Ripartire dal pane. Perché cambiando la nostra idea di questo miscuglio atavico di farina, lievito e acqua, si può cambiare visione del mondo. Ne è convinto Davide Longoni, nato in Brianza e milanese da anni, capofila di quella nuova generazione di panificatori che sta rivoluzionando l’arte bianca. “Il pane è innanzitutto un prodotto agricolo, che nasce dalla trasformazione del cereale: la materia prima è il grano, non la farina”, spiega Davide. “Per fare un buon pane, dunque, non basta la tecnica, prima di tutto è necessario recuperare il rapporto con la terra. Un panificatore moderno deve fare scelte consapevoli, conoscere e controllare tutta la filiera, a partire dai metodi di coltivazione”.
Longoni a Chiaravalle, alle porte di Milano, coltiva in proprio segale e farro, con cui realizza il 30% delle farine dei suoi prodotti. Un progetto di rigenerazione urbana di terreni abbandonati, oggi lavorati con metodo biologico e rotazione delle colture,Ce una pratica antica che non impoverisce i suoli, li mantiene fertili e li protegge da parassiti e infestanti. Le altre farine arrivano da aziende agricole che seguono la stessa filosofia: da grani storici e autoctoni (Longoni non ama la definizione “grani antichi”, ormai abusata), come Perciasacchi, Tumminia, Senatore Cappelli, Solina, Verna; macinate a pietra, poco raffinate. Questa nuova sensibilità si riflette naturalmente sulla lavorazione del pane, dove entra in gioco l’altro protagonista oltre alla farina, il lievito: per Longoni significa lievito madre, quello spontaneo e naturale di un semplice impasto di farina e acqua, dove la ricchezza di lieviti e batteri lattici che si sviluppano durante la fermentazione regala al pane profumi e sapori molto variegati.
Richiede però lievitazioni lunghe (6-8 ore almeno), lavorazioni lente e grande manualità, perché la madre va conservata e rinfrescata per mantenerla viva, è sensibile alle temperature e meno forte e stabile rispetto al lievito di birra. Ma il risultato finale è un altro pane. Profumato, gustoso (si avverte nettamente il sapore del grano), digeribile e durevole, fino a 5-6 giorni (l’acidità protegge dalle muffe e alcuni enzimi rallentano il raffermamento). E in prevalenza di grande formato, pagnotte e filoni di 500 g, fatte per essere conservate e condivise; tecnicamente, inoltre, le grosse pezzature trattengono meglio l’umidità asciugandosi meno. “È un ritorno alle origini ma non è il pane di una volta, è il pane del futuro” sottolinea Davide, che da sempre è aperto alla condivisione e all’insegnamento: nei suoi laboratori si sono formati tanti giovani, alcuni dei quali hanno seguito la sua strada aprendo nuovi laboratori, da Forno Brisa di Pasquale Polito a Bologna al Panificio Moderno di Matteo Piffer a Trento, a LePolveri di Aurora Zancanaro a Milano. Tutti seguaci di una nuova visione del pane: con Davide e molti altri hanno dato vita nel 2018 al movimento dei Panificatori Agricoli Urbani (PAU), che da poco ha pubblicato il suo manifesto.
Oggi nel grande laboratorio di Longoni a Milano, negli ex capannoni industriali di Via Tertulliano trasformati in spazi culturali e atelier, lavorano in 10, tutti tra i 22 e i 35 anni: addetti al pane, alla focacceria e alla pasticceria (coordinata dal pasticciere Mauro Iannantuoni, ex braccio destro di Ernst Knam). Il laboratorio ha una produzione di 400-800 kg al giorno tra pani di campagna, di segale, ai cereali antichi, il borbonico (con le farine autoprodotte della filiera abruzzese) e altri speciali, come quello alle castagne del servizio e la challah, specialità ebraica del sabato. Oltre alle focacce, le lingue di pizza e i dolci: brioche, croissant, crostate, la babka nei week end. Infine, una sorpresa. Nell’ufficio del laboratorio, sono impilate le copie di L’Integrale, Rivista di pane e cultura, una novità di cui Longoni è editore. Ma non è un house organ. Vuole fornire gli strumenti, ai panificatori, ma anche agli appassionati, per capire la realtà attraverso il pane.
Marina Cella
foto di Michele Tabozzi
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