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ViniVenetoLa Valpolicella

La Valpolicella

Valpolicella, Valpolicella Ripasso, Amarone e Recioto. Quattro vini che trovano la loro espressione in un’area vocata del territorio veneto distribuito tra 19 comuni 

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Si chiamava un tempo Pagus Arusnatium, molto prima di assumere il nome di Valpolicella, ed era abitata, appunto, dalla popolazione degli Arusnati, dalle dubbie origini, forse celtiche, retiche o etrusche. Più certa è invece la fama del vino prodotto in queste terre che già nel II secolo a.C. era ben noto: il vino retico. Persino Marco Porcio Catone ne parla e Svetonio lo menziona quale preferito dall’imperatore Augusto. Una tradizione enologica antica dunque, che ha fatto a lungo credere che il suo stesso etimo nascondesse l’intimo legame con questo nettare. “Valle dalle tante cantine” (Val Poli Cellae) viene comunemente tradotta sebbene tale ipotesi continui a riscontrare pareri discordanti. Vi è infatti la presenza della radice ‘pol’, come si legge nella Treccani, “i cui derivati sono proprî per indicare quei luoghi boscosi e comunque ricchi di germogli e di vegetazione fiorenti sulle sabbie e sui detriti abbandonati dai fiumi”. Un territorio verde, dunque, e disegnato dall’azione di fiumi e torrenti, qui definiti “progni”, che hanno determinato accumuli colluviali contrapposti alle asperità più o meno pronunciate dei Monti Lessini, nelle loro ultime propaggini. 
Con il termine Valpolicella si indica un territorio di circa 30mila ettari distribuito tra 19 comuni il cui cuore, nonché nucleo originale in termini di tradizione enologica, è designato come Valpolicella Classica e comprende soltanto i comuni di Sant’Ambrogio, Fumane, Negrar, Marano e San Pietro in Cariano. La restante porzione, chiamata semplicemente Valpolicella, comprende la Valpantena e le valli di Mezzane, Illasi e Tramigna. 

Le uve

Le uve tradizionali, che rappresentano ad oggi le basi delle principali denominazioni locali, sono essenzialmente Corvina, Corvinone e Rondinella, con altre varietà autoctone storiche come Oseleta e Molinara a saldo. Le prime due, a lungo confuse, sono state riconosciute dal 1993 come varietà a sé stanti, e portano nel calice frutti rossi, spezie e toni fumé. La Rondinella, da par suo, partecipa accrescendo i sentori fruttati, in primis fragola, e speziati (pepe).  
Quattro le denominazioni territoriali divise fra due DOC (Valpolicella e Valpolicella Ripasso) e due DOCG (Amarone e Recioto). 

La nascita dell'Amarone

Partendo dall’apice della piramide, anche in termini di primogenitura, il Recioto della Valpolicella è un dolce nettare considerato, non a torto, il “papà” dell’Amarone. Questo vino da dessert, ottenuto dalla vinificazione di uve appassite la cui fermentazione viene interrotta prima di giungere al termine lasciando, dunque, una porzione di zuccheri non svolti, prende il suo nome dalle “recie” ovvero le ali del grappolo, solitamente le prime a giungere a maturazione e quindi più ricche di zuccheri. Ottimo nell’abbinamento con la biscotteria secca ma anche con formaggi erborinati, il calice, rubino granata, è un tripudio di frutta, datteri, cacao, cannella, chiodi di garofano e liquirizia; dolce al sorso, si presenta vellutato e velatamente tannico.  
Nel 1936, secondo quanto si racconta, rimanendo in bilico fra realtà e leggenda, Adelino Lucchese, allora cantiniere presso la Cantina Sociale della Valpolicella, si accorse di una botte di Recioto dimenticata. Procedendo dunque all’assaggio per verificare le condizioni del suo contenuto si accorse che quel vino, non più dolce, era diventato “Amarone”. A onor del vero, in Valpolicella si appassiscono le uve da oltre duemila anni e risulta piuttosto improbabile credere che una scoperta del genere possa essersi verificata “casualmente”. I fratelli Bertani, invero, furono pionieri nella produzione della prima bottiglia di Amarone, allora chiamato “Recioto Amarone” uscita sul mercato negli anni ’40 e frutto della collaborazione con l’enologo Ernesto Barbiero. Il metodo di produzione dell’Amarone, non si discosta, dunque, da quello del Recioto: raccolta delle uve con conseguente appassimento di 100-120 giorni in fruttaio (locale preposto con temperatura, ventilazione e umidità controllate, siano esse naturali o indotte) sulle aréle, in cassetta o appese. Terminato l’appassimento, che comporta la disidratazione dell’uva con conseguente concentrazione delle altre sostanze, in particolare degli zuccheri, con eventuale insorgenza di muffa nobile (botrytis cinerea) ad arricchire il quadro aromatico, si procede alla pressatura e alla fermentazione, che, nel caso dell’Amarone, non dovrà quindi lasciare zuccheri residui. Infine, si procede all’affinamento da un minimo di due sino a 4 anni per la menzione Riserva. 

Il Valpolicella Ripasso

Di particolare interesse, specialmente in termini commerciali, è il caso del Valpolicella Ripasso. Si tratta, in effetti, di un trait d’union tra il Valpolicella DOC e l’Amarone anche in termini di mercato in quanto, partendo da vini atti a divenire Valpolicella, si induce una ripartenza di fermentazione aggiungendo le vinacce dell’Amarone. Tale passaggio mira ad accrescere il vino in struttura e aromi. Il Valpolicella ripasso, rubino profondo, speziato, fruttato e floreale al naso, si propone di grande appeal per il pubblico data la sua proverbiale morbidezza e succosità al sorso, dal gusto pieno ma dal costo estremamente più contenuto rispetto all’Amarone giacché non necessita della lunga e complessa procedura riservata invece alla produzione di quest’ultimo. 

Abbinamenti

Nei nostri abbinamenti partiremo quindi da un Valpolicella DOC, più fresco dei suoi “fratelli maggiori” e che può ben accompagnarsi con risi e bisi, baccalà ma anche piatti a base di carne bianca. 
Con un Valpolicella Ripasso ci muoveremo verso lasagne alla bolognese e pasta all’uovo in generale, bigoli con ragù di carne, risotto al tastasal e gnocchi sbatui della Lessinia con formaggio di malga. Tra i secondi potremo scegliere cinghiale in salmì ma anche fagiano ai funghi e altra selvaggina. Sempre tra le carni, un filetto di manzo ai ferri o uno spezzatino possono accompagnarsi bene, mentre ci sposteremo su piatti di maggiore complessità e lunghe cotture quando vorremo scegliere un Amarone. Potremo puntare quindi su brasati, stufati, arrosti, optando, tra i primi piatti, per dei cappellacci su crema di formaggio al tartufo, bigoli con ragù d’anatra o un risotto all’Amarone. Tuttavia, anche una grigliata di carne potrà abbinarsi in modo eccellente, al pari di formaggi quali Gorgonzola e Taleggio. 

Alessandro Brizi,
novembre 2023

Alessandro BriziAlessandro Brizi è caporedattore de L'Assaggiatore, la rivista ufficiale dell'ONAV, Associazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all'approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all'estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell'Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.

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