Dai canti sul balcone al generale senso di solidarietà, fino al plauso per il sacrificio dei medici, sono tanti, come in ogni situazione di emergenza, i modi in cui il male ha partorito il bene. Ma ce n'è uno, in particolare, che all'inizio non avevamo calcolato: una nuova attenzione alla sostenibilità. Intanto è calato l'inquinamento. Durante i lockdown più restrittivi, l'aria che abbiamo respirato era davvero migliore, le auto abbandonate per strada non si sporcavano, sono riapparsi animali di terra e di acqua dove non c'erano. E questo ci ha colpiti molto più dei pezzi di ghiacciaio che si sfrangono in mare nella lontana Alaska o del vago sospetto che i virus proliferino perché c'è uno squilibrio ambientale. Certo non si può auspicare che il mondo resti per sempre in “zona rossa”, ma di sicuro si può fare molto per farlo muovere nel modo giusto. La pandemia ha reso tangibile questa possibilità portando i temi della sostenibilità e dell'impatto ambientale, già all'attenzione di aziende e consumatori, verso una felice escalation.
Uno studio condotto da IBM Institute for Business Value in 9 Paesi dl mondo rivela che oggi la maggior parte delle persone è disposta a pagare di più e a fare rinunce per difendere il pianeta e assicurasi un futuro sostenibile. Nove intervistati su 10 hanno riferito che il Covid ha influenzato il loro punto di vista sulla sostenibilità ancora più dei disastri ambientali e degli eventi meteorologici, facendo schizzare la pandemia al primo posto tra i motivi di sensibilizzazione. L'indagine ha messo in evidenza che la difesa dell'ambiente è più che mai una variabile influente nel modo di fare acquisti, di viaggiare e persino nelle decisioni relative alla carriera lavorativa. Il 50 % degli intervistati è propensa a preoccuparsi della sostenibilità del cibo e l'82% % è disposto a spendere di più per viaggiare con mezzi a basso impatto. Chi è in cerca di impiego predilige le aziende ecologically correct e quasi il 50% accetterebbe uno stipendio più basso pur di lavorarvi.
Lo studio dell'IBM Institute for Business Value evidenzia anche che il livello del senso di responsabilità ambientale ha un andamento discontinuo e spesso sorprendente a seconda delle aree geografiche. Per quanto riguarda gli acquisti e i viaggi, per esempio, le percentuali più alte di coloro che si dichiarano disponibili a fare sacrifici per la sostenibilità si registrano in India e in Cina, mentre sono piuttosto basse negli Stati Uniti.
Sembra che con il Covid gli abitanti del Bel Paese si siano tutti chiusi in casa a cucinare... Se questo è probabile, è sicuro che lo hanno fatto meglio di sempre. Secondo i dati registrati da Federditribuzione (l'associazione più rappresentativa nel mondo dei supermercati), gli italiani, che già mostravano una propensione per acquisti alimentari responsabili, con il Covid hanno alzato ulteriormente l'asticella premiando le filiere nazionali e i prodotti legati al territorio, a catena corta, a km0 e con un packaging ecologico. Esigenze cui la nostrana industria del food sta rispondendo con concrete riduzioni delle emissioni di Co2 e delle plastica e lanciando iniziative antispreco.
Sale anche l'attenzione nei confronti del “controllo”. Non basta che un'azienda promuova una produzione a basso impatto: i consumatori stanno imparando a distinguere tra strategie di comunicazione e realtà dei fatti, chiedono e confrontano verifiche di quanto dichiarato. La speranza è che al più presto diventi improduttiva la tattica greenwashing (neologismo inglese per indicare l'ecologismo di facciata, cioè falso).
Cristiana Cassé
aprile 2021
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