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La moltiplicazione dei pesci (allevati)

News ed EventiNewsLa moltiplicazione dei pesci (allevati)

L’anno scorso per la prima volta il pesce allevato ha superato sui mercati quello pescato. Un bene o un male?

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Un bene. Non c’è dubbio secondo gli esperti. Ma andiamo per gradi facendo qualche riflessione per capire la portata dell’argomento. Consideriamo ad esempio (come si legge sulle pagine de Il Sole 24 Ore del 26 aprile) che oltre il 60% della popolazione mondiale vive entro 100 chilometri da una costa e che 18 delle 21 megalopoli del globo sono in riva al mare. Non stupisce quindi che dall’estrazione del petrolio allo sfruttamento delle correnti marine per l'energia rinnovabile, l’interesse economico e scientifico si stia spostando sempre più verso il mare. Blue economy, la chiamano.

Una risorsa che crea soldi e lavoro, che apre nuove frontiere alla ricerca e, soprattutto, che ci dà da mangiare. L’anno scorso i consumi di crostacei e pesci allevati hanno toccato la soglia dei 10,3 chili pro capite, superando per la prima volta nella storia quelli di pesce selvaggio (9,7 chili pro capite). Come è potuto succedere? L’analisi è complessa, ma basti dire che il pesce allevato costa meno e che il pesce selvaggio inizia a scerseggiare. Se aggiungiamo che sul nostro pianeta vivono 11 miliardi di persone, per la maggior parte concentrate vicino alle coste, ecco che l’acquacoltura, ovvero la possibilità di coltivare il mare così come da sempre abbiamo fatto con la terra, diventa una svolta fondamentale per la nostra sopravvivenza. Non solo, aiuterebbe anche la biodiversità marina a mantenere standard accettabili, evitando di mettere a rischio le specie ittiche più apprezzate.

D’altronde la carne che mettiamo in tavola non viene da mucche o da polli allo stato brado. E nemmeno l’insalata e le carote che mangiamo sono selvatiche. Se la caccia non è più una necessità sulla terra perché dovrebbe esserlo in mare? L’importante, come sempre, è agire con cautela. Evitando disastri ecologici come quello occorso in Tailandia dove, per impiantare enormi allevamenti di gamberi lungo la costa, sono state abbattute migliaia di magrovie. Peccato che le mangrovie sono un barriera naturale contro gli uragani e nel 2011 la furia dell’acqua ha potuto invadere l’entroterra provocando danni che tutti ben ricordiamo.

Perché l’acquacoltura sia una pratica sostenibile l’Onu ha dunque decretato una serie di regole volte a proteggere l’ambiente costiero e acquatico. Rispettandole, scopriremo che il mare può darci molto, più di quello che pensiamo. Come dimostra il successo di un incredibile esperimento: davanti a Noli, in Liguria, a 8 metri di profondità cresce il basilico! Le “serre” sono grandi biosfere chiamate Orti di Nemo e rappresentano, con successo, una risorsa dal grande potenziale. Una piccola Atlantide che presto ospiterà anche le fragole e forse alcune specie di fiori. Viene da chiedersi perché coltivare le piante in fondo al mare… Le risposte sono molte, prime fra tutte che lì non ci sono i parassiti e lo spazio è sconfinato.

Cristana Cassé
30 aprile 2015

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