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News ed EventiPiaceriSicilia da mordere: viaggio nello street food dell’Isola più golosa d’Italia

Sicilia da mordere: viaggio nello street food dell’Isola più golosa d’Italia

Un'esperienza autentica tra mercati, tradizioni e sapori unici come arancine, pani câ meusa, stigghiola e dolci iconici come cannoli e granite. Una guida gustosa nel cuore della cultura culinaria dell’Isola

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Se l’Italia è la patria della buona tavola, la Sicilia è senza dubbio il suo chiosco più affollato. Qui lo street food diventa manciari di strata e non è solo una moda da foodie con Instagram sempre pronto. È una vera e propria religione laica, celebrata ogni giorno tra mercati brulicanti, piazze odorose di fritto e vicoli dove i profumi di secoli si mescolano con quelli del giorno. Il mangiare di strada siciliano è una delle espressioni più autentiche e gustose della cultura culinaria dell'isola, frutto di secoli di influenze arabe, greche, normanne e spagnole. Cibo povero ma ricchissimo di sapori, è spesso legato alla tradizione contadina e marinara.

Pani câ meusa: quando il quinto quarto diventa una specialità

A Palermo, capoluogo dello street food isolano (e tra i migliori al mondo secondo un sondaggio di Forbes), si comincia sempre da lui: il panino con la milza, o pani câ meusa per i puristi. Una delle preparazioni più riconoscibili e di strata, una delle tante legate al recupero del quinto quarto e degli scarti di macellazione che da una storia di povertà si è fatta strada fino a divenire emblema di un intero modo di intendere la vita e il cibo. Roba forte, il pani câ meusa: frattaglie di milza e polmone talvolta anche di trachea bollite, saltate nello strutto bollente, infilate in un panino morbido. Da consumare in versione schetta (cioè senza alcun accompagnamento se non una spruzzata di limone) o maritata, con abbondante spolverata di caciocavallo o ricotta salata.


Arancina o Arancino? Questo è il problema

Se il quinto quarto non piace a tutti, niente paura: c’è il più democratico (e decisamente meno impegnativo) arancin*: attenzione, a Palermo l’arancina è fimmina, a Catania l’arancino è masculu. I tradizionali sono accarne (con il cuore di ragù di carne) e abburro (con mozzarella, prosciutto e besciamella). Ma gli arancinari siciliani prevedono anche varianti più innovative e raffinate: da provare la versione alla Norma (con melanzane, ovviamente) o quella al pistacchio di Bronte. Ovvio che la versatilità dell’arancin* sia sfruttata anche per altre sperimentazioni gourmet. Esistono, infatti, ricette che prevedono l’utilizzo di funghi, salsiccia, pollo, pesce spada, frutti di mare e nero di seppia. L’arancin* si mangia con le mani, ovviamente, si gusta meglio in piedi, magari circondati da una folla chiassosa e odorosa di frittura.

Tra le bancarelle di un mercato

Ballarò e Capo a Palermo. Fera o luni a Catania. Mercato coperto a Trapani. Mercato di Ortigia a Siracusa. Spesso, anzi, spessissimo, il migliore cibo di strada viene servito sulle bancarelle di uno dei mercati che conquistano ogni giorno i centri storici delle città siciliane. Tra banchetti di frutta, di carne, di pesce (avete presente la Vucciria di Guttuso? Ecco…) ogni sosta, suggerita dalle abbanniate (gli inviti urlati dei venditori), è una tentazione. Tocca a panelle e crocché (vale e dire frittelle di farina di ceci e crocchette di patate mescolate con prezzemolo, formaggio, impanate e fritte) a contendersi la scena nel tipico panino ricoperto di semi di giuggiulena (il sesamo). Ma, parlando di fritture, non si possono dimenticare i cazzilli, parenti prossimi delle crocché, e la frittula, un variegato insieme di frattaglie di vitello bollite, fritte nello strutto e insaporite con spezie profumate come alloro, zafferano e pepe. E poi c’è il coppo, il cartoccio di frittura di mare: calamari, gamberi, pesciolini appena pescati, il tutto fritto e servito in coni di carta che trasudano piacere.

Lievitati&Co

Pizza made in Sicily, lo sfincione. Alto e soffice, condito con salsa di pomodoro, cipolla, acciughe e una pioggia di pangrattato. A Palermo lo vendono anche in versione ambulante, con lo sfincionaro che gira tra le viuzze con il suo carretto e un megafono retrò, gridando “Sfinciò! . E sempre per rimanere in tema pane, ecco il pani cunzato, letteralmente pane condito, ma la traduzione non rende l’idea… I segreti del suo successo sono tanti: primo fra tutti, il pane di grano duro preparato con pasta madre, fatto lievitare per ore e cotto nei forni a legna. Poi gli ingredienti della farcitura: olio EVO, pomodoro, pecorino primosale, acciughe e una spolverata di origano. Come tocco finale, i puristi utilizzano pane appena sfornato. E poi c’è la scaccia, tipica della Sicilia orientale (a Siracusa è ‘mpanata, a Catana è scacciata). Una focaccia sottile, croccante fuori e morbida dentro che viene servita a fette dopo averla farcita con salsa di pomodoro, verdura ( a seconda della stagione, broccoli, cavolfiori, melanzane, patate), formaggio (ricotta, tuma o caciocavallo), salsiccia, gamberetti, olive nere, baccalà.

Stigghiola per stomaci forti

Se l’arancin* è il mainstream del cibo da strada isolano, la stigghiola è un’icona irrinunciabile, che non si mangia, si aggredisce. Si tratta di un involtino di budellino tenue d’agnello (o più raramente di vitello) lavato in acqua e sale, arrotolato e infilzato a mo’ di spiedino, e, infine, arrostito su un letto di carbonella da stigghiulari rigorosamente ambulanti, che si riconoscono dalla colonna di fumo che si alza dai loro bbq improvvisati. Servita con sale e limone, la stigghiola è croccante, cremosa, selvatica, leggermente affumicata, grassa e inevitabilmente soddisfacente, da mangiare in strada, con le mani. È roba seria, popolare, senza filtri, come la Sicilia.

Il dolce, in fondo

In Sicilia anche il dolce si mangia per strada, e con la stessa disinvoltura con cui si addenta una panella o una stigghiola. Se il salato la fa da padrone, il dolce non resta certo in panchina. La Sicilia ha inventato l’arte del dessert da passeggio con due monumenti del piacere: la granita e il cannolo. La prima è un capolavoro di semplicità: acqua, zucchero e frutta trasformati in una crema fredda e vellutata, molto simile a un sorbetto. Abbinamento ideale e (quasi) obbligatorio? Quello con la mitica brioche col tuppo, una nuvola dorata con uno chignon da strappare per primo e da intingere nella granita. Gelsi, mandorla, pistacchio, caffè: ogni provincia ha i suoi gusti, ogni mattina d’estate il suo rituale. E poi c’è lui, il cannolo, il re dei dolci siciliani: una cialda croccante ripiena di ricotta di pecora zuccherata, arricchita con gocce di cioccolato, canditi o pistacchio. Croccante fuori, peccaminoso dentro, il cannolo si è conquistato anche la strada. Sì, perché non c’è passeggiata a Palermo, Catania o Ragusa che non possa essere interrotta da un pit stop al banco di un pasticcere pronto a riempire la cialda al momento: guai a farlo prima, o si perde la magia. Insomma, lo street food siciliano è più di una pausa pranzo o di uno spuntino goloso: è un tuffo in una cultura millenaria, in un’Isola che sa mescolare con disinvoltura greci, arabi, normanni. Una un’esperienza che coinvolge tutti i sensi e che, diciamolo, non si dimentica facilmente.

Enrico Saravalle,
maggio 2025

Enrico Saravalle
Enrico Saravalle

Enrico Saravalle è giornalista di vasta e varia cultura, che ama viaggiare, mangiare e usare mouse e tastiera per raccontare luoghi, esperienze e sapori ad ogni angolo del globo. Quando non è in giro per il mondo si divide tra Milano e la Sicilia.

Enrico Saravalle è giornalista di vasta e varia cultura, che ama viaggiare, mangiare e usare mouse e tastiera per raccontare luoghi, esperienze e sapori ad ogni angolo del globo. Quando non è in giro per il mondo si divide tra Milano e la Sicilia.

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