Il brandy italiano non è paragonabile al Cognac francese. Tanto per fare un esempio. Eppure tra tanti prodotti di mercato di massa e piuttosto dozzinali, esistono distillati di vino di gran pregio, dietro i quali c'è una tradizione, una tecnica rigorosa e una cura non comuni.
Insomma il nostro distillato di vino merita attenzione e quattro illustri produttori dell'alambicco lo stanno rilanciando. Un bolognese, un bassanese e due trentini che rispondono ai nomi di Guido Fini Zarri, erede della storica industria Pilla, Mario Pojer (la cui azienda nasce dall'incontro con Fiorentino Sandri), enologi e viticoltori, Vittorio Gianni Capovilla e Bruno Plizer, ultimo arrivato. Il primo usa l'alambicco charentais a fuoco diretto, rigorosamente in stile francese, mentre gli altri tre utilizzano la tecnica di distillazione con alambicco discontinuo a bagnomaria. Per il resto tutti e quattro differiscono profondamente per quanto riguarda i metodi, lo stile, la provenienza e gli alambicchi. Ma hanno avuto il merito di fare squadra.
All’ombra della grappa
Il Brandy Italiano Artigianale è un distillato di vino italiano invecchiato in botte di rovere, ma da molti anni non gode di tutto questo appeal e viene oscurato dal distillato di vinacce, la grappa, ben più celebre e conosciuta nel territorio italiano. In realtà non è sempre stato così e a fine Ottocento la crisi del cognac portata dalla fillossera aveva fatto fiorire alcuni brand molto potenti che sono rimasti in auge fino agli anni Settanta (Stravecchio Branca, Florio, René Briand, Vecchia Romagna Buton, Stock 84, Oro Pilla). Ma poi questi marchi non hanno retto, i gusti hanno iniziato a orientarsi verso i distillati bianchi, le strategie pubblicitarie non sono riuscite a stare al passo con i tempi e il mercato è stato invaso da prodotti industriali da supermercato non tutelati e spesso usati ai fornelli più che consumati nei calici.
Il brandy artigianale italiano nasce però da una visione comune ad opera di Mario Pojer e Guido Fini Zarri, che nel 1986 facevano colare dai propri alambicchi i loro primi distillati di vino. Poco dopo vennero Gianni Capovilla e Bruno Pilzer. Le storie sono differenti: chi viene da una dinastia di fini distillatori, chi da studi enologici e chi addirittura dalle auto da rally e poi, solo poi, dalla costruzioni di macchinari per l'enologia (Gianni Capovilla). Bologna, Vinceza, Trento, la provenienza è differente e i brandy in questione unici, ma tutti e quattro condividono delle regole ferree e la filosofia del far bene. I prodotti in questione sono un concentrato di eleganza e bontà e sono: il Distillato di Vino 1998 di Capovilla, il Brandy Italiano Assemblaggio Tradizionale 10 Anni di Villa Zarri, l'Historiae Brandy Portegnac 13 Anni di Pilzer e l'Acquavite Divino Dolomiti Vendemmia 2000 di Pojer e Sandri. Ovviamente i quattro moschettieri del brandy (così sono stati ribattezzati) non sono gli unici a produrre brandy artigianale e a farlo bene, ma sono stati gli unici fino ad ora a fare squadra.
Le sette regole d’oro
Insomma c’è bisogno di una carta d’identità e di un disciplinare serio e comune, proprio per iniziare a distinguere i prodotti autentici da quelli più di massa, difficilmente gustati in calici da degustazione, ma magari utilizzati per qualche pietanza. Per mantenere alti gli standard è essenziale innanzitutto selezionare accuratamente la materia prima, l’uva, che deve essere in perfette condizioni, seguire attentamente il processo di fermentazione senza aggiungere anidride solforosa, utilizzare alambicchi che estraggano delicatamente gli aromi (Charentais o a bagnomaria), lasciare che il distillato di vino invecchi per tutto il tempo che gli è necessario per raggiungere l’equilibrio fra i suoi aromi naturali e l’alcool, secondo lo stile e il gusto di ognuno, non aggiungere aromi naturali o artificiali, non aggiungere zucchero o caramello, evitare qualsiasi manipolazione prima dell’imbottigliamento, effettuando unicamente la filtrazione a temperatura ambiente. L'operazione di rilancio del brandy italiano di qualità avrà altre tappe, non ultima una comunicazione giovane ed efficace, per restituire la suggestione di un prodotto e il suo immaginario.
Emanuela Di Pasqua,
marzo 2019
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