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News ed EventiPiaceriPiatti bugiardi, dal nome ingannevole

Piatti bugiardi, dal nome ingannevole

Saranno sviste storiche, geografiche o fake news, come si direbbe oggi, ma dietro questi piatti per così dire mendaci si nascondono storie divertenti e fantasiose, da raccontare, tra un boccone e l’altro

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Se ne accorse già Pellegrino Artusi, che nel suo ricettario La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene (foto sotto) scrive nell’introduzione della ricetta n. 672, Plum-pudding:  “Parola inglese che vorrebbe dire budino di prugne, benché queste non c'entrino affatto”. E aggiunge, in apertura della successiva ricetta, la n. 673, Plum-cake: “È un dolce della stessa famiglia del precedente, mentitore anch'egli nel nome suo”.
Niente prugne, dunque, in due dolci che nel nome le promettono.
Anche nella cucina italiana ci sono tante preparazioni che, a causa di falsi miti, incomprensioni geografiche o storiche, talvolta culturali, portano nomi “mentitori” come direbbe Artusi, contravvenendo il concetto che un ‘nome’ non è puramente arbitrario ma naturalmente connesso con la realtà e la struttura della ‘cosa’ designata. Esaminiamo i più comuni, familiari ai più

Frontespizio_Artusi_Cucina

Inesattezze geografiche
Gli esempi più emblematici di questi “piatti bugiardi” sono sotto gli occhi di tutti, particolarmente riguardo alle loro origini, come la parmigiana di melanzane (foto sotto). Il termine parmigiana nel Medioevo indicava piatti con una disposizione degli ingredienti a strati. Le melanzane arrivarono con gli Arabi nel Medioevo: la paternità del piatto viene oggi circoscritta tra Campania – che la rivendica – Calabria e Sicilia, territori in cui si diffuse inizialmente. Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, nel suo testo Cucina teorico-pratica (1837), riporta alcune ricette di piatti “alla parmigiana” con una disposizione degli ingredienti a strati. Artusi, nel suo trattato, riporta la parmigiana di melanzane con la ricetta 403: non chiamandola parmigiana ma “Tortino di petonciani”, antico nome delle melanzane.

Parmigiana di melanzane

Sull’avvento dell’insalata russa (foto sotto) ci sono molte teorie: in Ungheria la chiamano Insalata all francese, in Danimarca e in Germania il nome è “Insalata all’italiana” e in Russia “Insalata Olivier”…come si arriva al russo? Sembra che il piatto sia giunto in Francia con Caterina de Medici e lì sia rimasto fino all’invasione napoleonica, quando un cuoco, Lucien Olivier appunto,  la fece conoscere a Mosca. Altre teorie la vedono nascere in Piemonte, in onore di un diplomatico (lo zar?) russo che se ne innamorò; sempre in Piemonte, si racconta di una ricetta definita insalata rusa, cioè ‘rossa’, perché conteneva barbabietole e carote, condite con panna (la maionese è venuta dopo). Artusi fornisce la versione con tutte le verdure e la maionese, completa di uova sode, ricetta numero 454, annotando “La così detta insalata russa, ora di moda…”.

INSALATA RUSSA - russian salad Olivier

La zuppa inglese in realtà parla fiorentino, o perlomeno toscano. Le storie a riguardo sono tante, ma verrà formalmente e definitivamente codificata da Pellegrino Artusi con la ricetta n. 675, che vede inzuppare i savoiardi nell’Alkermes, liquore creato dai frati della Farmacia di Santa Maria Novella, che ne confermerebbe le origini toscane (anche se assomiglia molto alla trifle britannica come composizione). Altri ancora sostengono che il dolce era una delle specialità del Caffè Doney, un locale del 1800 molto frequentato dagli inglesi di Firenze, che ne andavano matti – da qui il nome zuppa inglese (foto sotto).

Zuppa inglese

La genovese, l'umido di carne e cipolle tradizionale della cucina napoletana dove usato per condire i mezzani {maccheroni di formato intermedio), pare non sia mai stato cucinato nel capoluogo ligure, ma semplicemente abbia preso il nome perché cucinato da un cuoco o un marinaio ligure, fermatosi a Napoli.
Le origini del pan di Spagna (foto sotto) sono italianissime e portano a Genova: secondo la tradizione, a metà del Settecento, un cuoco in viaggio in Spagna con l’ambasciatore di Genova, presentò per la prima volta questo dolce dalla pasta soffice e molto leggera in un banchetto reale a Madrid. Piacque moltissimo e venne chiamato così in onore dei reali.

Pan di Spagna
BABA

Gli spaghetti alla milanese sono un primo piatto… siciliano. Non cercate lo zafferano: gli spaghetti sono conditi con pomodori, acciughe, pangrattato e parmigiano.
Il babà napoletano, delizioso dessert di pasta lievitata imbevuta di rum, pare abbia origini polacche o alsaziane e sia arrivato a Napoli solo a metà dell'Ottocento. Si dice che il pasticcere Nicola Stohrer, che fondò nel 1730 a Parigi l’omonima pasticceria, ancora esistente, dove oggi si può gustare un babà di forma circolare, agli inizi del 1700 fece il suo apprendistato in un castello alsaziano, dove era ospitato in esilio il re Stanislao Leszczynski, noto buongustaio. Quando Stohrer tornò a Parigi, aveva con sé la ricetta del babà (foto sotto), che si mormora avesse inventato non lui ma il sovrano polacco. Il re, infatti, appassionato lettore, definì il dolce “l’ennesima meraviglia di Alì Babà”, accorciato in… babà.

Bugie… sfacciate
Ci sono poi i nomi che mentono spudoratamente, dichiarandosi quello che non sono:
i tortellini bugiardi – letteralmente, visto che sono vuoti  – anelli di pasta fresca senza ripieno, a testimoniare un'epoca povera dove i tortellini erano cibo popolare, ma non sempre si potevano farcire.
Il tonno di coniglio (foto apertura) dove dell’omonimo pesce (o comunque di pesce in generale) non v’è traccia: il nome deriva dal tipo di preparazione cui viene sottoposta la carne, che ricorda il tonno sott’olio nella consistenza;
i fagioli all’uccelletto (foto sotto), dove tra gli ingredienti non c’è alcun uccelletto o uccellino che dir si voglia  – secondo Pellegrino Artusi, il nome di questa ricetta deriva dal fatto che gli aromi utilizzati sono gli stessi usati per preparare gli uccelletti allo spiedo, secondo anch’esso di tradizione toscana, e che, quindi, il curioso nome dei fagioli derivi da una similitudine di gusto.

FAGIOLI UCCELLETTO

L’ aceto balsamico che, pur essendo un ottimo condimento, di “balsamico” non ha nulla.
Tenta di rassicurare nel nome il falsomagro, piatto tipico siciliano, un polpettone che proprio magro non è, vista la ricchezza del ripieno. Pare che il termine derivi dal francese ”farce”, che però significa farcia, non falso: da qui l’equivoco.
La raspadura, formaggio lodigiano che di “duro” non ha proprio niente: il nome è forse una corruzione del termine ‘raspatura’, trattandosi di soffici foglie di formaggio ottenute raschiando la forma di formaggio con una lama larga impugnata a due mani.
Il nome del classico addensante protagonista di tante ricette di mamme e nonne, colla di pesce, non ha nulla di marino (se non forse antiche origini) ma deriva dalla cartilagine o ossa dei bovini oppure dalla cotenna del maiale.

PANNA COTTA

Una certa confusione
Ci sono poi casi che non sono chiari nella loro definizione, che tende a confondere con il nome. Prendiamo la trota salmonata: il termine viene usato per quelle trote che presentano una colorazione “rosata” delle carni. In effetti, non esiste la trota “salmonata” come specie oppure, più̀ correttamente, tutte le trote dovrebbero essere considerate “salmonate”, appartenendo alla famiglia Salmonidae.
Confusione anche nel caso della panna cotta, il goloso dolce al cucchiaio piemontese (foto sopra): la panna c’è, ma in realtà non deve cuocere, neppure raggiungere il punto di bollore.

 

 

Francesca Tagliabue
ottobre 2023

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