Non c’è nulla di nuovo sotto il sole di Venezia. Hanno messo il biglietto d’ingresso, ma già nel Medioevo ci avevano pensato. Troppa gente, troppi mercanti e anche troppi ospiti non raccomandabili. Comincia da una sorta di regolamento di polizia la storia di quelli che diventeranno i bacari.
Erano le osterie che, lige al significato latino di hospitem, davano non solo vino (a Venezia non è mai mancato), ma anche un letto e un po’ da mangiare. Tale era l’affollamento che per decreto le ridussero a 13, un numero che ai tempi di Carlo Goldoni e di Giacomo Casanova - habituée della botte e dell’ostesse - si stabilizza a 20.
Oggi i bacari sono infinitamente di più, hanno forse perduto in autenticità, ma guadagnando in qualità, e hanno cambiato pelle, anche se resistono alcune insegne che hanno attraversato i secoli.
La più antica, i Do Mori, sta vicino a Rialto e apre bottega dal 1462, ma ce ne sono almeno altre dieci che si spartiscono origine tra Seicento e Illuminismo. Tra queste, la Cantina già Schiavi in Dorsoduro, Do Spade sempre a Rialto, la Vedova in Cà d’oro, la Vecia Carbonera in Cannareggio.
Vicino all’Arsenale (non si è vista la vera Venezia se non si è camminato il luogo dove la gloria della Serenissima si faceva potenza navale e sembra di capire, con lo spirito del giornalista Mieczysław Kozłowski, che «A volte sulla riva di San Marco giungono velieri che recano nelle loro vele i venti di altri mondi») s’incontrano ancora bacari allo stato puro, dove il cicheto (italianizzato in cicchetto) non ha subito contaminazioni ed esce da minime cucine. Perché, prima d’essere bacaro, era osteria dove si mangiava qualcosa a basso prezzo.
Ancora più basso era il prezzo del fritoin, una botteguccia dove si mangiava lo scartosso (edizione adriatica del cuoppo napoletano) con acciughe, sarde, polpetti, moeche fritti. Raramente il fritoin aveva anche mescita, così coesisteva con la cantina. Irina Ferguia ha gestito per anni il Vecio Frittolin, un ristorante dove la Venezia autentica si faceva trionfo di sapori, e la sua chiusura è stata la perdita di un bene culturale. Racconta Irina che il menu del bacaro era la cucina della Venezia di popolo, ma quelle ricette sono sparite.
Il cicheto oggi è interpretato come finger food, ai tempi dei tempi era invece un pasto frugale. E dunque? I veri cicchetti (dal latino ciccus: poco piuttosto che piccolo) erano sarde in saòr (ne parliamo anche a pagina 104, n.d.r.), patate bollite con prezzemolo e aceto, polpette con avanzi di carne, la milza (e non il fegato, che costava troppo) alla veneziana, il baccalà con la polenta, i folpetti (mezz’ora per farli lessare dopo averli mondati in acqua acidulata con l’aceto e poi conditi con olio, sale e pepe), pasta e fagioli fredda, le mezze uova sode con l’acciuga.
Di questo menu non tutto residua nei moderni bacari. Però i costumi sono rimasti quelli del mangiare veloce. Quasi nessuno ha i posti a sedere, tranne quelli a doppia attitudine, trattoria e bacaro; tutti hanno la vetrina con i cicchetti offerti, la lista dei vini sulla lavagna, il servizio spartano. Ora ci sono anche quelli con la musica di sottofondo, ma un tempo si beveva e mangiava a ritmo di ciacole (le chiacchiere, o meglio i pettegolezzi).
Il tutto dominato dall’ombra, il bicchiere di vino. Perché si chiami ombra è abbastanza un mistero. La versione più accreditata è che i venditori di vino si mettevano all’ombra del campanile di San Marco con i loro banchetti ed era obbligo, concluso un affare tra mercanti, suggellarlo col vino. Tant’è che gli orari dei bacari dovrebbero essere, secondo tradizione, a metà mattina e sul far della sera (oggi lo chiamiamo aperitivo, un tempo era il chiuder bottega). Ma c’è un'altra “lezione” dell’ombra: che sia tale perché è un bicchiere piccolo, dunque poco: giusto un’ombra.
Secondo molti il termine bacaro nasce da un pugliese a metà Ottocento che si è portato il vino di Malvasia dal Sud. Venezia, che ha commerciato per secoli con tutto il Mediterraneo, importava i vini di Cipro (raffinatissimi e liquorosi), quelli dalmati e scoprì i vini del nostro Meridione. Bevendoli, un gondoliere avrebbe esclamato “ma xe vin de bacara” che voleva dire è un vino per fare festa, per inneggiare a Bacco. A Venezia, dove non manca mai occasione per godersi la vita, far bacaro voleva dire proprio quello: inneggiare al vino. E così partì l’insegna che ha trasformato le antiche osterie in una delle attrattive più suggestive di Venezia: il ”bacaro tour” è uno dei percorsi più amati dai turisti. E l’appetito vien girando!
di Carlo Cambi
agosto 2022
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