Un itinerario fuori dalle rotte, in Val di Cornia, a scoprire miniere, parchi, vestigia etrusche, campi di ortaggi e un golfo dipinto di blu
Vino, sughero, cinghiale, metalli, terme, borghi antichi, olio, carciofi, mare, Etruschi, parchi naturali. Parole in libertà? No, tanti piccoli indizi che vi portano in Alta Maremma e più precisamente nella parte meridionale della provincia di Livorno in quella che è la Val di Cornia: un angolo di Toscana autentico, genuino e inedito per molti. Un bel territorio che parte collinare, non a caso il fiume da cui la valle prende il nome nasce dalle Colline Metallifere, si apre su boschi di macchia mediterranea per poi lasciare il posto a vigneti e uliveti e, prima di confinare con il mare, si allarga diventando pianeggiante e agricolo, tanto da meritarsi l’appellativo di orto di Toscana.
Nascono qui, quando è stagione, i carciofi violetti toscani che sono Pat (prodotto agroalimentare tradizionale): oltre 200 ettari di terreno a loro dedicati, intervallati da coltivazioni di zucchine, pomodori, spinaci, patate e meloni. Le tante spiagge costellano la parte Sud della famosa Costa degli Etruschi incastonando come un gioiello il bellissimo Golfo di Baratti. A fare da sfondo concorrono alcuni tra i borghi più belli d’Italia come Suvereto, Campiglia Marittima e Populonia.
È una valle dove terra e mare giocano continuamente a ping pong, non solo dal punto di vista paesaggistico ma soprattutto da quello del suolo che, nella piana, risente dell’antico accumulo di sedimenti fluviali, marini e palustri, diventando ideale per la coltivazione del carciofo. In collina invece le argille rosse si fondono con scisti e sabbie e un marmo rosa affiora dal suolo ferroso, dono delle Colline Metallifere: un terroir perfetto per il vino che qui si produce dai primi dell’ottocento. L’artefice è stata Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone e Principessa di Lucca e Piombino che ha voluto impiantare qui vitigni a bacca rossa di origine francese come Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc (in proporzioni minori anche Syrah e Petit Verdot ) che ancora oggi affiancano l’immancabile Sangiovese nei disciplinari di produzione. Non mancano neppure i vitigni a bacca bianca dove il Vermentino la fa da padrone. Con queste premesse la Val di Cornia può puntare a un maggiore sviluppo economico e turistico, per ora sottotono, perché quei toscanacci (detto con affetto) che vivono qui sono stati forse un po’ timidi (un ossimoro per un toscano) o rustici o annebbiati per non sfruttare la ricchezza del territorio (vino per primo) al contrario dei cugini delle vallate confinanti. A smuovere gli animi aveva già provato, all’inizio degli anni ’80, Luigi Veronelli che, chiamato a Venturina per un assaggio di vini e prodotti tipici, aveva detto senza mezzi termini che quella terra produceva “dell’oro” che veniva trattato come “il ferro”. Veronelli collaborò con l’allora Sindaco di Suvereto Walter Gasperini, considerato tra i padri fondatori del vino valdicornino, per la creazione della De.Co Ghimbergo con un primo disciplinare, un’etichetta unica per tutte le aziende e un ufficio eno- agroeconomico per aiutare i viticoltori a fare qualità. Da allora sono passati molti anni le aziende vinicole sono cresciute in numero e importanza (un totale di 850 ettari vitati molti dei quali in regime biologico o biodinamico) ma la svolta è arrivata nel 2021 quando le più grandi e importanti hanno deciso di costituire il Consorzio Suvereto e Val di Cornia Wine con l’intento di aumentare la riconoscibilità e la qualità delle denominazioni del territorio (Suvereto Docg, Rosso della Val di Cornia Docg e Val di Cornia Doc) e soprattutto diventare un volano per lo sviluppo turistico.
Il piccolo borgo, considerato la capitale enologica della valle, è protetto da antiche mura e la sua storia millenaria si apprezza attraversando le strette vie punteggiate da palazzi storici e chiese, su cui domina la Rocca Aldobrandesca. Suvereto è un paese vivace e vissuto che conta oggi 3000 abitanti circa, animato da negozi, botteghe e ristoranti dove assaggiare la vera cucina toscana, di mare e no. Bello anche il paesaggio circostante che dimostra tutta la biodiversità della zona attraverso una rete escursionistica di 18 sentieri (per un totale di 80 km), creata due anni fa da un gruppo di volontari. Ruscelli, colline, vecchi borghi e cantine dove fare degustazioni non mancano sui percorsi così come le querce da sughero (quercus suber) da cui il paese prende il nome e l’identità.
Ad aprile di quest’anno Suvereto si è vestita a festa per la prima edizione del Suber Wine festival: una “due giorni” con banchi di assaggio, bike tour tra i filari, attività ludiche e visite guidate sul territorio. "Sempre più viaggiatori cercano esperienze autentiche- spiega Daniele Petricci, presidente del Consorzio Suvereto e Val di Cornia- e personalizzate sfuggendo dai luoghi più noti, dalle mete più conosciute. La Val di Cornia, Suvereto e Suber Wine Festival sono un invito a scoprire un'altra Toscana, attraverso i suoi sapori, tradizioni e paesaggi, offrendo un'esperienza completa che unisce piacere, conoscenza e contatto diretto con il territorio e con chi il vino lo produce”. Un invito a venire al prossimo Suber wine festival, ma anche tutto l’anno.
L’identità di Suvereto parte prorpio da questi alberi. Per secoli le querce sono state compagne di carbonai, pastori, cacciatori, il legno della roverella (quercus pubescens) forniva combustibile, le ghiande nutrivano gli animali ma tostate, macinate e opportunamente addolcite (altrimenti lo stomaco dell’uomo non le tollera) diventavano farina e un surrogato del caffè. Ma era soprattutto dalla quercia da sughero che si generava economia per la comunità trasformando la corteccia in oggetti di uso quotidiano. Oggi le sughere punteggiano ancora le colline intorno a Suvereto ma la loro decortica è un’operazione che fanno in pochi, peccato perché il sughero è un materiale naturale, ecologico, sostenibile, resistente e impermeabile che viene usato anche nella bioedilizia. C’è da sperare che qualcuno le riscopra, un po’ come hanno fatto Francesca, Sonia e Denise che nel centro del borgo hanno aperto una bottega artigiana (Suber Bello) con tanto di laboratorio aperto ai turisti. Il sughero qui prende nuova vita, viene lavorato come fosse pelle creando accessori moda, oggetti, copertine di quaderni e piccoli gioielli.
Il “bagnarello” è una polla alle pendici della collina di San Lorenzo, una delle frazioni di Suvereto, che quando piove tanto scoppia generando acqua calda. E’ solo un esempio per raccontare che un altro tratto distintivo della Val di Cornia sono le acque termali che sgorgano da sorgenti naturali, come quelle del Calidario a Venturina: un lago millenario, con una superficie di oltre 3000 mq, un ecosistema unico che affonda le sue radici in un periodo di trasformazioni tettoniche, circa 6 milioni di anni fa. Ancora oggi le acque termali, ricche di sali minerali essenziali come calcio, magnesio e solfati, vengono rinnovate grazie alle precipitazioni atmosferiche. Nel comune di Sassetta invece c’è un angolo magico che sbuca da un bosco del Parco Forestale di Poggio Neri, qui sono nate le Terme di Cerreta dove l’acqua sgorga da un bacino sotterraneo a una temperatura costante di 51° e alimenta tre piscine e un percorso da spa. Le terme fanno parte di un’azienda agricola biodinamica che produce anche formaggi, vini e offre ospitalità nei suoi casali.
A pochi chilometri dal mare, arroccata su una collina c’è Campiglia Marittima, citata già nell’anno 1000 come Campilia, dal latino campus, per la presenza di zone coltivate. La specifica Marittima fu aggiunta nel 1862 e non ha niente a che vedere con il vicino mare, sta a indicare che fa parte della Maremma (in latino Maritima). Per visitarla si sale e poi ancora si sale, le sue mura accolgono palazzi d’epoca piazzette, musei e osterie. La salita finisce con la Rocca che testimonia attraverso i suoi resti completamente restaurati tre diversi millenni di storia. Non si può andare via da Campiglia senza assaggiare o acquistare la Schiaccia campigliese: una torta friabile e fragrante con strutto e pinoli tipica di Pasqua, ma si trova tutto l’anno.
A pochi chilometri dal Campiglia si trova il Parco Archeominerario di San Silvestro: 450 ettari di natura protetta che custodiscono duemila anni di storia mineraria a testimonianza della straordinaria varietà geologica dei monti di Campiglia dove erano presenti zinco, mercurio, rame, piombo e argento. La visita al Museo dell’Archeologia e dei minerali, il tour con un trenino nella Miniera del Temperino, dove pareti ancora intatte svelano minerali dai colori sorprendenti, raccontano un mondo fatto di ingegnosità, fatica e pericolo, di tecniche di estrazione che cambiano con il tempo, di storie di uomini e in tempi più recenti di compagnie minerarie che dall’estero giunsero a Campiglia per sfruttare i suoi giacimenti.
L’itinerario turistico non può che chiudersi a Populonia: un borgo piccolissimo a picco sul mare la cui storia si lega allo sfruttamento dei ricchi giacimenti minerari del campigliese e dell’isola d’Elba, tanto che da qui partì il ferro necessario alla seconda guerra punica. Ricostruito nel XV secolo accoglie strade e muri in pietra che custodiscono la memoria di secoli. Per abbracciare il panorama bisogna salire sulla torre medioevale dove lo sguardo si perde oltre il promontorio di Piombino raggiungendo nelle giornate più serene le isole dell’arcipelago toscano e le Alpi Apuane della Versilia. Sotto il borgo il Parco Archeologico, una delle testimonianze più compiute della civiltà etrusca che aveva qui uno dei suoi sbocchi al mare privilegiati. Tra i reperti più significativi le tombe a tumulo, le necropoli e le aree di produzione metallurgica.
La visita a Populonia si chiude con una nuotata nel sottostante Golfo di Baratti, definito da molti come i “Caraibi della Toscana”. Esagerato? Forse, ma la sua sabbia fine dal colore nero argenteo e le sue acque limpide dai riflessi turchesi un po’ fanno sognare.
Laura Margliano,
agosto 2025
Direttore editoriale di Sale&Pepe (di cui è stata direttore responsabile dal 2008 e dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate), è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.
Direttore editoriale di Sale&Pepe (di cui è stata direttore responsabile dal 2008 e dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate), è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.