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News ed EventiNewsOlmo: il nuovo ristorante di Oldani a Cornaredo

Olmo: il nuovo ristorante di Oldani a Cornaredo

L'olmo è l'albero al centro della piazza dove Davide Oldani ha trasformato l'esperienza degli ultimi vent'anni in solidi progetti, una pianta con radici profonde e foglie che guardano verso l'alto, proprio come la sua cucina. E ora lo celebra anche un locale

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Sono tre nuovi tavoli in legno di olmo nella piazza di San Pietro all'Olmo e il piccolo ristorante si chiama, guarda caso, Olmo. L'ultima creatura dello chef Davide Oldani evoca l'albero nella piazza antistante in un continuo gioco di rimandi che vanno dai materiali utilizzati, al colore verde bosco delle pareti, fino alla grafica del menu intitolato "Radici". Sta alla sensibilità del visitatore notarlo. Il tutto accade in una piccola frazione di Cornaredo, un comune dell'hinterland milanese che dista 12 km dallo stadio di San Siro, ma figura da molto tempo sulle mappe dei buongustai di tutto il mondo: vi arrivano persino dall'America e dall'Oriente senza sbagliare strada. Perché proprio a San Pietro all'Olmo, oltre a una bella chiesa del Fai, sorge il quartier generale di Oldani che oggi è formato dal D'O, il suo ristorante con due stelle Michelin più una verde per la sostenibilità, dall'officina Next D'Oor che produce pane e lievitati e, solo da quest'anno, dal nuovissimo Olmo, un locale piccolo ma pieno di idee dove i tavoli hanno forme vive, irregolari, si incastrano tra loro o si possono separare ma, volendo, ci si può sedere al bancone della cucina. Ad accoglierci è il giovane chef Riccardo Merli, classe 1990. Come ti sei meritato una simile responsabilità? "Sono il più vecchio tra i giovani che formano il team di Oldani (in copertina), un piccolo frutto dell'albero", sostiene con modestia. Nato e cresciuto in campagna, a Mortara, in una casa con l'orto e gli animali da cortile allevati dal papà, tra cui pernici e pavoni, Merli si fa molto più sicuro stando ai fornelli. "Quando cucino sono completamente felice e credo che lo chef Oldani abbia notato il mio entusiasmo", riesce ad ammettere.

Una cucina pop

Da una parte il menu dell'Olmo riprende il concetto di "cucina pop" che ha reso celebre il D'O fin dalla sua nascita. È cioè stagionale, fatto di ingredienti semplici ma di qualità, sostenibili nei costi ma nobilitati dalla lavorazione, cucinati prendendo ispirazione dalle ricette regionali ma alleggeriti e resi eleganti sia nella preparazione che nella presentazione. Allo stesso tempo è diverso perché è un menu più verde, non proprio vegetariano ma con poca proteina animale, preferibilmente di carne bianca. Gli ortaggi sono un po' speciali, da scoprire, come i fagiolini stringa, le patate di tante varietà diverse o le erbe: "Per me un mazzo di basilico è anche meglio di uno di fiori!", sorride Merli. Un esempio? "La cassoeula di cortile viene dalla mia zona d'origine, ma a Mortara si fa con l'anatra; noi invece abbiamo utilizzato un petto di pernice, con un battuto di anatra e di pollo. Il tutto poi è avvolto in foglie di verza, un ingrediente che a me ricorda l'infanzia: mia nonna me la tagliava fine fine con tanta pazienza".

L'importanza della sostenibilità umana

All'Olmo, l'atmosfera è intima, sala e cucina sono un tutt'uno, senza segreti. "Appena posso lascio i fornelli e giro tra i tavoli", continua Merli. Uscire in sala d'altronde, confrontarsi con i clienti, era già un'abitudine nel primo D'O, aperto nel 2003 (più piccolo dell'attuale ma solo a pochi metri di distanza), una delle molte lezioni trasmesse ai giovani che hanno avuto la fortuna di passare dalla cucina di Davide Oldani. Lo chef infatti, che appare schivo se deve parlare di se stesso, si rivela un maestro estremamente generoso e comunicativo: a Cornaredo c'è persino un istituto alberghiero intitolato all'Olmo, di cui Oldani è il principale mentore e sostenitore. "La generazione che vent'anni fa ha cominciato con me, al primo D'O, oggi è diventata la colonna portante del mio ristorante", racconta lo chef che guarda a questi quarantenni con orgoglio e rispetto. L'atteggiamento risulta insolito nel mondo dell'alta ristorazione, ma non per chi per primo ha parlato dell'esigenza di una "sostenibilità umana" oltre che della cucina, in un settore dove gli altri davano per scontati orari impossibili e irascibilità diffusa. "Ho sempre voluto che i ragazzi crescessero, avessero la possibilità di volare da soli, non mi interessa farne tante mie copie". È proprio lui infatti che insiste nel dire: "Fate esperienza, andate a lavorare anche altrove e poi un domani, se vi ho trattato bene, qualcosa accadrà". È successo con Riccardo Merli, che per due anni ha lavorato al Louis XV di Montecarlo, ma lo stesso è capitato con Wladimiro Nava, che ora gestisce il laboratorio Next D'Oor e sforna i lievitati per i due ristoranti e naturalmente con Alessandro Procopio, che dopo Le Gavroche di Londra, il Troisgros di Roanne e il Plaza Athénée di Parigi, è rientrato a casa assumendo il prestigioso incarico di executive chef del D'O. "Per sei anni mi ha chiesto di tornare e io glielo impedivo, eppure avevo bisogno di lui. Lo so, ho rischiato, ma sentivo che era giusto così", confessa ora il pigmalione.

Una passione lunga 20 anni

La lezione di Davide Oldani, la "ricetta" che lo ha portato fin qui adesso è a disposizione di chiunque poiché filo conduttore del suo ultimo libro Visioni pop: una passione lunga 20 anni (Gribaudo). "È solo partendo da un terreno saldo che si può spiccare un volo grande che non muoia dopo pochi millimetri, un sogno che abbia gambe per continuare a camminare", si legge nel volume. "Al D'O infatti sono tutti importanti, non solo lo chef", dice presentandoci il direttore di sala Davide Novati e il sommelier Manuele Pirovano, che gestisce l'assai fornita e tecnologica cantina; volendo, è anche utilizzabile per banchetti speciali. Entrambi sanno leggere i desideri degli ospiti in pochissimi istanti assicurando a ciascuno l'esperienza gourmet su misura. Intanto non è ancora scoccata l'ora di pranzo e la piazza dell'Olmo si sta animando con i primi avventori. Nel menu del D'O tutto è nuovo ma non dimentica le "radici". Per esempio la cipolla caramellata c'è ancora ma in una versione scomposta, a strati. Dalle vetrate si ammirano le sculture di Velasco Vitali e Alice Mocellin, una foresta rossa e un piccolo zoo di cortile, con le galline che una volta razzolavano tra questi caseggiati. Le ha volute lo chef, che oltre ad amare l'arte è anche un designer, un grafico, insomma un creativo a tutto tondo. Ce li indica soddisfatto. "Non saremo a Parigi o a Londra, ma qui in vent'anni ho potuto realizzare molto". E in effetti la piccola San Pietro all'Olmo, nel mondo della ristorazione, è ormai imperdibile e anche un modello da imitare.

Daniela Falsitta,
aprile 2024

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