Un efficace ed elegante bilanciamento di contrasti tra dolce e agro è alla radice di questa tecnica dalle radici antichissime, molto diffusa nella cucina orientale e presente nella nostra cultura gastronomica
Un sapore antico cui oggi fanno capo sia particolari preparazioni culinarie, sia un metodo di cottura dei cibi: in entrambi i casi, per definirsi ‘in agrodolce’ le pietanze devono esibire il matrimonio perfetto del gusto agro (dato dall’uso di succo di agrumi o aceto) con il gusto dolce (dato dalla presenza di zucchero, miele, e altri cibi dal sapore zuccherino). Tra le ricette dei grandi chef e dei giovani talenti emergenti della cucina italiana, l’agrodolce fa spesso capolino.
Sebbene sia opinione diffusa che l’agrodolce sia nato – e diventato in breve un pilastro – della cucina cinese, tuttavia va precisato che l’agrodolce cinese è rappresentato prevalentemente da una salsa – in Cina nota anche come “salsa del popolo”per il basso costo dei suoi ingredienti – che si usa su cibi già cotti, carne e pesce. Deliziosa con il pollo fritto.
Tra i piatti in agrodolce più famosi, l’anatra all’arancia alla pechinese (foto sopra) e il maiale in agrodolce. Molto presente anche nella cucina indiana, particolarmente nei diversi chutney che accompagnano i samosa. L’agrodolce come tecnica di preparazione – e di conservazione – dei cibi si ritrova già nel De Coquinaria di Apicio (I secolo), dove sono citate ricette per pesce e carne che utilizzano una miscela a base di aceto e miele per aromatizzare le vivande.
Nell’antica Persia, l’uso di succo fermentato (aceto) di melagrana era conosciuto. È infatti persiano il termine sikbâg (eskibech) da cui proviene il catalano escabeche e deriva il termine “scapece” che conosciamo, la marinata calda di zucchero e aceto o succo di limone usata per le fritture, soprattutto di pesce.
Gli Arabi introdussero in Sicilia intorno al 900 d.C la canna da zucchero e gli agrumi (appunto agri, come suggerisce il nome), che trovarono subito spazio come delicati sostituti dei più decisi aceto e miele. In Italia si svilupperà la produzione di agresto (ottenuto dalla cottura del mosto di uva acerba – agresta – con l’aggiunta di aceto, dragoncello, cannella, cipolla, aglio e miele) che era già presente in Francia come condimento in era medievale e che veniva usato anche per la preparazione di bevande fresche estive come il succo d’uva spremuta e miele. L’agresto conquisterà la cucina delle corti italiane tardomedievali fino al Rinascimento, quando si cominciò a preferire l’aceto balsamico, grazie alla sponsorizzazione – se così si può dire – degli Estensi, signori di Ferrara, Modena e Reggio Emilia e delle ricette del periodo ricche di zucca, come i famosi tortelli. Al tempo l’agresto veniva prodotto per lo più nella Pianura Padana (nella foto sotto, uno strumento per la spremitura di uva acerba).
Caduto per secoli nel dimenticatoio, l’agresto oggi lo si produce in Toscana, a San Miniato (Pisa), dove si è tramandata la ricetta per generazioni e dove è iscritto nel registro dei PAT, i prodotti agroalimentari tradizionali. Simile all’aceto balsamico come densità, l’agresto è di colore è rosso scuro; le note predominanti sono quelle aspre, non quelle dolci del primo. Pellegrino Artusi, nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, lo nomina una volta sola, nella ricetta del piccione in umido (n° 276).
Aceto e zucchero sono ottimi conservanti, e il Medioevo vede ampliarsi il ventaglio degli ingredienti utilizzati per cucinare in agrodolce: compaiono succo di agrumi e perfino di melagrana nella lista dei condimenti dal sapore acidulo, mentre datteri e uva passa affiancano il miele nel conferire il gusto dolce alle pietanze. Nelle ricette di questo periodo, questa cottura viene definita “in dolce e forte”, e utilizzata molto per la selvaggina, come lepre, cinghiale (foto sopra), etc. In alcune preparazioni in dolceforte appare anche il cacao.
Nei ricettari dei secoli XII e XIV, sia nel Liber de coquina dell’Anonimo Meridionale sia nel Libro della cocina dell’Anonimo Toscano e nel Libro per cuoco dell’Anonimo Veneto viene proposta una salsa a base di spezie, aceto e zucchero per accompagnare gli arrosti. Quest’ultimo propone un condimento a base di cipolle, aceto, mandorle, uva passa, miele e spezie che pare un antesignano delle sarde in saór veneziane (foto sopra).
Ancora nel XVI secolo, nei testi di Bartolomeo Scappi, Messibugo e altri, compaiono molti “savori”, cioè salse particolari indicate per accompagnare carni o pesci lessi o arrosto, a base di mandorle e pane ammollato in aceto o agresto, integrati con marasche secche, uva di Corinto, melagrana, spezie varie e l'immancabile zucchero. Durante il Seicento, il gusto agrodolce scivolò in secondo piano quando dalla cucina francese arrivò il pricipio che distingueva nettamente tra dolce e aromatico.
Alcune preparazioni lasciarono traccia: per esempio, un piatto del XVI secolo a base di melanzane, carciofi, aceto, zucchero, capperi, olive e sedano, è assai simile alla caponata siciliana odierna. In Sicilia, grazie alla presenza araba del passato, l’abbinamento dolce-salato è al centro di molti, gustosissimi piatti, come le sarde a beccafico, dove i pesci vengono farciti con uvetta e pinoli, arrotolati in una teglia, conditi con miele e succo di agrumi e cotti in forno. Da provare anche le melanzane a beccafico (milinciani a beccaficu). Sempre siciliana, di Palermo, è la zucca in agrodolce, fritta e salata in aceto e zucchero, aromatizzata con la menta, mantre la cucina di Ragusa propone il coniglio alla portoghese (cunigghiu a’portuisa), marinato nel Porto per una notte e poi cotto in padella in agrodolce (foto sopra) e quella di Trapani offre il tonno in agrodolce. Andando verso Mord, troviamo, oltre ai famosi tortelli di zucca mantovani e alle sarde in saor già citati, troviamo la mostarda di Cremona (foto sotto).
Se vi piace l’agrodolce, provate questi spiedini di agnello; il baccalà con uvetta e pinoli e quello classico alla romana; sorprendenti il filetto di maiale in crosta con salsa agrodolce e quello al sesamo.
Le carni arrosto e alla griglia verranno esaltate da questa salsa agrodolce, come pure i formaggi stagionati. Classici intramontabili il coniglio all’agrodolce, le cipolline borrettane e i peperoni. Profumata e aromatica, la confettura di zucca e limone con zenzero.
Per strizzare l’occhio all’Oriente, ecco gli spiedini di pollo, il chutney di stagione, il chutney di rabarbaro e quello all’agresto, e le cipolle farcite di couscous.
Francesca Tagliabue
maggio 2025