Fino al Dopoguerra ai piedi delle montagne friulane tra i torrenti Meduna e Cosa, in provincia di Pordenone, si estendeva un orto sterminato dove crescevano rigogliosi all'ombra di peri, meli, nespoli e susini, patate, scalogno, erbette, kren e cipolle tutte rosa. Queste ultime, quasi scomparse dopo lo spopolamento della zona dagli anni ‘50, sono state lentamente reintrodotte grazie al ritrovamento di vecchie sementi. La riscoperta delle cipolle rosa risale al 1980 e si deve a Giannino Cozzi, quando è tornato nella sua Castelnovo dopo anni di lavoro come mosaicista a Milano. "Conoscevo bene la cipolla rosa che coltivava anche mia mamma", spiega. "Tante donne, con gli uomini prima in guerra poi emigrati, grazie alla vendita di questa cipolla e dei suoi preziosi semi hanno sfamato la famiglia". La Cipolla della Val Cosa dal 2008 è registrata come Pat (Prodotto agricolo tradizionale) e in seguito è anche diventata Presidio Slow Food, a sottolineare che solo da semi selezionati in questo luogo specifico nascono cipolle con le sue caratteristiche qualità; lo stesso seme altrove darà un prodotto dalle peculiarità diverse, così come un seme della stessa varietà di cipolla ma ricavato da colture non autoctone. "Per la reintroduzione della cipolla e la coltivazione con metodo naturale, come un tempo, abbiamo chiesto aiuto agli agronomi dell'Ersa (Ente regionale per lo sviluppo rurale)", spiega Cozzi. "In Val Cosa la cipolla viene dolce e non fa lacrimare perché il terreno argilloso ricco di quarzo e silice le dà un inconfondibile gusto amabile e un tenore zuccherino del 10%. Ora, grazie al seme ritrovato dal mio amico Celio, facciamo centomila piantine in un anno, vendiamo il seme ai vivaisti e agli inizi di aprile distribuiamo le piantine agli appassionati sul territorio perché tutti possano godersele". Un'azione di orticoltura democratica che non si limita alla cipolla ma a tutti i frutti della terra della Val Cosa con manifestazioni come Il gno Ort (il mio orto) a Villa Sulis e attività didattiche permanenti a cura de Le Rivindicules, che organizza anche camminate negli orti "per portare la gente fuori dei condomini", continua Cozzi, "e far riscoprire il gusto della terra. L'associazione prende il nome dalle donne coltivatrici che partivano a piedi o in bicicletta a vendere ortaggi, semi e bulbi da Spilimbergo ai villaggi più remoti della zona fino alle malghe. L'arrivo delle rivindicules era una festa perché portavano con sé prodotti freschi e carnosi dalla valle, che era considerata l'Eden della regione. Crescevano qui cavolo broccolo, susine selvatiche, uva e ulivi, che pure si stanno recuperando. Piante autoctone molto robuste che non richiedono interventi chimici". Le cipolle si seminano in luna calante a febbraio, si concimano semplicemente con letame e in maggio vengono trapiantate le migliori piantine (spuntando radici e foglie), con l'insalata a fianco che limita la crescita d'erba. Si raccolgono a mano a fine agosto, si lasciano riposare per qualche giorno all'aria e si conservano a lungo. Poi, vengono unite intrecciando fili di paglia con gli scapi fiorali secchi (i gambi dei fiori al centro del ciuffo di foglie che sono piuttosto robusti), si appendono all'asciutto e si utilizzano al bisogno per qualunque ricetta. Dal classico frico alle succulente composte in agrodolce con zucchero o miele e profumate a piacere con melissa o timo serpillo.
Silvia Bombelli,
novembre 2023
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