Il suo ristorante El Celler de Can Roca, a Girona, in Spagna, è salito al primo posto tra i 50 migliori del mondo secondo la prestigiosa classifica di San Pellegrino. Un primo posto che Joan Roca che si era già assicurato nel 2013, lasciato al Noma di Copenhagen nel 2014 e riconquistato quest'anno. El Cellar, peraltro, vanta 3 stelle Michelin dal 2009.
Naturalmente, nulla sarebbe il genio di Joan senza la classe di Josep, il fratello sommelier (una cantina che è leggenda, con 50mila etichette) e la pasticceria un po' anarchica di Jordi. I tre fratelli Roca hanno fondato e gestiscono il ristorante dal 1986. E creano piatti che uniscono sapienza e spettacolo, ricerca e ispirazione, virtuosismo e poesia.
Inutile provare a descrivere il menu, dove si trovano polveri di lavanda disidratate, salse di pesce iridescenti come squame, gelati di pane tostato, dessert di latte di pecora serviti in piatti che, toccati con il cucchiaio, riproducono le campanelle di un gregge; oppure speciali bocconcini che hanno lo scopo, appena messi in bocca, di far compiere il giro del mondo, trasportando in lampo in Marocco, o in Perù, come un teletrasporto gastronomico.
Una cucina futuribile, eppure in qualche modo familiare, che parla all'anima e colpisce il cervello.
Abbiamo incontrato Joan in veste di ambasciatore della Catalogna per Expo 2015. La grande regione autonoma spagnola, e in particolare la Costa Brava, trova fortemente radicata a Girona la sua identità culturale, anche se la città non si affaccia sul mare.
Qual è il piatto con cui accogliete gli ospiti a El Celler?
Un benvenuto mediterraneo con qualche tapas, un'usanza tipicamente catalana, anzi spagnola. D'altronde l'alta cucina è fatta tutta di tapas, "menu lunghi e stretti", tanti bocconcini complessi ed elaborati, preziose mini-esperienze.
Noi serviamo olive caramellate appese su un olivo-bonsai. Presentiamo ad ogni commensale un piccolo bonsai da cui le olive vanno "colte", un gesto altamente simbolico. È il nostro modo di portare il paesaggio della Costa Brava in tavola.
Come si è evoluta in quasi 30 anni la cucina del vostro ristorante?
Quando abbiamo aperto volevamo fare cucina tradizionale catalana. Ma noi tre siamo troppo anticonformisti e il caso, "la suerte" (e lo studio, approfondito e puntiglioso), ci ha portato a grandi sperimentazioni. Lavoriamo con un botanico per studiare e provare nei piatti le erbe spontanee della zona di Girona, erbe che non erano mai state utilizzate in cucina.
Abbiamo una distilleria interna, dove estraiamo sapori e oli essenziali da fiori, frutti e radici, dalla lavanda al finocchio, dal bergamotto, all'arancia fino al fico, l'ultimo nato. Usiamo ogni metodo, dalla brace alla cottura sottovuoto. Una cucina molto tecnica; ma è sempre e solo la ricerca del sapore il filo conduttore che ci riporta all'inizio di tutto.
Chi decide i nuovi piatti da inserire nel menu?
Sono sempre creazioni a tre, e devono avere l'approvazione di tutti. Da bravi fratelli, discutiamo molto, a volte litighiamo. Ma siamo anche professionisti esigenti, quindi ogni idea viene messa a punto con tanti tentativi. Si parte sempre da un prodotto di stagione. Per esempio, poco fa abbiamo provato una varietà di piselli freschi straordinaria. Abbiamo sperimentato una nuova ricetta, assaggiato, provato e riprovato, e quando alla fine eravamo tutti d'accordo quei piselli non erano più disponibili, era finita la stagione ... Ma teniamo la ricetta in serbo per l'anno prossimo.
Qual è l'invenzione che ti ha dato più soddisfazione negli anni?
È un'idea di mare e monti.Volevo dare in un boccone la sensazione fisica dei due ambienti. Perciò abbiamo distillato del terriccio raccolto nel bosco dopo la pioggia e ne abbiamo ricavato un'acqua fortemente aromatica. La abbiamo addensata con agar agar per trasformarla in una salsa e poi è stata abbinata ad un'ostrica. Una tapa molto potente, uno choc, che può piacere oppure no a seconda del proprio vissuto in montagna o al mare. Di solito evoca nostalgia, malinconia. Sicuramente è un piatto che non si dimentica.
Barbara Galli
giugno 2015
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