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News ed EventiPiaceriLa pizza italiana all’estero? Da Parigi a Tokyo, adesso è contemporanea

La pizza italiana all’estero? Da Parigi a Tokyo, adesso è contemporanea

È il cibo più amato del mondo, ma se nei decenni, accanto alle variazioni “local”, all’estero si è affermato soprattutto il modello tradizionale della pizza partenopea negli ultimi anni le cose stanno cambiando

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Se la pizza è il cibo più amato al mondo, molto lo si deve ai pizzaioli italiani che – in particolare a partire dal secondo dopoguerra, e soprattutto dalla Campania a cominciare dal piccolo borgo di Tramonti, nell’entroterra della Costiera Amalfitana – sono andati nei cinque continenti in cerca di fortuna affidandosi alla propria manualità e a ingredienti semplici e tutto sommato reperibili quasi ovunque: farina e lievito, in primis, e poi mozzarella e pomodoro che, grazie alla globalizzazione, oggi arrivano facilmente e di grande qualità quasi ovunque. Ma se nei decenni, accanto alle variazioni “local” nate dall’assimilazione pressoché completa di questo cibo nelle culture del luogo, all’estero si è affermato soprattutto il modello iper-tradizionale della pizza partenopea – con tanto di marchio dell’Associazione Verace Pizza Napoletana a garantire la fedeltà al modello di base, e con Margherita e Marinara a tenere alta la bandiera –, negli ultimi anni le cose stanno cambiando.

Di pari passo con l’evoluzione della pizza entro i confini dello Stivale, dove le lievitazioni si sono affinate per ottenere dischi sempre più digeribili e i condimenti sono diventati spesso vere e proprie preparazioni di cucina, lasciando spazio a nuovi stili e nuove forme – dal geniale Trapizzino romano che contiene i sughi in una “tasca” di impasto, alle tante varianti della pizza in teglia o al padellino –, anche la proposta dei pizzaioli italiani all’estero si è fatta più variegata e spesso più ambiziosa. Così oggi si stanno affermando anche nuovi modelli, fermo restando il grande lavoro sulla tradizione autentica – ma resa attuale da impasti impeccabili e condimenti di alta qualità – svolto da nomi di punta: da Ciro Salvo (che ha portato il suo brand napoletano 50 Kalò anche a Londra, a Trafalgar Square, a suon di Margherite, Cosacche e irresistibili frittatine di pasta) a Berberé (la catena dei fratelli Aloe, che sono partiti dieci anni fa da Bologna con una pizza “all’italiana” ben fatta e all’insegna della qualità ma senza troppi fronzoli, e oggi contano 19 locali tra svariate città italiane e Londra). E senza dimenticare l’opera massiccia di “evangelizzazione” in formula franchising del fortunato brand Michele In The World, che con oltre 45 insegne tra Italia, Stati Uniti, Giappone, Emirati Arabi e oltre, porta l’iconica proposta di Da Michele dal cuore di Napoli al mondo.

Gennaro Nasti - Parigi

Ma ormai gli appassionati di pizza, da Parigi a Tokyo, possono addentare con gioia alcune interessanti espressioni della “pizza italiana contemporanea”. Proprio la capitale francese ha fatto da apripista in tal senso, accogliendo già da diversi anni le creazioni esuberanti e raffinate di Gennaro Nasti, bravo pizzaiolo campano che ha stupito con impasti allo Champagne e topping elaborati nelle sue precedenti insegne, tornando però poi a sfornare proposte anche più legate ai canoni della tradizione nella sua nuova Brasserie Italienne.

Giuseppe Cutraro - Parigi

È stato invece il brand francese (ma ispirato all’italianità) Big Mamma a fare da trampolino di lancio per Giuseppe Cutraro, originario dei Quartieri Spagnoli di Napoli: modi schietti da scugnizzo ma testa e determinazione da imprenditore, l’artefice di Peppe Paris – brand social che racchiude i suoi sei indirizzi parigini, più la nuova apertura a Bordeaux in arrivo – racconta che la sua vita “è come un film”. Cresciuto senza agi con la mamma, decide di puntare sulla pizza per guadagnarsi da vivere e, dopo aver imparato le basi in città, gira il mondo sentendo però sempre nostalgia di casa. Alla fine la passione per gli impasti prende il sopravvento, lui studia e affina la sua arte, fino a che (insieme alla moglie conosciuta a Malta) non arriva a Parigi dove nel 2017 coglie l’opportunità di lavorare per un grande gruppo ben strutturato come Big Mamma. La vittoria del Trofeo Caputo 2022 nella categoria Pizza Napoletana Contemporanea – con la pizza che oggi figura in menu come Campione del mondo: pomodori gialli, prosciutto crudo, mandorle tostate, confettura di fichi, mozzarella di bufala e provolone – gli dà il là per iniziare a pensare in proprio. E se il successo del primo locale nel XX arrondissement, in rue Saint-Blaise, è una sorpresa, da quel momento in poi (anche grazie alle sue doti di comunicatore social) la fila è perenne. “Propongo una pizza napoletana contemporanea, che riprende la tecnica della panificazione partendo dalla biga. E quanto ai condimenti, per me il pizzaiolo diventa anche chef di cucina”, racconta.

https://www.peppeparis.fr/it/

Vincenzo Capuano - Berlino

Ha una storia simile – ma diversa – Vincenzo Capuano, giovane pizzaiolo originario di Scampia che ha lasciato il locale di famiglia per girare il mondo e far evolvere la sua tecnica con il brand Rosso Pomodoro, per poi tornare a Napoli dove ha aperto la prima pizzeria a suo nome nel 2016. Oggi la sua pizza contemporanea – in cui, dice, “ho codificato quello che faceva mio nonno mettendomi a studiare tecniche e farine, ma scegliendo di fare qualcosa di diverso da quello che fanno i grandi maestri della tradizione che rispetto molto” – è protagonista di ben 24 insegne CapVin in tutta Italia più quelle di Berlino e Bielefeld (e presto anche oltre oceano), con una squadra globale di oltre 400 persone. E se la “Capuano experience” prevede il taglio della pizza con le forbici d’oro che sono diventate il suo segno distintivo sui social, per non intaccare la struttura gonfia e ben alveolata del cornicione, in menu ci sono anche impasti al cacao, cornicioni ripieni e rivisitazioni di grandi classici come la Mimosa, pizza anni Ottanta che si veste di panna di latte campano, mais dolce, treccia di fiordilatte e prosciutto cotto di Praga aggiunto fuori dal forno, assieme a basilico e olio extravergine.

https://www.capvin.de/

Francesco Calò - Vienna

Ha scelto Vienna come sua “casa” Francesco Calò: poco più di dieci anni fa ha deciso di lasciare la comfort zone del panificio di famiglia in Puglia per mettersi in gioco e trovare la sua strada, puntando anche lui sulla pizza di stampo napoletano. Superate le difficoltà iniziali – dalle barriere linguistiche alle diversità culturali – e dopo la gavetta in una delle pizzerie più note della città, nel 2016 ha lanciato la sua Via Toledo Enopizzeria. Qui, nel cuore di Vienna, affianca alla pizza partenopea “evoluta” (con impasti super leggeri e digeribili, che in alcuni casi spingono più sulla croccantezza e su farine “alternative”) ingredienti di pregio in arrivo dall’Italia – a cominciare dal tartufo bianco pregiato, in stagione – e una notevole selezione di etichette, che nel 2020 e nel 2023 hanno valso al locale il premio per la migliore Wine List nella classifica 50 Top Pizza. “All’inizio è stato un azzardo, a detta di molti ero un folle, ma si è rivelato un vero successo” afferma Calò. E nel bel locale di Vienna, oltre alle pizze da scegliere alla carta – dalla montanarina fritta con alici di Cetara, o quelle mignon con gamberi e caviale, alla reinterpretazione moderna della Salsiccia e friarielli con la verdura in crema – si può scegliere anche il percorso degustazione La Mano, in cui ci si affida a Calò e ai sette assaggi da lui proposti da abbinare volendo ad altrettanti calici (a un costo a persona di 80 euro, più 65 per i vini).

https://viatoledo.at/

Daniele Cason - Tokyo

Si sale al 38° piano del lussuoso hotel Mandarin Oriental a Tokyo, nel centrale quartiere di Nihonbashi, per assaggiare le pizze di Daniele Cason al The Pizza Bar On 38Th: in Asia ormai da diversi anni, l’Executive Chef romano – che era stato al fianco di Lele Usai nell’apertura de Il Tino a Ostia, ristorante oggi stellato nella vicina Fiumicino – si è dedicato (anche) alla pizza, che sforna con il suo team a pranzo e cena dal forno a legna davanti agli otto posti del bancone di marmo dell’elegante locale premiato per due anni di fila come il migliore della zona “Asia Pacific” da 50 Top Pizza. Unendo classicità di stampo italiano – soprattutto nell’impasto che guarda alla tradizione romana della pizza alla pala –, un bel lavoro di ricerca su prodotti e preparazioni locali e il proverbiale Omotenashi (cura per l’ospitalità) nipponico, al posto del menu Cason propone un’esperienza di “Pizza Omakase” in cui ci si affida a lui per la scelta degli assaggi: gli ospiti provano otto spicchi differenti, appena sfornati, su cui lo chef utilizza secondo la tradizione giapponese ingredienti strettamente di stagione che arrivano da una rete di oltre 50 fattorie disseminate su tutto il Giappone, dalla prefettura di Hokkaido a quella meridionale di Okinawa. Così accanto alla classica Bufala – pomodoro, mozzarella di bufala e basilico – o alla pizza con la mortadella, sul disco possono finire erbe selvatiche giapponesi, Shintamanegi (cipollotto) con spugnole e pancetta fatta in casa, e altre combinazioni irripetibili e squisite.

https://www.mandarinoriental.com/en/tokyo/nihonbashi/dine/the-pizza-bar-on-38th

Luciana Squadrilli,
aprile 2024

TAG: #pizza

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