Viaggio alla scoperta dei 26 paesi della regione inclusi tra i borghi più belli d’Italia. Un invito a visitare località meravigliose, lontane dai riflettori
Appena fuori dal perimetro delle città lombarde si trovano piccoli villaggi affacciati sui laghi, arroccati sui monti, sparsi tra le colline o distesi nello spazio della pianura. Mete ideali di amene gite fuori porta, il loro tratto distintivo è la bellezza, non solo paesaggistica, ma anche storica, artistica, rurale ed enogastronomica. Ecco un percorso ideale, da Est a Ovest, per scoprirli tutti.
Percorrendo le antiche vie di Maccagno, con le case addossate e l’impianto medievale, si scoprono monumenti che rivelano l’importanza storica di questo paese sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, raggiungibile fino alla fine dell’800 solo dall’acqua. I più rilevanti sono la Torre imperiale, eretta nel Basso Medioevo a difesa dell’abitato, e il Santuario della Madonna della Punta, che sorge su uno sperone roccioso affacciato sul lago e regala seducenti panorami. Dalla zona superiore del borgo, lo sguardo riesce ad abbracciare tutto il Verbano, dal Canton Ticino al golfo Borromeo, un paesaggio che muta colori con il passare delle stagioni. Sono da vedere anche la Corte Branca, dall’elegante loggiato e, negli angoli più reconditi, alcuni affreschi votivi, talvolta risalenti al ’500. Giù al porto si trova lo stemma della famiglia Mandelli, nobile casato lombardo con numerose podesterie di città dell'Italia centro-settentrionale, circondato da iscrizioni che riportano i dazi delle merci sbarcate. Tra queste vi è anche il formaggio e ci piace immaginare che già si trattasse della Formaggella di capra del Luinese, che oggi è il simbolo di queste valli. La Formaggella è un latticino a pasta semidura che stagiona almeno 20 giorni, ha un sapore dolce e delicato ed è l’unico formaggio di capra italiano a vantare il marchio europeo della Dop. Alla sua produzione si deve il recupero e la sopravvivenza della razza caprina locale, la Nera di Verzasca che sopporta temperature estreme e ama l’estate. In cucina è versatile e si presta all’elaborazione di numerose ricette, dando sapore ai primi piatti e accostandosi pure con il pesce di acqua dolce. In visita a Maccagno è il miglior souvenir da portare con sé. A proposito di pesce lacustre, nel territorio della provincia di Varese si è costituita nel febbraio 2022 la Confraternita del Ris in Cagnun col Persic (riso in cagnone con il pesce persico) che ha l'obiettivo di promuovere e preservare le tradizioni legate a un piatto tipico che rischiava di venire dimenticato. L’impegno dei 33 soci è diffondere la sua preparazione secondo la ricetta codificata nel capitolato, organizzare cene, festival e corsi di cucina per celebrare la cultura del riso e del pesce lacustre, sostenere le attività di ricerca del patrimonio culturale.
Chi volesse ripercorrere alcune tappe del Grand Tour in Lombardia dovrebbe necessariamente far sosta a Tremezzina, sul lago di Como. Risalgono al Settecento, con l’arrivo dei personaggi della borghesia europea, le sue ville e i monumentali giardini. La più rinomata è Villa Carlotta, oggi proprietà dello Stato e trasformata in pinacoteca e museo botanico. Uno degli antichi proprietari all’inizio Ottocento acquistò numerosi capolavori del suo tempo che sono ancora conservati ed esposti nell’attuale museo. Nelle sale del piano terra si possono ammirare opere di Antonio Canova, Giuseppe Bisi e Francesco Hayez mentre ai piani superiori si apprezzano mobili e suppellettili appartenuti a Carlotta di Prussia e Giorgio II di Sassonia Meiningen. Se si amano i colori delle fioriture e i giardini storici, bisogna assolutamente visitare la villa durante il periodo primaverile, quando fioriscono rododendri, azalee e molte altre delle oltre cinquecento specie di piante presenti. Vale anche la pena trovare del tempo per concedersi una passeggiata all’interno del Parco Teresio Olivelli, dal quale si accede direttamente al lago attraverso una scalinata, e al Museo del Paesaggio del Lago di Como che custodisce antiche stampe del Lario e un sistema multimediale che permette di confrontare mappe e immagini storiche con l’attuale assetto del paesaggio. Le silenziose contrade in collina come Rogaro e Balogno ospitano palazzi nobiliari e si raggiungono con facilità a piedi lungo stradine in acciottolato. Nei ristoranti della zona è assai diffuso il risotto al pesce persico mentre il dolce della tradizione è il paradell. Questa semplice delizia consiste in una pastella di farina, uova e latte farcita di fettine di mela e fritta nel burro.
Un viaggio nel tempo attende chi decide di vistare il borgo di Corenno Plinio, frazione di Dervio, incastonato su un promontorio roccioso ai piedi del monte Legnoncino e affacciato sul Lago di Como. Oggi ad abitarvi stabilmente sono meno di 20 persone ed è ben noto tra i camminatori per essere una tappa lungo il Sentiero del Viandante, un percorso di trekking di 40 chilometri che si snoda sulla costa orientale del Lario, quella lecchese. Tuttavia molti turisti scelgono Corenno Plinio per il suo fascino antico. La pianta del borgo è ancora oggi un preciso esempio di come poteva essere un villaggio medievale: intorno alla piazza si trovano la chiesa, il palazzo del Comune e, poco discosto, il castello con le sue mura. Il maniero è costruito in pietra, possiede una torre quadrata a nord e una a vela a sud. In questo microcosmo realizzato per difendere la comunità da eventuali assalti potevano un tempo trovare ricovero la popolazione, il bestiame e i generi di sopravvivenza necessari a una lunghissima resistenza. La cinta muraria è avvinghiata alla roccia e subito sotto di essa si trova la piazza con la chiesa di San Tommaso di Canterbury. Esistono documenti che fanno risalire l’edificio religioso alla fine del XII secolo, quando era destinato a servire da cappella di famiglia per gli Andreani, i feudatari del luogo. Oggi la facciata, forse la porzione più interessante della chiesa, appare assai trasformata rispetto all’originale, essendosi sovrapposti numerosi stili architettonici. Una scalinata composta da 493 gradini scolpiti nella pietra porta fino al lago. Bisogna attendere il tramonto per rilassarsi ammirando il cremisi del cielo e la prepotenza delle montagne della Valvarone. Il porticciolo era un tempo il punto di partenza di numerosi pescatori alla ricerca del buon pesce di lago. Di quei tempi è sopravvissuta la tradizione di consumare i missoltini, gli agoni essiccati e conservati per almeno tre mesi in attesa di essere consumati come antipasto o secondo piatto, freddi o appena scottati, con fette di polenta alla griglia.
Al bel paese rivierasco di Bellano i turisti di solito giungono dopo aver visitato il grandioso incavo creato dalle acque spumeggianti del torrente Pioverna che precipitano sulla roccia, un gioiello naturale famoso come l’Orrido di Bellano. Facilmente visitabili sono le sue suggestive spelonche, gli angusti anfratti e lo stesso canyon grazie a un sistema di passerelle ancorate alle pareti che recentemente è stato ampliato fino a raggiungere la grande cascata a monte. Aiuta a entrare in sintonia con la vertigine data dal luogo, l’ingresso a Cà del Diavol, un’antica torretta costruita a ridosso del Pioverna che riporta affreschi raffiguranti il diavolo e altre figure mitologiche attorno alla quale sono nate molte leggende. Grazie a un viaggio multimediale si possono apprezzare la nascita dell’orrido e la storia del lago di Como fino alla rivelazione turistica di questi luoghi. Chi visita Bellano il 5 gennaio, assiste da 400 anni alla Pesa Vegia, manifestazione in costume che ricorda quando, sotto il dominio spagnolo, i bellanesi ottennero di utilizzare le proprie vecchie unità di misura (la pesa vegia, appunto) invece di cambiarle con quelle imposte dal governatore Da non perdere, poi, in qualunque stagione, la chiesa dei Santi Nazaro e Celso, nel centro del paese, un bell’esempio di architettura romanico-gotica a opera dei maestri comacini. Sono da notare il rosone e, all’interno, il polittico della Vita di San Giovanni che risale al Quattrocento. Grazie alla sua posizione e al clima mite del lago, il comune di Bellano vanta un’ampia area coltivata a ulivi, tanto che qui si produce l’olio extravergine d’oliva Dop Laghi Lombardi, sottozona Lario. Ottenuto dalle varietà Casaliva (presente per almeno l’80%), Leccino e Frantoio, quest’olio ha un aroma fruttato leggero che al palato esprime un’armonia tra gusto dolce, amaro e piccante. Ideale per accompagnare piatti di pesce d’acqua dolce alla griglia, può essere indicato anche per degustare alcuni formaggi locali. Alla cultura gastronomica di questi luoghi è dedicato il Museo etnografico del Latte e della storia della Muggiasca (la valle di Bellano) che permette di scoprire oggetti e lavorazioni e propone un calendario di eventi promuovendo una visione sostenibile del territorio.
Primo comune d’Italia ad aver adottato un piano urbanistico a zero consumo di suolo, con un ambiente straordinario e un patrimonio architettonico intatto, Cassinetta di Lugagnano dista solo 25 km da Milano ma è lontana anni luce dai ritmi frenetici del capoluogo. Tanto che non è esagerato affermare di poter rivivere in questo comune la Lombardia di un tempo. L’istituzione del Parco regionale del Ticino ha senz’altro contribuito al mantenimento di un paesaggio idilliaco e quieto. Lungo il Naviglio Grande, che separa i due nuclei di Cassinetta e Lugagnano, uniti tra loro da un ponte a schiena d’asino, si affacciano ben 15 ville nobiliari che tra il Settecento e l’Ottocento erano luoghi di vacanza delle famiglie nobili milanesi. Oggi il Naviglio Grande è uno straordinario strumento di promozione turistica perché lungo le sue rive è stata realizzata un pista ciclopedonale lunga ben 200 km che alterna tratti asfaltati a strade sterrate creando un sistema detto Parco cicloturistico dei Navigli. Per alternare bici e navigazione in alcuni periodi dell’anno c’è anche il battello che fa diverse tappe lungo i canali e proprio qui ha uno dei moli di attracco. Il fitto programma organizzato dalla Pro Loco permette di assaporare tanti prodotti tipici: dalla frittella a gennaio in onore di Sant’Antonio Abate alle caldarroste di novembre. Tuttavia risaie e cascine rappresentano al meglio la località e per questa ragione a giugno si celebra la Sagra del riso, del Gorgonzola e del salame: non a casa il piatto più tipico è considerato il risotto al Gorgonzola.
Chi ama le rievocazioni storiche lo sa: ogni anno, in maggio, Morimondo si trasforma in una capitale medievale mettendo in scena Trecentesca, celebrazione legata alla battaglia di Casorate che, nel 1356, vide lo scontro tra l’esercito milanese e quello di Carlo VI di Boemia. A quel tempo Morimondo e la sua abbazia esistevano già e i suoi monaci cistercensi avevano bonificato le terre intorno al Ticino costruendo i canali necessari ad addomesticare l'acqua e utilizzarla per lo sviluppo dell’agricoltura. Realizzato con mattoni d’argilla cotti dagli stessi monaci che gli donano un aspetto molto caratteristico, il complesso religioso è ancora il centro della comunità. Bisogna visitare il chiostro, la sala capitolare e le sale di lavoro dei monaci per immergersi nel suo lontano e glorioso passato. Tutto il paesaggio intorno è stato riqualificato togliendo i cavi aerei, abolendo i cartelloni pubblicitari e impedendo il piano rialzato alle abitazioni. Morimondo è diventata così un’oasi di pace e bellezza all’interno dell’area più urbanizzata d’Italia. Meta domenicale privilegiata degli abitanti del capoluogo lombardo, dal quale dista pochi minuti d'auto, il paese non ha dimenticato le sue produzioni tipiche: le fattorie lavorano latte, formaggio, salumi e vi si coltiva il riso. Il suo piatto più rappresentativo è la cassouela. Malgrado l’immancabile codazzo di contenziosi storici intorno alla primogenitura della ricetta, pare che la versione odierna di questo piatto antichissimo abbia cento anni. Ancora nel 1834 Antonio Odescalchi, nel suo volume Il cuoco senza pretesa (Pietro Ostinelli Edizioni), la presentava infatti come uno stufato di cotiche e costolette di maiale, fegati e zampe di pollo, gambetti di vitello, verdure e verza, non dissimile dalla pietanza descritta nel ’500 da Ruperto de Nola nel Llibre de coch. Intorno al 1930 invece la cassouela diventerà quella che oggi amiamo e illustriamo.
Grazie a un intervento globale di restauro, che ha utilizzato esclusivamente materiali locali come il cotto e la pietra, Fortunago ha guadagnato una bellezza d’altri tempi e recuperato le atmosfere del passato. Passeggiando per questo borgo dell’Oltrepò Pavese, situato sulle colline che dividono le valli della Coppa e dell'Ardivestra, si ammirano infatti edifici con facciate in pietra a vista, balconi, davanzali e logge decorati di fiori e si percorrono viuzze che, all’ora del tramonto, si illuminano in modo romantico e avvolgente. Nel paese non mancano edifici degni di nota che meritano certamente una visita come la chiesa di San Giorgio che, insieme al palazzo comunale, domina l'abitato l’oratorio di Sant’Antonio Abate, risalente al Seicento e i resti del castello dalle probabili origini trecentesche (o forse ancora più antiche) con le fondamenta di una torre che rimase in piedi fino all’inizio del secolo scorso. Per dedicarsi a facili escursioni vale la pena raggiungere la parte superiore di Fortunago, a circa 600 metri di quota. Vi si trova un’area verde protetta con un’estensione di 400 ettari, dove crescono aceri, pioppi, betulle, castagni, ciliegi e molti altri alberi tipici dei boschi di latifoglia dell’alta collina: è il luogo giusto per rilassarsi in completa sintonia con la natura ammirando i colori di fiori selvatici come campanule, anemoni, bucaneve e mughetti. Nel 2015 Fortunago è entrato nel Guinness dei Primati con il singolare record dell’agnolotto più pesante al mondo, ben 148 kg. Tuttavia il suo piatto più tipico sono i malfatti, una sorta di gnocchi a base di bietole, pangrattato e ricotta. Si condiscono con burro fuso e ricotta affumicata oppure brasato o ancora sugo ai funghi. A fine luglio si può provare la schita, la focaccia locale, nel corso della sagra dedicata a questa specialità; mentre a settembre la Festa della Vendemmia celebra la raccolta dell’uva con musica e danze tradizionali.
Varzi è uguale a salame. Un tempo in ogni cascinale e oggi in ogni salumeria o trattoria del comune pavese si custodiva e custodisce l’orgoglio di una tradizione autentica. Riguarda un salame gustoso, saldo, senza uguali che dal 1996 gode del marchio di Denominazione di Origine Protetta. Nella lavorazione del salame di Varzi Dop vengono impiegati diversi tagli di carne suina (comprese le parti migliori, come la coscia), che sono sottoposti a un’attenta selezione per ottenere un prodotto di altissima qualità, morbido e profumato da un tocco d’aglio che passa nel vino rosso per insaporire le carni. Una volta stagionato nelle caratteristiche cantine varzesi per almeno 45 giorni, il salame di Varzi è sottoposto al taglio finale che deve essere eseguito con precisione, avendo cura di predisporre la fetta a becco di clarinetto. In questo modo le si dà una forma elegante e allungata mentre l’occhio può apprezzare le parti di grasso e di magro ben compenetrate e i grani di pepe nero. Arrivati a Varzi, attratti dal profumo del suo gioiello, vale la pena passeggiare nel borgo, caratterizzato da fascinosi vicoli, bassi portici e rustici acciottolati. La vista è catturata dalla torre del Castello Malaspina, che spicca nel panorama urbano, mentre nei cortili interni e nei giardini del palazzo si tengono spesso mostre ed eventi. Poco fuori dal centro storico, a stupire è la facciata della Chiesa dei Cappuccini con il suo alternarsi di motivi ornamentali, pietra arenaria e mattoni. Ancora più isolato, a Cella, sorge il Tempio della Fraternità dei popoli. Voluto dal cappellano militare don Adamo Accosa, raccoglie frammenti di chiese e luoghi sacri distrutti dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale: dalle guglie del Duomo di Milano a una pietra d’altare della Normandia (inviata da papa Giovanni XXIII prima di diventare pontefice). Così le conseguenze della guerra sono state trasformate in tasselli di pace.
La Val Tidone è un luogo sospeso nel tempo il cui paesaggio agrario disegna una della più belle contrade vitate d’Italia. A Zavattarello l’uomo ha reso l’ambiente ancora più poetico creando scenografici monumenti in pietra: castelli, chiese, piazze. Proprio il castello può essere il punto di partenza per scoprire il villaggio. La sua esposizione a oriente esalta i colori caldi e chiari della pietra arenaria e le scuderie, gli spalti, le decine di stanze dove è allestito il Museo d’arte contemporanea Giuseppe e Titina Dal Verme meritano alcune ore di visita. Da percorrere sono i sentieri adatti alle escursioni, per esempio la Via del Sale o la Via delle Sorgenti del Tidone che si snodano in una cornice naturale selvaggia. Con un po’ di fortuna tra boschi e prati si possono incontrare caprioli, cervi e daini. Al rientro, nella piazza del borgo, si ammirano gli edifici in pietra che conservano l’originaria ed elegante struttura architettonica. In questo ambiente naturale incontaminato è praticata con ottimi risultati la produzione di miele, avviata oltre 150 anni fa dal conte Luigi Dal Verme. L’interesse verso questa attività e la sua diffusione ha portato alla costituzione, nel 2015, dell’Associazione Agricoltori Oltrepò Montano, che raccoglie circa 40 produttori. In particolare a Zavattarello la produzione di miele avviene grazie a pratiche di apicoltura sostenibile, improntate al rispetto dell’ambiente e alla tutela della salute delle api. Tra fine settembre e inizio ottobre ai tanti doni della valle è dedicata la Fiera del Fungo, del Tartufo e del Miele organizzata dalla Pro Loco mentre nella cucina locale, tra i piatti più diffusi, spiccano i ravioli di brasato.
Nel 1890 lo storico Antonio Cavagna Sangiuliani scriveva che Golferenzo “presenta all’occhio di chi lo visita alcune case civili appartenenti a varie famiglie del paese, che fui assicurato, sono provviste di lauti patrimoni, e una vetusta magione costrutta a foggia di castello”. Ancora oggi in questo borgo che domina dall’alto la Valle Versa, si ammira l’antico Palazzo dei Signori, tuttora di proprietà privata. L’originario castello medievale venne distrutto nel XIII secolo e i suoi resti consistono in una torre inglobata in uno stabile nei pressi della chiesa. Probabilmente la torre servì per secoli da prigione poiché al suo interno furono rinvenuti alcuni ceppi di tortura. Dal sagrato della chiesa, nei giorni in cui il cielo è terso, si gode una magnifica vista sulla pianura padana. I sassi utilizzati per la costruzione delle case e di altri edifici storici sono l’elemento che contraddistingue l’architettura del borgo. Chi ama il movimento trova numerosi sentieri ideali per escursioni cicloturistiche e trekking tra boschi e vigneti che collegano tra loro le frazioni e i casolari sparsi sulle colline. Golferenzo è attiva anche culturalmente. Le sale del bel palazzo Belcredi-Belloni sono utilizzate da iKonica Art Gallery per ospitare a rotazione mostre d’arte, esibizioni fotografiche e lezioni di pittura. A fine luglio si celebra invece Convivium: in questa occasione i cortili del borgo vengono aperti per ospitare i migliori ristoranti del territorio e i vini dell’Oltrepò Pavese. Sembra allora di cenare in una favola e si può apprezzare al meglio il piatto locale, il brasato al vino rosso.
La storia di Gradella è strettamente legata alla famiglia Maggi, blasonato casato bresciano che acquistò diversi terreni in zona a partire dal 1558. L’ultimo conte, Aymo Maggi, morto nel 1961, dedicò molte attenzioni al borgo e ai suoi abitanti, sovvenzionando la costruzione della scuola, dell’acquedotto, dei bagni pubblici e del campo sportivo. Villa Maggi si trova proprio all’ingresso del paese ed è riconoscibile per la maestosità del cancello in ferro battuto. Gradella, che fa parte del territorio di Pandino, merita una passeggiata per godersi l'abitato rurale con le caratteristiche case dipinte in giallo e profilate di mattoni rossi. Mantiene la sua struttura grazie ai piani che vincolano gli interventi edilizi al rispetto di specifiche linee guida per salvaguardare l'identità urbana e gli originali criteri costruttivi degli edifici. Non a caso, è diventato anche luogo prediletto da alcuni artisti, che qui hanno scelto di vivere e aperto i propri atelier. Tra questi, Agostino Arrivabene, noto per la sua arte visionaria, e Paola Leone Morettini, ex indossatrice di Yves Saint Laurent e pittrice che nel colore ricerca la spiritualità. A Pandino ha sede l’importante Scuola casearia Stanga e la profonda tradizione lattiero casearia si manifesta nella produzione del Salva cremasco Dop, un formaggio che deve il proprio nome al fatto che un tempo costituiva l’espediente per salvare le eccedenze di latte. Il Salva Cremasco ha la forma di un parallelepipedo, un profumo di sottobosco, gusto burroso e dolce. Per quanto riguarda la cucina, il piatto caratteristico è la lingua salmistrata con il pipetto, una sorta di sformato di verza.
Bella borgata dalle radici agricole, Soncino ricade nel territorio del Parco Regionale Oglio Nord e conserva l’antico fascino grazie a fortificazioni del Duecento. Da allora le sue mura non hanno subito modifiche, salvo la sostituzione delle quattro porte. La cinta si snoda per 2 km percorribili a piedi da visitare facendo tappa al bastione di San Giuseppe, nei pressi della Porta di Sotto, un baluardo dotato di ambienti interni comunicanti tra loro e dotati di vie d’uscita. Lungo il lato occidentale del fossato, perennemente inondato, si possono ammirare i resti della chiusa che permetteva di allagare anche il fossato a sud. Bisogna mettere in conto almeno una giornata per visitare i principali monumenti di Soncino. Si può iniziare dalla Rocca, edificata dal 1473 ed esempio di fortificazione militare del Rinascimento per poi dirigersi alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, con il bel portale in marmo di Rezzato sormontato da un rosone. Fu consacrata nel 1528 alla presenza di Francesco II Sforza che aveva sostenuto le spese per l'imponente ciclo di affreschi che decora gli interni, opera di Francesco Scanzi e Giulio Campi. C’è poi la Torre civica, del secolo XII, in cotto. Alla base quadrata sono addossati i resti del Palazzo pretorio, ornati da monofore e bifore. Chi ama l’archeologia industriale può visitare il Museo della seta (con antichi strumenti e la precisa ricostruzione di come si ottiene) e il Museo della stampa (dove nel 1488 fu stampata la prima bibbia ebraica completa). In prossimità del fiume Oglio, oggi sorge il Parco del Tinazzo, un viridarium che fu luogo di caccia della famiglia Covi e dove nel Settecento furono piantate essenze estranee alla tradizione locale. A poca distanza, nella chiesa di Santa Maria della Neve, i pittori di passaggio hanno lasciato affreschi di carattere votivo. Al nome del borgo sono legate le radici, una varietà di cicoria perenne dal lungo fittone bianco e dal sapore amarognolo che possiedono un’azione disintossicante su intestino, fegato e reni e hanno avuto ampia diffusione sino agli anni Novanta. Per essere certi di poterle degustare, vale la pena visitare Soncino nella ricorrenza della Sagra delle radici che da quasi 60 anni (prima edizione nel 1966) si svolge la quarta domenica di ottobre. Buoni anche i salumi, specie salami e cotechini
C’era una volta: l’incontro con Castelponzone non può che iniziare dal suo nucleo medievale murato che oggi non ha più mura. Assenti anche gli artigiani che un tempo lavoravano lungo gli “strettini”, gli angusti vicoli che corrono sul retro delle case nelle vie principali e le separano dai rustici e dalle cantine. Erano falegnami, fornai, ma soprattutto cordai. Per alcuni secoli, infatti, il borgo si distinse per quest’ultima particolare produzione, oggi ricordata in un museo dove si illustrano le tecniche di coltivazione e preparazione della canapa, materia prima per ottenere le corde. Anche i portici, un altro elemento urbanistico che caratterizza Castelponzone, ospitavano tante botteghe artigiane, osterie e il mercato settimanale. Una volta brulicavano di vita ma ancora oggi mantengono il loro fascino e si possano considerare il salotto buono del villaggio. La visita può proseguire fino al centro di Scandolara Ravara dove la chiesa di Santa Maria della Pace, in stile romanico, conserva pregevoli affreschi che vanno dal XV al XVI secolo. Crocevia tra Mantova e Cremona, Castelponzone non può che essere rappresentato, a livello culinario, dai tortelli di zucca. Si distinguono dai loro cugini nel condimento, che preferibilmente è a base di sugo di pomodoro leggero e funghi chiodini. Chi ama il salame cremonese, quello caratterizzato da grana medio grossa e dalla fetta morbida, trova nelle campagne alcune buone produzioni.
Sabbioneta, fondata nella seconda metà del Cinquecento, fu costruita secondo il volere di Vespasiano Gonzaga come città ideale. Il suo patrimonio storico e artistico è tale da essere stata inserita nel circuito del Patrimonio dell’Umanità Unesco insieme a Mantova, nella cui provincia ricade. Un percorso che riesca, in una giornata, a saggiare la grande eredità culturale della città può partire dalla piazza Ducale, coronata dall’omonimo Palazzo (che tra XVI e XVII secolo fu centro della vita pubblica del piccolo Ducato di Sabbioneta), dal Palazzo della Ragione e dal Palazzetto del Cavalleggero. Da qui una breve camminata consente di raggiungere il Teatro all’Antica, primo esempio di teatro stabile in Europa. Tutt’intorno si sviluppano le mura con un perimetro a forma di esagono irregolare e sei bastioni a cuneo innestati agli angoli. Per la loro esecuzione Vespasiano non esitò a demolire e smantellare il castello di Rivarolo Fuori (Rivarolo Mantovano). Il bastione fortificato San Francesco è senza dubbio l’elemento più articolato dell’intera cinta muraria: collocato alle spalle di Palazzo Giardino, la villa suburbana del duca, ebbe una rilevante funzione strategica. Sabbioneta offre ai suoi visitatori una tradizione gastronomica di grande rilievo che riunisce la cultura culinaria dei cuochi alla corte dei Gonzaga e l’abbondanza della terra mantovana. Il suo prodotto più caratteristico è il filòs, un piccolo biscotto casereccio nel cui impasto si mescolano noci, nocciole, pinoli, tocchetti di cioccolato o menta a pezzi. “Fare filòs” significa nel dialetto locale raccontare storie e aneddoti a fine giornata e infatti in questo dolce si raccoglieva un tempo tutto ciò che era rimasto in dispensa. Nel 2019 i filòs della pasticceria Atena hanno ottenuto l’assegnazione della De.Co., la prestigiosa denominazione che ne certifica l’origine comunale. Ovunque viene servita la torta sbrisolona, ma il pasto a Sabbioneta prevede molto altro, a cominciare da un piatto di salame profumato all’aglio con il lard pistà (lardo battuto con aglio e prezzemolo) o i ciccioli. Durante la stagione più fresca si serve anche una fetta di cotechino per continuare con i tortelli di zucca o le tagliatelle al sugo d’anatra, il luccio alla salsa verde o lo stracotto d’asino. In stagione il melone mantovano Igp è il fresco sigillo per una cucina robusta e golosa.
C’è chi dice che c’è solo una piazza, simmetrica, teatrale, amata da grandi registi come Cesare Zavattini, Mario Soldati, Bernardo Bertolucci. L’ultimo Don Camillo, girato nel 1983 da Mario Girotti, mostra invece tutto il paese, compresi gli scorci meno noti, e rivela le potenzialità turistiche di questo borgo acquattato lungo gli argini del Po. La Piazza XXIII Aprile, certo, stupisce per la sua grandiosità e la sua perfetta geometria: passeggiando sotto i suoi portici pare di immergersi in quel tardo rinascimento a cui appartengono. Poi, alzando lo sguardo dal centro della piazza, ci si accorge delle belle case colorate a tinte pastello e di come le torri della chiesa di Santa Felicita e del Palazzo comunale si fronteggino. La storia racconta che Giulio Cesare Gonzaga, nella seconda metà del ’500, fece demolire le case private esistenti ordinandone la ricostruzione e che obbligò gli abitanti dell'area rurale a trasferirsi all'interno nel borgo. Oltre la cittadina, la fiorente agricoltura di un tempo ha lasciato tracce di sé nei cascinali, nei fienili e nelle corti, begli esempi di architettura rurale lombarda. Una decisa spinta al turismo la genera il Po, con la ciclovia che si sviluppa sulla sponda sinistra verso l’Oglio. Il silenzioso incedere delle biciclette in paesaggi che si perdono all’infinito consente di apprezzare i veri abitanti della Riserva naturale della Garzaia: il cavaliere d’Italia, la gru, la garzetta. La lontananza dai grandi centri abitati e la pacatezza della gente che vive nell’immensa pianura hanno permesso di mantenere inalterati cibi rustici e schietti, come tortelli di zucca, melacotogne e amaretti, la cui preparazione si fa risalire all’epopea gonzaghesca. Anche il lüadel, il pane di qui, ricco di strutto, nacque in tempi andati, quando serviva fare la prova sulla temperatura del forno prima di inserire nella grande bocca rovente l’intera biga. Si accompagna bene con i salumi locali, culatelli e salami.
Con tenace e paziente lavoro di bonifica i monaci benedettini risanarono le terre donate da Tebaldo di Canossa nel 984 e fondarono il Cenobio di San Benedetto che Matilde di Canossa dotò di cospicui beni. Meravigliose miniature dei cenobiti illustrano codici e corali, alcuni conservati presso le biblioteche comunali di Mantova e di Milano. Si respira la Storia con la S maiuscola a San Benedetto Po a partire dalla sua basilica, ricostruita in stile rinascimentale da Giulio Romano tra il 1539 e il 1544. Con il naso all’insù si possono ammirare la volta e le cappelle fastosamente ricoperte di stucchi e affreschi di Palma il Giovane, Guido Reni, Paris Bordone. Poi, nella Cappella dell’Immacolata, si guarda in basso per ammirare i mosaici pavimentali del 1151. Infine da visitare sono i chiostri: quello di San Benedetto, del XIII secolo, in stile romanico; quello di San Simeone, del XV secolo e quello dei Secolari, del XII secolo che portava alle celle di studio e alla grandiosa biblioteca dei religiosi attraverso un monumentale scalone. A chi si commuove leggendo il cielo stellato è riservata la visita all’Osservatorio astronomico, dotato di un telescopio computerizzato per il puntamento automatico degli oggetti celesti. Ma anche per chi ama la natura e l’etnografia è consigliata la visita del borgo: sentieri ciclopedonabili e il Museo civico Polironiano sono due appuntamenti assai ghiotti. Così come ghiotta è la cucina visto che San Benedetto Po è un centro strategico dell’arte salumiera mantovana. Il prodotto più rappresentativo, proposto anche in trattorie e ristoranti, è il salame cotto sotto cenere. Stagionato al massimo per una decina di giorni, viene avvolto in carta oleata e carta stagnola e poi lasciato accanto alle braci e sotto cenere per due ore e mezza in modo che durante la cottura il grasso suino ammorbidisca la carne. Lo si accompagna a fagioli stufati o purè di patate. Altro vanto norcino locale è poi il salame con la lingua. A rinverdire gli usi di un tempo ci pensa la Sagra del nèdar (l’anatra), il cui menu prevede capolavori come il risotto con sugo d’anatra, i tortelli all’anatra e i maccheroni al sugo d’anatra. La torta di tagliatelle, preparata nelle famiglie e nelle pasticcerie locali, è invece il dolce con cui il 13 dicembre si festeggia Santa Lucia. Secondo tradizione viene realizzata con tagliatelle sottilissime inframmezzate da un impasto di burro morbido mescolato a zucchero, amaretti e mandorle tritate.
Le anse del Mincio scorrono lente intorno al borgo delle Grazie, la frazione di Curtatone in cui sorge il santuario della Beata Maria Vergine. Il sito, consacrato nel 1406, ha richiamato per secoli migliaia di pellegrini che, all’ombra dei suoi portici, trovavano ristoro. Difficile rimanere impassibili di fronte alla molteplicità di ex voto che affollano il santuario, testimoni delle promesse fatte e dei miracoli avvenuti. La collezione comprende anche pregiati calchi in cera delle parti anatomiche di cui i fedeli chiedevano la guarigione, considerati l’unico esempio sopravvivente al mondo di questa antica usanza. A Ferragosto, per la Fiera delle Grazie, la piazza davanti al santuario si anima dei madonnari che disegnano con gessetti colorati scene di carattere religioso, perlopiù volti di Madonna. C’è un piccolo museo che illustra le tecniche utilizzate da questi artisti di strada e dove si possono seguire filmati delle edizioni passate. Nei mesi estivi si assiste anche alla fioritura del fior di loto (nonché di trigolo e nanufaro) che ha trovato tra le lanche, i meandri stagnanti del fiume, il proprio habitat ideale. I percorsi ciclabili sono un buon modo per conoscere le Grazie e i dintorni. I più sportivi noleggiano canoe e kayak per affidarsi allo scorrere del Mincio, ma è anche previsto un servizio di navigazione fluviale che porta alla scoperta della Riserva Naturale Valli del Mincio, zona umida di importanza internazionale. Il piatto locale è il luccio in salsa di prezzemolo e aglio, mentre lo speciale cotechino delle Grazie, che per la sua leggerezza si consuma proprio durante la fiera di agosto, ha ottenuto la De.Co., ovvero la denominazione d’origine comunale.
Quando non c’erano droni bisognava spesso immaginarselo; oggi è molto più facile fotografarlo nel suo splendore. Parliamo del Lagusello, il piccolo lago a forma di cuore citato nel toponimo Castellaro Lagusello. Certamente si tratta di una meta molto romantica, non solo per l’insolito profilo del laghetto, ma anche per la pace e gli angoli poetici del Castellaro, borghetto fortificato da antiche mura guelfe. A suggellare la passione degli innamorati, a metà giugno vi si organizza pure la Notte Romantica, in occasione della quale la torre campanaria resta aperta al pubblico così da consentire la vista notturna sul lago. Durante gli altri giorni si passeggia ascoltando i cinguettii delle oltre 50 specie di uccelli che hanno scelto di nidificare nei canneti sulle sponde dello specchio d’acqua. Ad accompagnarli è solo il ticchettio delle suole sul selciato. Le abitazioni rustiche e qualche trattoria tradizionale fanno la loro parte sottolineando il senso di intimità del luogo. La particolare posizione del villaggio sulle colline moreniche del Garda mantovano ha facilitato l’arrivo di numerosi turisti stranieri amanti delle escursioni in bicicletta che visitano il Benaco durante tutto il corso dell’anno. Monzambano, di cui Castellaro Lagusello è una frazione, è una terra di ottimi vini a denominazione d’origine, tutelati dal marchio Garda Colli Mantovani. Da provare la versione Rosato che ben si accompagna ai locali capunsei, gustosi gnocchetti di pane raffermo, formaggio grattugiato, brodo di carne e prezzemolo. Non mancano sulle tavole dei ristoranti e nei ricettari di famiglia versioni che prevedono l’aggiunta di noce moscata, burro e uova. I capunsei vengono serviti in brodo, ma molto più spesso conditi con un soffritto di burro, salvia e cipolla.
Dicono che bastò una sola visita perché Gabriele D’Annunzio si innamorasse di Gardone Riviera. E non è difficile crederlo. Già all’inizio del Novecento Gardone era una nota meta per il turismo invernale non solo in Italia ma soprattutto nei Paesi di lingua tedesca dove il suo clima mite era ritenuto un vero toccasana da tanti letterati, artisti e aristocratici. Se la cittadina del Benaco entrò a far parte della nostra storia fu però grazie al “vate” che proprio qui decise di costruire il famoso Vittoriale degli italiani (una sorta di eccentrica casa museo dedicata alla sua vita, alle sue molteplici attività, ai suoi ricordi e persino ai suoi vizi), che ha finito per divenire un complesso monumentale. Vi si trova anche il Mausoleo, con la tomba del poeta, visitato ogni anno da oltre 200 mila persone. Il vicino Giardino Botanico HellerHruska è nato da un altro progetto grandioso. Qui si viene catapultati in un viaggio tra ruscelli, grotte, ninfee, laghetti, rocce dolomitiche e tremila specie botaniche provenienti dal mondo intero che sul Garda hanno trovato un habitat ideale. Tra prati e corsi d’acqua sono pure collocate opere e installazioni di artisti come Keith Haring, Mimmo Paladino e Roy Lichtenstein. Consigliata è poi una passeggiata tra gli antichi vicoli del centro storico, con pittoresche gradinate e tante case dalle facciate colorate. Sul lungolago, tra splendide ville e grandi hotel di inizio secolo, ci si siede ai tavolini dei bar per godersi il via vai dei motoscafi e delle barche dei pescatori. Il pesce d’acqua dolce è il vanto gastronomico di Gardone Riviera: il coregone e il luccio sono i pesci più diffusi nei menu e si possono ordinare quasi ovunque. Sino a vent’anni fa erano assai tipiche le aole, note anche con il termine di alborelle, che venivano marinate o proposte in carpione. La ricetta è rimasta nella memoria degli abitanti anche se oggi viene spesso preparata con le sardine di lago.
La Strada della Forra che si snoda per 5,8 km nel comune di Tremosine è amata dai motociclisti di tutta Europa. La via si inerpica dal lago di Garda fino alla località Pieve, lungo una gola selvaggia, tra punte di roccia affioranti, sterzate inattese, tunnel naturali. Persino Winston Churchill definì questo percorso come l’ottava meraviglia del mondo e se ne accorsero anche gli autori di 007, che sul nastro d’asfalto gardesano girarono alcune riprese di Quantum of solace. Una volta giunti a Pieve, la cosiddetta Terrazza del brivido non è da meno, sospesa com’è a più di 350 metri sul nulla: il lago è ai suoi piedi, il Monte Baldo pare che si possa toccare con un dito. Da visitare tutto l’anno, Tremosine dà il meglio di sé durante il periodo pasquale, quando si immerge nelle tradizioni dei Sacri Tridui: tutto ha inizio nel fine settimana prima del mercoledì delle Ceneri quando la comunità si riunisce intorno alla macchina del Triduo, uno spettacolo di luci che illumina l’altare della chiesa di Pieve per tre giorni (“tridui”, appunto). Il giorno di Pasqua inoltre si tiene la Festa dello s-ciapì. L'usanza consiste nel tenere in mano un uovo sodo, colorato di erbe o scorze, mentre l’avversario lo colpisce con un altro uovo. Vincitore è chi mantiene integre le proprie uova. Gli appassionati di windsurf conoscono bene Tremosine, che ha un affaccio sul lago nella frazione di Campione del Garda. Tuttavia i cibi rituali di questo comune sono assai più legati alla sua anima montuosa e quindi alla terra, ai boschi, alle tradizioni casearie. Ecco quindi la polenta cùsa, arricchita dai formaggi, il capriolo e il tartufo nero, diffuso tra le faggete e i castagneti, ma soprattutto i capù, involtini di coste riempiti di pane grattugiato, aglio, prezzemolo, foglie dello stesso ortaggio e uova. Chiusi da uno spago e sbollentati vanno conditi con l’extravergine Garda Dop.
Sembra nata dalla spuma del lago, quasi fosse una Venere sospinta dall’ôra, il vento del Sebino che ogni giorno, nel pomeriggio, spira da sud a nord. Monte Isola, lo dice già il suo nome, è un’isola del Lago d’Iseo, ma è soprattutto una montagna. Da Siviano, infatti, il suo capoluogo, il lago si scorge dall’alto e alcune delle sue frazioni neanche lo vedono. Certo, c’è il borgo di Peschiera Maraglio, un tempo abitato da pescatori e principale approdo delle barche salpate da Sulzano, sulla terraferma. E c’è Carzano, ancora più acquattata sulle sponde dell’Iseo, distante appena 5 minuti di traghetto da Sale Marasino. Ma serve allontanarsi dal viavai del turismo domenicale e inerpicarsi lungo straducce e viottoli per conoscere davvero Monte Isola, i piccoli oratori dedicati alla Madonna, le residenze estive dei nobili bresciani del ’500, i Castelli di Menzino dove abitarono Caterina Cornaro e George Sand, le aie contadine di Olzano e Masse circondate da ulivi e vigne. Da non perdere è poi la salita fino al Santuario della Madonna della Ceriola, poco oltre il borgo di Cure, per l’immenso panorama che regala. Uno dei migliori salami d’Italia viene prodotto su quest’isola, accarezzato da l’ôra e anche da òl vèt (il vento mattutino) dopo una leggera e talvolta impercettibile affumicatura. Le carni dell’impasto vengono ancora sezionate a coltello, conciate con sale e pepe e inserite in budelli piccoli per una svelta stagionatura. Nella tarda primavera tutta l’isola partecipa al concorso annuale durante il quale vengono sottoposte al giudizio di esperti le capacità norcine dei vari produttori. Perché qui il salame è una cosa seria che non a caso ha ottenuto la prestigiosa Denominazione Comunale, il marchio di tutela di proprietà municipale. A Monte Isola si fanno poi provviste d’olio extravergine di ottima qualità e di buon vino. Ma anche di sarde essiccate (gli agoni). Come da tradizione i pesci asciugati dai venti montisolani, si dispongono a strati sott’olio di semi, in appositi contenitori, e si lascia che maturino per almeno tre mesi. Le sarde essiccate si consumano nelle trattorie dell’isola accompagnate da polenta grigliata oppure si possono acquistare nei borghi di Carzano e Peschiera Maraglio. Macchie strette nell’abbraccio del lago appaiono infine le due isolette di Loreto e San Paolo, di proprietà privata. Prima di andare via, si può chiedere al servizio taxi d’acqua di ammirarle da opportuna distanza.
“Il luogo più romantico che abbia mai visto in vita mia”, scriveva Lady Wortley-Montagu, scrittrice, poetessa e aristocratica inglese che nell’estate del 1749 visitò il lago d’Iseo. Nella sua lettera si riferiva a Lovere, sulla sponda nord occidentale del lago, dove alloggiò a Palazzo Marinoni, un edificio che ancora si lascia ammirare con i suoi eleganti archi e loggiati. Di tre secoli più recente è Palazzo Tadini, che oggi accoglie l’Accademia di Belle Arti, con preziose porcellane e un’importante pinacoteca con opere di Palma il Giovane, Jacopo Bellini e Tiepolo. Suo ospite d’eccezione fu, nel 1859, Giuseppe Garibaldi. Più a monte si trovano Palazzo Bazzini e il vicino Monastero di Santa Chiara, che custodisce importanti dipinti ed è tuttora abitato dalle monache Clarisse. Per capire l’importanza economica della cittadina si visita infine la basilica di Santa Maria in Valvendra probabile opera di artisti comacini, edificata come voto alla Vergine dalle famiglie che si erano arricchite con il commercio del panno loverese, un tessuto di lana a cui si deve la prosperità dei secoli XV e XVI. La Piazza del Porto e i portici che la coronano sono rimasti ancora oggi il salotto buono del Sebino, dove fermarsi per un aperitivo. Per ciò che riguarda la gastronomia locale, va sottolineato il costante utilizzo della farina di mais che arrivò a Lovere nel Seicento portata dalle Americhe dal capitano di ventura Pietro Gajoncelli. Oltre a diventare polenta con cui accompagnare il pesce d’acqua dolce, la farina gialla è l’ingrediente principale della torta Lòer (Lovere in dialetto), con le nocciole. Ideata in epoche recenti, semplice e fragrante, si è velocemente fatta strada nel cuore dei loveresi e dei visitatori arrivando a essere considerata il dolce tipico e più amato.
Bienno deve la sua prosperità all’acqua. Nel borgo che si arrampica sulla collina non si può rimanere indifferenti davanti alle numerose fontane che abbelliscono le piazze e gli angoli medievali. Il borbottio dell’acqua è la colonna sonora che conduce da Palazzo Simoni Fè a Torre Avanzini, di fondazioni medievali. Allo stesso periodo risale anche la Chiesa di Santa Maria, che però nei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti. Fortunatamente si possono ammirare, intatti, gli affreschi del Romanino nel suo presbiterio. A Bienno è stata l’acqua del Vaso Re, un canale artificiale, ad aver permesso nei secoli di avviare due attività economiche centrali per la sussistenza della comunità: la forgiatura del ferro e la macinatura di cereali e castagne. Per approfondire l’aspetto preindustriale dell’economia locale, vale anche la pena di avvicinarsi alla Fucina Museo. Si tratta di un locale annerito dal fumo e con pavimentazione in terra battuta risalente al Quattrocento ma funzionante per secoli, addirittura fino agli anni Ottanta del Novecento. Vi si producevano tegami, pinze, zappe e altri strumenti da lavoro. Grazie a pannelli e video oggi il visitatore può farsi trasportare all’interno della fucina come se fosse ancora funzionante. Poco distante una visita obbligata va fatta al Mulino Museo. Anch’esso risalente al Quattrocento, conserva le macine in pietra per la molitura del granoturco e, ancora oggi, offre la possibilità di acquistare la farina appena macinata. In epoca recente, Bienno si è imposto alle cronache e all'interesse turistico grazie al Progetto Borgo degli Artisti. Per l’esecuzione delle loro opere, pittori, scultori e altri creativi vengono ospitati nel centro storico e, in cambio, cedono alcune delle loro creazioni all’amministrazione comunale, che cura l’esposizione in un museo a cielo aperto. Al centro della Valle Camonica, Bienno conserva cibi di fattura montana. Tra questi la spongada, una pagnottella moderatamente dolce e dalla pasta compatta. In origine era una specialità da consumare il Lunedì dell’Angelo con il salame, oggi si trova tutto l’anno nei forni e anche nelle pasticcerie, che l’hanno adattata al gusto contemporaneo riducendone le dimensioni originarie e spolverizzandola di zucchero in grani o a velo.
Base per interessanti gite ed escursioni alla scoperta delle Orobie, sia a piedi che con la bicicletta a pedalata assistita, Gromo pare raggomitolato su un promontorio roccioso, circondato da prati e abetaie. A rendere il paese piacevole per una sosta sono il duecentesco Castello Ginami, che per secoli ha svolto funzioni militari, una bella fontana in marmo bianco sormontata da un grazioso cigno e Palazzo Milesi dall’elegante loggiato. Proprio a Gromo chi ama le esposizioni di armi antiche, può visitare durante i fine settimana il Museo delle Armi bianche e delle pergamene. Questo borgo delle Prealpi Bergamasche infatti fu per lungo tempo un centro di produzione di lame prima che una disastrosa alluvione, nel 1666, ne distruggesse e spazzasse via tutte le fucine. Nel museo si trovano spade da fante, alabarde e pugnali forgiati per le famiglie gromesi. Chi viaggia con bambini al seguito non può perdere l’EcoMuseo Naturalistico che, in due grandi teche, racchiude ed espone volatili, mammiferi, roditori e predatori che vivono nei boschi di queste montagne. In giro per il paese, la presenza di lavatoi e fontane pubbliche trasporta i visitatori nei secoli andati, proprio come le case tipiche che ancora hanno i tetti costruiti con le piöde, le lastre di ardesia. Come tanti altri paesi bergamaschi, anche Gromo ama i casoncelli, la pasta ripiena dalla forma a caramella che viene condita con burro fuso, pancetta e salvia. Nelle aziende agricole si possono trovare ancora buone formaggette e stracchini, talvolta confetture e miele di montagna. Avendo la fortuna di arrivare a Gromo il Venerdì Santo e di conoscere qualche famiglia di stretta tradizione, si assaggia la maiassa, una torta da gustare solo dopo la processione a base di farina, fichi secchi, nocciole e porro. In primavera, invece, sempre contando sull’invito dei locali, è d’uso la zuppa dei prati, una minestra preparata con una ventina di erbe selvatiche: dal tarassaco alla silene, dalle ortiche alle punte di luppolo.
Gli amanti dell’arte e dell’orologeria antica conoscono bene Clusone, il principale comune della Val Seriana, che giace adagiato su un altopiano. Gli emozionanti affreschi sulla facciata esterna dell’Oratorio dei Disciplini, Trionfo della Morte e Danza macabra, datati 1485, sono tra i meglio conservati dell’epoca. Così come l’orologio astronomico sulla torre del palazzo comunale: progettato dal matematico Pietro Fanzago nel 1583 è un gioiello del sapere rinascimentale. Su quadranti concentrici e fissi sono rappresentate le 24 ore, le indicazioni dei segni zodiacali, giorno, mese e fasi lunari, ore di luce e di buio: insomma si tratta di un’opera d’arte che aggrega in un solo oggetto gran parte della scienza del suo tempo. Ancora oggi l’orologio astronomico è funzionante e viene caricato a mano dalla famiglia Donadini, orologiai di Clusone dall’Ottocento. Sulla scorta di questa importante tradizione vale la pena dare un’occhiata al Museo Arte Tempo che conserva orologi antichi, strumenti musicali e opere d’arte di artisti locali come Antonio Cifrondi e Giovanni Trussardi Volpi. All’uscita è piacevole girovagare tra vicoli e strade che si intersecano in un originale e labirintico piano urbano e arrivare fino alla Basilica di Santa Maria Assunta progettata da Giovan Battista Quadrio, architetto della Fabbrica del Duomo di Milano. Appena fuori dal centro si trova invece la piccola chiesa dei Santi Defendente e Rocco al cui interno si ammirano numerosi affreschi che vanno dal Trecento al Seicento. Anche gli amanti della natura dovrebbero mettere in calendario una visita a Clusone. La sua pineta, composta da un bosco misto di pino silvestre, abeti rossi e latifoglie, è percorsa da 22 chilometri di sentieri alla portata di tutti. Una volta a tavola a Clusone è naturale imbattersi nei casoncelli, la pasta ripiena che, malgrado porti lo stesso nome tra Bergamo e Brescia, si distingue ogni volta per alcuni dettagli: lo spessore della pasta, il ripieno e il condimento. In Val Seriana per esempio, la pasta è più spessa, il ripieno è a base di carne rimacinata e il condimento si prepara con abbondante burro fritto (unito a salvia e pancetta). Se poi si vuole tornare a casa con un dolce souvenir, la scelta deve per forza cadere sul biscotto che porta il nome del borgo. Risale agli anni Venti dello scorso secolo la sua invenzione a opera di un pasticciere locale, Giuseppe Mantegazza che riuscì a creare un dolcetto a base di meringa, con le mandorle e ricoperto per metà da cioccolato fondente. Da quel momento il biscotto è divenuto il simbolo di Clusone.
Alzi la mano chi sa dove nacque il servizio postale come oggi lo conosciamo! Pochi citerebbero Cornello dei Tasso, un borgo dell’alta Val Brembana. E invece proprio da qui proveniva la famiglia che seppe coordinare, per conto della Repubblica di Venezia, la Compagnia dei Corrieri e successivamente quelle dello Stato Pontificio e dei possedimenti degli Asburgo. Insomma, un’impresa di spedizioni multinazionale molto simile a quelle di oggi. Per saperne di più vale la pena mettere in conto una visita al Museo dei Tasso e della Storia Postale che ha sede in più edifici storici del borgo medievale di Cornello. Chi ama la filatelia tratterrà il fiato al cospetto di una lettera del 1840 affrancata con il primo francobollo datato del mondo, il Penny Black. Tra XV e XVI secolo Cornello era luogo di passaggio e di mercato, l’unico in Val Brembana, ricco di merci di ogni genere che dalla pianura risalivano verso la Valtellina attraverso il Passo San Marco e da lì ai Grigioni. Poi Venezia costruì a fondovalle la Via Priula e Cornello perse importanza. Il borgo non è quasi più cambiato da allora e, sotto i porticati coperti da soffitti di legno, sembra di rivivere gli antichi fasti. Da visitare è anche la chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano per il ciclo di affreschi dedicati a Santa Caterina d’Alessandria, patrona dei corrieri postali, che decora l’altare privato della famiglia Tasso. Cornello dei Tasso rientra nell’areale di produzione del Formai de Mut dell’Alta Val Brembana Dop, formaggio dalla crosta sottile e dalla pasta elastica, compatta, con una leggera occhiatura o piccoli strappi. La stagionatura superiore a sei mesi permette la dizione Riserva. Delicato, fragrante e non piccante concede il proprio gusto alla polenta concia. Come formaggio da degustazione, a sei mesi di stagionatura si accompagna a fine pasto con un Rosato Schiava Bergamasca Igt; dopo almeno due anni con un bicchiere di Moscato di Scanzo Docg.
Riccardo Lagorio
dicembre 2024