con i dessert

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È l’uva sarda per eccellenza e rappresenta almeno il 30% del vigneto regionale: con una superficie di oltre 7500 ettari, il Cannonau può essere considerato, a ragion veduta, la bandiera enoica della Sardegna. Quest’uva, spesso coltivata ad alberello, ha una maturazione leggermente tardiva, presenta basse rese e, a seconda delle zone, esibisce nel calice diverse sfumature di intensità. Le sue zone d’elezione sono, ad ogni modo, Oliena, Jerzu e Capo Ferrato, entro le province di Nuoro e Ogliastra.

Sulle sue origini, tuttavia, il dibattito risulta essere ancora aperto. O forse no. Per lungo tempo si è creduto che questo vitigno derivasse dalla Garnacha e che avesse, di conseguenza origini spagnole. Ad onor del vero, queste varietà, compresa la Grenache francese, condividono quasi la totalità degli alleli e tale caratteristica li rende piuttosto simili nei tratti, sebbene non esattamente identici. Analisi più approfondite dei testi di autori di epoche diverse, tanto italiani quanto spagnoli, hanno però portato all’attenzione una discrepanza di informazioni che ha fatto traballare la tesi spagnola così a lungo sostenuta. In primo luogo, le date relative alla coltivazione dell’uva Cannonau in Sardegna sembrano essere notevolmente antecedenti le prime menzioni in terra ispanica: un divario di ben due secoli. A questo proposito, diviene oltremodo necessario disambiguare il significato che gli autori spagnoli attribuivano al termine Garnacha: almeno fino al XVII secolo, infatti, questa parola non faceva riferimento a un vino rosso, bensì a un bianco. Lo stesso Miguel de Cervantes nella sua novella intitolata “El licenciado Vidriera”, pubblicata nel 1613, cita un elenco di vini bianchi italiani graditi al protagonista impiegando proprio il termine “Garnacha” in riferimento alla Vernaccia.

A livello etimologico, la parola Garnacha o Grenache sembra quindi essere piuttosto la derivazione del latino vernaculum, termine che, al contrario di “Greco”, usato in riferimento a vitigni di origine alloctona, alludeva a quelle uve che definiremmo autoctone e quindi “del posto”, così come avviene per le differenti Vernacce che nulla hanno in comune fra loro se non il loro legame con il territorio in cui vengono coltivate. È per questo che la Vernaccia di Oristano, ad esempio, non condivide nulla in termini di DNA con la Vernaccia di San Gimignano.
Non si parlerà perciò di Garnacha in riferimento a un vino “tinto”, cioè rosso, prima del XVIII secolo. Oltretutto, testi di viticoltura dell’epoca raccontano di una importante diffusione della Garnacha in Spagna soltanto alla fine dell’Ottocento, a seguito delle problematiche insorte a causa della diffusione dell’oidio, riconosciuto, peraltro, come il vitigno di più recente impianto fra le vigne aragonesi. A questo, si aggiunge la falsa ipotesi secondo cui il nome stesso del Cannonau dovrebbe derivare dal Canonazo, vitigno andaluso menzionato dal Di Rovasenda, ampelografo italiano del XIX. Anche in questo caso si incorre in un’erronea deduzione giacché tale varietà sembrerebbe non esistere affatto. Il Di Rovasenda, secondo studi più recenti, faceva piuttosto riferimento al Cañocazo, un’uva a bacca bianca che, in ogni caso, poco avrebbe a che fare con il Cannonau. È ipotizzabile, dunque, che il Canonazo non sia in realtà mai esistito e che la sua menzione nel testo del Di Rovasenda sia da riferirsi a un mero errore di stampa.
Ciò detto, ponendo su una linea del tempo tutte le date in riferimento ai sopramenzionati vitigni, apparirà evidente come la comparsa del Cannonau in territorio sardo risulti notevolmente antecedente e, disgiunta, da quanto accadeva in Spagna. È infatti del 1549 la prima attestazione documentata della presenza del Cannonau nella zona di Cagliari: in un atto di successione, infatti, il notaio Bernadino Coni registra proprio una vigna di questa varietà.


In generale, un calice di Cannonau regala profumi di frutti rossi e neri maturi come prugna, ribes e frutti di bosco, talvolta in confettura, un piacevole floreale di rosa e viola, con note speziate, tostature e persino accenti di caramello laddove si vinificano uve in sovramaturazione. Il palato si presenta morbido, di buon corpo e struttura, caldo nelle sensazioni di pseudocalore. L’alcol, ben presente, risulta comunque bilanciato dall’interazione di tannini e acidità, che ne agevolano il sorso.
Per abbinare il Cannonau, iniziamo dalle ricette regionali che, nei secoli, hanno sapientemente trovato il loro sposalizio con i vini ottenuti da queste uve, a partire dai coietas, o coiettas, sardi (involtini di carne di manzo ripieni con battuto di lardo, aglio ed erbe aromatiche) o da un porceddu (maialino da latte) allo spiedo. Sughi a base di carne ovina o caprina, ben diffusi nell’entroterra isolano, possono senz’altro essere un’altra valida opzione per condire anche un buon piatto di culurgiones.
Anche il formaggio Fiore Sardo, sapido e saporito, trova nel Cannonau un compagno perfetto per esaltarne il gusto.
Sorprendenti sono poi gli abbinamenti con il pesce, optando per vini più giovani, meno opulenti nella loro alcolicità, accostandoli comunque a piatti ben conditi come il polpo o il tonno, ma anche a zuppe di pesce. Interessante, anche in termini di storia gastronomica regionale, è l’assaggio con il pane frattau a base di pane carasau bagnato con acqua bollente salata, condito con salsa di pomodoro, pecorino sardo grattugiato, con l’aggiunta di un uovo in camicia al centro.
Se preferite un Cannonau rosato, potrete ancora far leva sul suo nerbo, accompagnandolo con carni bianche o ragù in bianco. Provatelo anche con la fregola con le arselle o con dei malloreddus ai frutti di mare. Nelle sue versioni liquorose, infine, si potrà giocare con dessert e pasticceria secca, non ultima, proprio quella sarda, optando per i dolci a base di pasta di mandorle o, perché no, per delle croccanti seadas.

Alessandro BriziAlessandro Brizi è caporedattore de L'Assaggiatore, la rivista ufficiale dell'ONAV, Associazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all'approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all'estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell'Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.

 

Ottobre 2023

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