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News ed EventiNewsIn cucina come in atelier: intervista a Matteo Torretta

In cucina come in atelier: intervista a Matteo Torretta

Abbiamo incontrato e intervistato Matteo Torretta, chef del ristorante Asola, al nono piano del Brian&Barry Building San Babila a Milano. Il suo è un locale chic, minimale e informale al punto giusto. L'ispirazione è parigina. Il resto ce lo racconta lui

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Perché accontentarsi del settimo cielo? Il giovane Chef del nuovo ristorante Asola - Cucina Sartoriale di via Durini a Milano, Matteo Torretta, punta ancora più in alto. E sceglie l’attico al nono piano del Brian&Barry Building San Babila per la sua cucina con terrazza panoramica e vista sul centro di Milano. Lo stile del ristorante? Chic, minimale e informale al punto giusto. Proprio come il ristorante di Parigi a cui Torretta si è ispirato, quello di Joel Robuchon a Saint Germain. Cucina centrale a vista, senza confini, e intorno un bancone dove accomodarsi, su comode poltrone sgabello, a gustare i piatti dello chef. Prima con gli occhi e poi con le papille.

E di Matteo Torretta, oltre alla storia dei suoi ventidue tatuaggi incisi negli ultimi sei anni (che trovate in internet), cosa sappiamo? Abbiamo fatto una chiacchierata con lui, tra una delizia fumante e l’altra cucinate in tempo reale sotto i nostri occhi. Mentre il suo pasticciere, Galileo Reposo (già conosciuto per la sua esperienza al Park Hyatt Milano), era impegnato nella preparazione della torta nuziale a sei piani dello chef, che si è sposato il giorno dopo la nostra intervista.

Chef, lei è giovanissimo, ma nonostante questo ha lavorato con i più grandi della cucina.
«Ho terminato gli studi nel ’99, poi ho fatto il militare, lavorando in cucina e lì ho capito che quella era la mia strada. Così ho puntato in alto, non volevo perdere tempo, avevo le idee chiare e sapevo esattamente dove sarei voluto arrivare. Il primo anno ho lavorato a Parigi in un bistrot, il secondo all’Albereta, con Gualtiero Marchesi, insieme a Andrea Berton e Enrico Crippa e, infine, ho lavorato con Giancarlo Perbellini, Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo».

Cosa le hanno insegnato questi grandi chef?
«Gualtiero Marchesi mi ha trasmesso la passione per il mestiere, Giancarlo Perbellini la gioia di lavorare, Carlo Cracco la serietà e l’importanza del rispetto della gerarchia in cucina. Da Antonino Cannavacciuolo, invece, ho imparato a scegliere le materie prima di altissima qualità da cui non si può prescindere se si vogliono ottenere certi risultati».

Ma non contento vola in Spagna, giusto?
«Sì, nel 2005 mi sono trasferito a San Sebastian e ho lavorato anche con Martin Berasategui, che mi ha insegnato le tecniche più innovative della cucina».

Chi della sua famiglia le ha trasmesso l’amore per la cucina?
«Mia mamma è tarantina, mio padre milanese. Credo di aver imparato molto da mia madre e da mia nonna. Il mio primo piatto l’ho preparato a 14 anni, me lo ricordo ancora, era un risotto».

Quali sono i suoi piatti preferiti?
«La pizza margherita. Se potessi la mangerei anche a colazione. Poi amo i risotti, il pesce e il tiramisù».

Adesso che è chef chi cucina in casa?
«Io non cucino mai. Usciamo spesso fuori a cena e quando capita di rimanere a casa, ci pensa la mia compagna. Lei è messicana, ci siamo conosciuti in Spagna subito dopo gli studi. E, nonostante nella vita sia una grande pasticciera, se la cava molto bene anche con il salato».

Quali sono a Milano i suoi ristoranti preferiti?
«Andiamo spesso Al Pont de Ferr, normalmente non guardo mai il menù, perché amo farmi consigliare e affidarmi ai miei colleghi. Con Mathias Perdomo, lo chef del ristorante, non si sbaglia mai. Un altro ristorante in cui torno sempre volentieri è il Finger’s, la cucina è giapponese creativa, direi nippo-brasiliana».

Chef come definirebbe la sua cucina?
«Internazionale, ma soprattutto mediterranea interpretata. Visto che il 60% della clientela è italiana».

Quanto costa un business lunch con vista panoramica su Milano?
«Circa 30 euro. A pranzo abbiamo anche le “light portion” per chi desidera assaggiare più piatti senza appesantirsi. La sera, invece, il ristorante Asola si trasforma in un tempio gourmet, dove l’esperienza culinaria si trasforma in sensoriale».

Martina D'Amico
novembre 2014

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