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Luoghi e PersonaggiLuoghiCucina pantesca: cosa si mangia a Pantelleria, tra Sicilia e Tunisia

Cucina pantesca: cosa si mangia a Pantelleria, tra Sicilia e Tunisia

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Esiste il "Mal di Pantelleria" e può colpire ed aggravarsi da un giorno di lontananza e perdurare per diversi mesi, anni. Un male insidioso, sopito, sornione, che si può risvegliare in qualsiasi momento. Si cura in un unico modo: il ritorno. E non è solo per l'orizzonte, che si confonde con il mare, che diventa "più alto del cielo" e lascia le navi come sospese o per i 12 mila chilometri di muretti a secco (contro gli 8 mila della muraglia cinese) dichiarati Patrimonio Unesco. Pantelleria è un unicuum: abitata da una popolazione autoctona che ha costruito enormi sepolture a spirale (di cui ancora oggi si studia come siano state in grado di realizzarle), i Sesi, poi colonia cartaginese e bizantina, fino alla libertà, dichiarata "città stato", un piccolo emirato, sotto controllo degli arabi, con un suo conio e una sua flotta, poi Feudo dei Borboni e nel 1860 se ne libera con la sommossa della "mala pantesca". Un'isola libera, unica nella storia e nel suolo, vulcanico e ricco di ossidiana, che rende la frutta e la verdura più intensa, la coltivazione dell'uva eroica, quanto pregiata. E anche le viti ad alberello sono Patrimonio Unesco. 

Il giardino pantesco
Bucolici e unici nel loro genere, quanto i dammusi (le tipiche costruzioni locali), i giardini panteschi sono realizzati a mano, con muretti a secco di pietra lavica che si sorreggono con un gioco di incastri, con gli angoli smussati a mano, dalla pazienza dei contadini. I muri si ergono a fortificazione per proteggere un piccolo giardino, talvolta anche solo una pianta di agrumi, contro il vento. Ma anche per recuperare l'umidità della notte. Solitamente da febbraio a ottobre non si vede una goccia d'acqua e le pietre nere, assorbendo calore durante la giornata, per l'escursione termica che si crea nella notte, creano una condensa. Di questo si nutrono le piante in tutti questi mesi. 

Il 12 settembre 2008 il Fondo Ambiente Italiano ha ricevuto in donazione un giardino pantesco dalla cantina siciliana Donnafugata, di diametro esterno di 11 metri,  il giardino è collocato in un anfiteatro naturale costituito da terrazze coltivate a vigneto, con piante centenarie di Zibibbo, nella contrada Khamma. E ancora nella Fondazione Radice Pura di Giarre si esalta il lavoro eroico degli agricoltori e viticoltori di Pantelleria, tra giardini panteschi e dammusi: si chiama Futuro Anteriore l'installazione simbolo dell'ultima Biennale del giardino Mediterraneo. "Passato, presente e futuro racchiusi in una celebrazione del rapporto diretto fra uomo e natura" con tecniche di coltivazione millenarie curate dallo storico illustratore di Donnafugata, Stefano Vitale

Il cappero di Pantelleria IGP
La seconda attività in ordine di grandezza dopo il vino sono i capperi, dal 1996 conosciuti in tutto il mondo con l'IGP Pantelleria. Il produttore di riferimento sull'isola è Bonomo& Giglio, dal 1949 nato nella contrada Scauri e oggi con cappereti su tutta l'isola, esporta in oltre 25 Paesi nel mondo. Merita una visita perché ospita l'unico museo del cappero del mondo. Abbiamo intervistato Antonietta Valenza Giglio, terza generazione della famiglia: "Oggi il cappero vive una rinascita, soprattutto per la crescente richiesta di ristoranti gourmet. Non solo quindi il cappero ma viene molto richiesta la granella di cucuncio, il cappero reso croccante, la polvere di cappero, le cimette e la granella. 
Nel 2022 siamo arrivati a produrre 350 quintali (su un totale di 2700) ma manca la manodopera. Il raccolto inizia la mattina presto, dalle 5 alle 1030-11, sempre chini, si può raccogliere esclusivamente a mano dai primi maggio fino metà agosto e la raccolta è ogni 8 giorni, altrimenti dal pistillo esce il cucuncio, il frutto, si mangia anche quello". E se si perde le giuste tempistiche il raccolto finisce, non dà più frutti. "Questa è una terra difficile, dura, tanto che in pantesco si usa una frase, “costruire questa terra” perchè qui ogni terreno viene strappato al servaggio, ogni appezzamento pulito ha visto un lavoro certosino nel togliere le pietre. Ogni pezzetto di terra viene detto “tasseggio” per la difficoltà recuperare terreni. Ecco perché la parcellizzazione e il mosaico di proprietari nel vino e nei cappereti". 

L'alberello pantesco
Unico nel suo genere nel mondo, la coltivazione della vite a Pantelleria è triplamente eroica: si combatte il vento, l'assenza di acqua, le pendenze. A cui si aggiunge la vendemmia a mano, chinati, sotto il sole cocente. Un'agricoltura eroica, dove la resa dell’alberello pantesco risente fortemente degli agenti esterni. "Caratterizzata da una forte parcellizzazione dei terreni, l’isola è stata oggetto negli anni di attenzione da parte dei grandi player del vino, soprattutto siciliani" racconta Benedetto Renda, presidente del Consorzio Pantelleria e di Cantine Pellegrino 1880. "Noi siamo sbarcati sull’isola nel momento in cui il sistema cooperativistico era entrato in difficoltà, e si è reso necessario porre l’accento sull’importanza di avere sotto controllo tutta la filiera produttiva". Sostanzialmente spesso i singoli piccoli produttori dovevano sottostare al giogo di prezzi imposti e di pagamenti rateizzati e talvolta assenti. "Possiamo dire di aver svolto dal 1992 un ruolo sociale nei confronti dei piccoli produttori locali, con i quali abbiamo stretto una sorta di patto per lo Zibibbo”, sostenendo le produzioni e garantendo un equo prezzo fisso e pagamenti regolari" racconta Benedetto Renda. "Ma quest'anno abbiamo affiancato a questo, una presenza diretta che ci aiuterà ad approfondire ulteriormente le potenzialità enologiche dell’isola, acquistando 8 ettari nella piana di Sibà, che si aggiungono a quelli coltivati dai nostri 320 conferitori a Pantelleria (e ai 150 coltivati nelle Tenute di famiglia nella Sicilia occidentale)". 

Solo i big del vino daranno un futuro all'isola?
Quindi solo i grandi produttori potranno garantire la rinascita di un'agricoltura così difficile? Così sembra, perché i piccoli produttori sono sempre meno, più anziani (l'età media è di 75/80 anni, i giovani sono più legati al mondo del turismo, o si sono trasferiti). Anche Donna Fugata possiede oggi oltre 68 ettari di vigneto. Dal 2010 a Pantelleria viene seguito un progetto di valorizzazione della biodiversità vitivinicola grazie ad un campo sperimentale con 33 biotipi di Zibibbo provenienti da diverse aree del Mediterraneo. Aperto al pubblico per un percorso di circa 15 minuti è il "Cammino di Kamma", all'interno della cantina, una passeggiata di 15 minuti in lieve pendenza, tra terrazzamenti e muretti a secco, per raggiungere un’area panoramica in cui si possono osservare da vicino le principali piante della macchia mediterranea. Donna Fugata ha qui radunato tutte le erbe "rare" del paesaggio naturale di Pantelleria: Euphorbia, Lentisco, Fillirea, Caprifoglio, Tè siciliano, Ginestra villosa, Dafne Gnidio.

Quali sono i cibi tipici di Pantelleria?
In primis il cous cous pantesco. Che nulla a che vedere con quello marocchino o di altri paesi arabi ma che è molto simile a quello che si trova in provincia di Trapani. Fa parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Siciliani. Arricchito di verdure locali a cui si aggiunge un brodetto "di scarto" dei pesci pescati in giornata (tipicamente scorfano rosso, cernia, gallinella, lugaro, pesce San Pietro). Quindi nella ricetta tradizionale il pesce non c'è ma è solo "al sapore di pesce", rappresentando un piatto povero d'eccellenza. Poi i ravioli "amari" (perché esiste anche un piatto tipico di ravioli dolci molto simili alle seadas) sono ripieni di ricotta (la tumma locale) e menta e conditi con salsa di pomodoro o burro e salvia. Anche la pasta con l'ammogghio non è di pesce: si tratta del tipico pesto pantesco, a base di pomodori freschi, aglio, origano, sale e olio. Anche questo, come tutti i piatti dell'isola, sono portate povere, realizzati con le verdure dell'orto e del momento. L'insalata pantesca, dal sapore semplice quanto insostituibile, racconta delle verdure dell'isola e del gusto che trae origine dalla terra vulcanica: patate, pomodori, cipolle rosse, olive nere, capperi, origano, basilico, sale marino e olio extravergine d’oliva. Infine la murena e cipollata: tranci di murena infarinati e poi fritti, in accompagnamento alla cipollata, un composto di cipolle, capperi di Pantelleria, aceto di vino bianco, peperoncino e foglie d'alloro. Passando ai dolci, come non rimanere affascinati dal bacio pantesco? Due cialde fritte e friabili (realizzate con appositi stampini) che racchiudono una crema di ricotta con scaglie di cioccolato nero fondente. 

Luglio 2023
Camilla Rocca

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