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Fritto napoletano

Cuoppi, crocchè, montanare o pasta cresciuta: all'ombra del Vesuvio basta un tuffo nell'olio bollente per trasformare in bontà dorata e croccante ogni ingrediente

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Se a Napoli vi danno del "cuopp' alless'" offendetevi pure perché vi stanno dicendo che il vostro aspetto è sgraziato come quello di un involucro di carta che ha perso la sua forma sotto il peso di qualche manciata di castagne lesse. Se, però, vi offrono un cuoppo di fritto accettatelo con gioia, perché avrete tra le mani una cornucopia di carta, ricca di piccole delizie da assaporare passeggiando, un condensato di cucina partenopea in formato mignon. Se poi, una volta finito il fritto, dovessero tirarvi i "cuppetielli appresso", fate attenzione perché si starebbero prendendo gioco di voi. Ma questo è un altro discorso. Che siano stati gli Egiziani o gli Ebrei a scoprire quanto possa essere buono un alimento cotto per immersione in un grasso bollente, poco importa, perché è decisamente a Napoli che il cibo fritto ha trovato la sua patria d'adozione. Qui si è sempre fritto di tutto, dal semplice impasto di acqua e farina alle uova, dalla polenta alle verdure, dal riso alla pasta, dal pesce alla carne, perfino le alghe diventano un boccone succulento. I napoletani hanno capito molto presto che un bel cuoppo di fritto può sfamare rapidamente, con poco e senza neanche il fastidio di sedersi a tavola. Prendete per esempio la "mazzamma", cioè gli scarti di pesci piccoli e poveri, buoni solo per i gatti: una volta fritti, qui sono diventati un pasto energetico, appetitoso e a poco prezzo per chi non aveva troppi mezzi. Con il tempo, poi, il termine mazzamma è passato a indicare, in tono dispregiativo, persone di basso ceto e di poco conto, considerate scarto anch'esse. Ma anche questo è un altro discorso. Insomma, da sempre friggitorie, rosticcerie, carretti o furgoncini adattati all'uopo hanno trovato il loro luogo ideale da queste parti. Pensate che già nel '500 Giovan Battista del Tufo, poeta napoletano che descrisse nei suoi versi usi e costumi dei suoi conterranei, scriveva di ambulanti e di zeppole "co lo mele". A Napoli ogni pezzo croccante e dorato ha, però, una storia a sé. La pizza per esempio, quella fritta evidentemente, nasce nel secondo dopoguerra nei bassi napoletani, quando molti dei forni erano andati distrutti dai bombardamenti e anche mangiare una pizza era diventato un lusso. Allora molte popolane, per far quadrare i conti, si misero a vendere sull'uscio di casa dischi di impasto cotti in calderoni di olio bollente. Dando anche la possibilità di comprare a credito, o come si dice a Napoli pagare "a ogge a otto" ovvero mangi oggi e paghi tra otto giorni. La mozzarella in carrozza, poi, è figlia dell'ingegno e dell'arte del recupero: a Napoli questo formaggio è una religione, si consuma fresco di giornata, tutt'al più l'indomani, e tra gli innumerevoli modi di utilizzarne gli avanzi c'è quello di tagliarli e metterli tra due fette di pane cafone (avanzato anch'esso), per poi impanarli e friggerli. E la carrozza cosa c'entra? Pare fosse il mezzo su cui viaggiava il latte per arrivare in città che a causa degli sbalzi e degli scossoni spesso si cagliava e diventava buono solo per produrre formaggi a pasta filata (come fiordilatte e mozzarella per l'appunto). Sui crocchè di patate, invece, le teorie sono controverse. C'è chi li vuole figli delle croquettes francesi, strette parenti di quelle che consigliava a fine '700 Augustin Parmentier, tra i primi ad accorgersi che le patate non erano solo pasto da animali. E c'è chi li considera la versione povera delle croquetas de jambon spagnole. Quale che sia la verità i crocchè di patate rappresentano l'emblema di Napoli e della sua cucina, frutto di contaminazioni e stratificazioni, di mescolanze e anche, perché no, di confusione. E a proposito di confusione è bene chiarire cos'è un panzarotto, che qui non ha niente a che vedere con la mezzaluna ripiena dei pugliesi (quella per i napoletani è un calzoncino), ma è un crocchè più grande, dalla forma bombata, che per la farcitura, in genere di fiordilatte, presenta un piccolo rigonfiamento, una pancia insomma, proprio quella che gli dà anche il nome.

Lydia Capasso
luglio 2023

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