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Cosa si deve sapere sui coloranti alimentari

Molti consumatori pensano che siano dannosi per la salute, ma nessuno ne fa a meno. Perché, oltre che buoni, i cibi devono anche essere belli

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Se si chiede ai produttori perché usino i coloranti per i cibi e le bevande che mettono in commercio, si ottiene sempre la stessa risposta: perché altrimenti nessuno li comprerebbe. Gelati, sciroppi, caramelle, creme, carne in scatola, polpa di granchio, bibite e una quantità infinita di altri alimenti, a causa delle lavorazioni a cui vengono sottoposti, avrebbero un aspetto poco accattivante se non si ricorresse al ritocco con i colori giusti: dunque, come scrive Manuela Soressi nel dossier di "Cucina Moderna" del luglio 2015, passano al maquillage attraverso i coloranti.

Che cosa sono e come si producono
I coloranti non sono alimenti: per questo, la legislazione li considera “additivi” come i conservanti, gli emulsionanti, gli esaltatori di aroma e gli antiossidanti. Gli alimenti che contengono additivi devono dichiararlo nell’elenco degli ingredienti, dove i coloranti sono indicati da una sigla composta dalla lettera E seguita da un numero compreso tra 100 e 199.

La tendenza attuale va verso la preferenza per i coloranti naturali che, dal 2011, hanno scavalcato quelli sintetici nei nuovi prodotti lanciati sul mercato e ormai rappresentano il 40% di quelli usati nel mondo alimentare. I coloranti naturali sono sostanze estratte con solventi chimici o con metodi fisici da materie prime animali, vegetali o minerali: per esempio, il nero si ottiene da carboni vegetali, il bianco dai cristalli di anatasio e il giallo oro dai petali della calendula. Ormai le fonti sono soprattutto vegetali; tra gli insetti resiste la cocciniglia, da cui si ottiene il rosso usato in molti cibi e bevande (come l’Alchermes).

Generalmente hanno dei limiti oggettivi rispetto a quelli sintetici: danno colori opachi e poco uniformi e hanno problemi di stabilità quando sono esposti alla luce e al calore. Quelli artificiali, invece, sono “costruiti” per essere simili a quelli naturali, ma capaci di fornire molti più colori, più intensi e più brillanti. Inoltre, sono più stabili alle variazioni di temperatura e acidità, più facilmente solubili e più resistenti all'ossidazione provocata dalla luce e hanno costi decisamente inferiori rispetto a quelli naturali.

A cosa servono
Di solito, queste sostanze vengono usate per ravvivare il colore di un cibo e rendergli la sua colorazione originaria modificata a causa della lavorazione o dell’esposizione a luce, aria, umidità e variazioni di temperatura. Da questo punto di vista, i coloranti servono a ridare un aspetto naturale al cibo.

Ma a volte hanno lo scopo opposto: vengono scelti proprio perché sono talmente innaturali e squillanti da attrarre l’attenzione e rendere unico e immediatamente riconoscibile un alimento, come accade per l’azzurro intenso del gelato gusto Puffo o il rosso brillante del Campari.

Dietro l’uso dei coloranti ci sono infatti anche ragioni di marketing, anzi di “psico-marketing”. Poiché “mangiamo” prima con gli occhi che con la bocca, il colore di un alimento ci comunica molte sensazioni; ci dice se è fresco, buono, maturo, saporito e sicuro, ma anche se è dolce, amaro o acido, aumentando così le nostre aspettative e costruendo il nostro giudizio su di esso ancor prima di assaggiarlo.

Che cosa dice la legge
In Europa sono ammessi solo i coloranti che vengono autorizzati dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare). Inoltre, gli additivi possono essere utilizzati solo se tecnicamente indispensabili, cioè quando non ci sono alternative, e non possono essere usati per mascherare difetti di qualità e illudere il consumatore sulle caratteristiche del prodotto. In alcuni casi l’uso di un determinato additivo è ammesso soltanto per precise categorie di alimenti e secondo le dosi massime fissate dalla legge, come avviene per i coloranti artificiali.

Invece per buona parte dei coloranti di origine naturale si stabilisce solo che vanno usati “quantum satis”, ossia quanto basta per ottenere l’effetto colorante voluto. Inoltre per tutti gli additivi (coloranti compresi) è stata stabilita la quantità che può essere assunta giornalmente nella dieta quotidiana senza rischi per la salute, anche per tutto l’arco della vita: viene definita “dose giornaliera ammissibile” (Dga) e, per precauzione, è la centesima parte del “livello effetto zero”.

Sono sicuri?
In questi anni, l’Efsa ha avviato la revisione della sicurezza di circa 400 additivi alimentari autorizzati nell’Unione Europea (di cui 45 sono coloranti) basandosi sui dati relativi alla loro tossicità e sulla loro capacità di sviluppare allergie. E qualcosa è già cambiato: il colorante rosso E128 è stato ritirato dal mercato perché riconosciuto cancerogeno, il caramello (E150) è stato assolto dalle accuse di essere pericoloso ma ne sono state ridotte le dogi giornaliere ammesse. Idem per un’altra decina di coloranti, come il giallo di chinolina (E104), il giallo tramonto (E110), l’amaranto (E123) e il rosso cocciniglia (E124).

L’alternativa degli “ingredienti coloranti”
Leggendo l’elenco degli ingredienti di caramelle, yogurt e bevande alla frutta si possono trovare diciture come “concentrato di carota”, “succo di uva” o “estratto di barbabietola”. Non vengono usati per il loro sapore o profumo, ma solo per le loro proprietà coloranti. Vengono definiti “ingredienti coloranti” perché non sono additivi, ma veri e propri ingredienti alimentari con proprietà coloranti, presenti in natura e che si possono tranquillamente mangiare.

Comparsi da alcuni anni e sempre più diffusi, sono l’ultima frontiera di questo settore e sono stati regolamentati per legge da poco. Le linee guida europee stabiliscono che gli “ingredienti coloranti” devono provenire da alimenti (come frutta, verdura e altre piante commestibili) consumati in Europa prima del 1997 e di cui devono conservare le caratteristiche (come le proprietà aromatiche e valori nutritivi). Inoltre, non possono contenere coadiuvanti tecnologici, come emulsionanti, conservanti e stabilizzanti che spesso sono presenti negli additivi coloranti.

Si producono con metodi fisici e processi meccanici e senza ricorrere a solventi organici o a sostanze chimiche di sintesi. In tal modo, vengono ottenuti concentrati colorati che valorizzano il pigmento tipico di ogni frutto, ortaggio o erba: gli antociani che danno il rosso a mirtilli, patate rosse e sambuco; i carotenoidi che tingono di arancione zucca e carote, il licopene responsabile del rosso di pomodori e la clorofilla che rende verdi gli spinaci. Questi ingredienti coloranti sono più costosi per i produttori di alimenti ma hanno alcuni vantaggi: si può vantare che i prodotti sono privi di coloranti e si può sottolineare che, grazie a questi ingredienti, gli alimenti si arricchiscono di componenti antiossidanti, come il licopene o gli antociani.

Alessandro Gnocchi
29 giugnio 2016

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