I cuochi di baldacchino
Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario nascere con una cazzaruola in capo: basta la passione, molta attenzione e l'avvezzarsi precisi; poi scegliete per materia prima roba della più fine, che questa vi farà figurare". Parola di Pellegrino Artusi. Viene da chiedersi chi fossero i cuochi di baldacchino. Peraltro siamo già alla fine dell'Ottocento: i Messisbugo o i monsù erano tramontati da un pezzo. Eppure qualcuno aveva raccolto quell'eredità. Sono le cuoche di famiglia, compilatrici di ricette ed esecutrici di piatti che confermano come il far da mangiare domestico sia la cifra più autentica della cucina italiana. Per un secolo sono state le depositarie del gusto, creando una fusione tra popolo, alta borghesia e aristocrazia: non c'era casa di rango dove non vi fosse la cuoca, che tale diventava sotto le direttive della "signora"; era un'autodidatta, spesso formatisi sulla fame delle famiglie numerose dei contadini.
Le cuoche di famiglia
Due i fulgidi esempi. La prima è Marietta Sabatini, ufficialmente governante di "Casa Artusi", in realtà la sola donna che messer Pellegrino tollerasse. La Marietta ha eseguito tutte le ricette de La Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene e, se Artusi è il codificatore della cucina borghese, lei ne è la vestale. Era precisa, usava buone cose, non si è mai eretta a cuoca di baldacchino, ma aveva braccia forti grazie alle quali inventò il Panettone della Marietta pronto in meno di un'ora, ma a ritmo di "frusta". Ancor più della Marietta, descrive ciò che erano le cuoche di casa la biografia di Eugénie Brazier. Nata poverissima, va a servizio ma a 19 anni resta incinta e il padre la caccia di casa. Siamo alla fine dell'Ottocento e Eugénie si ritrova a Lione a fare la tata, ma ha con sé la ricetta preferita di sua madre: brodo di verdure e porri cotti nel latte, serviti con uova e pane raffermo. La prepara per i suoi "padroni", che la propongono alle cuoche del loro ristorante Les Mères. Dopo un po' di pratica Eugénie apre il suo locale: sarà la prima donna a conquistare le Tre stelle e diverrà la maestra di Paul Bocuse.
I quaderni di ricette
La storia recente è colma di cuciniere di casa che si sono evolute diventando "cuoche di baldacchino". Moltissime hanno lasciato quaderni di cucina che sono compendi dell'evolvere del costume. Nelle case aristocratiche, tramontate le brigate, restavano loro. A casa mia c'erano tata Jole e la signora Franca, la fattoressa, che aveva le incombenze che furono di nobilissimi "servitori" come Antonio Latini, Vincenzo Cervio, Cristoforo Messisbugo. Jole e Franca, sotto l'occhio vigile e i consigli di sapore della marchesa, la mitica bisnonna Linda, hanno lasciato quaderni di ricette dove compaiono i primi prodotti industriali: il tabasco, la salsa Worcester, poi trionfi di panna, di gelatina e di Champagne perché i "signori dovevano fare bella figura". Così come il celebre timballo del Gattopardo segnava l'inizio delle "ferie" al castello del Principe di Salina, a casa mia quando si andava in vacanza a Castiglioncello, in avanguardia andava la "brigata" di cucina: Jole e Franca a preparare per l'arrivo in villa della famiglia. Il menù era quasi sempre pasticcio di prosciutto in gelatina e insalata fresca preceduti da tagliatelline al ragù bianco. Nelle ricette fino alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso compare l'Italia del boom.
Sapori di casa
Mentre gli antiquari barattavano antiche madie con tinelli in formica, mentre tutto ciò che era tradizione assumeva un colore passatista, in cucina no: la campagna riemergeva nelle contaminazioni rural-borghesi, in piatti dove panna, prosciutto e piselli erano il minimo sindacale per una cuoca di famiglia. Riscoprirle è fare del modernariato gastronomico, ma non c'è nostalgia più dolce di una torta ai wafer. Franca, la padrona della nostra cucina La signora Franca Baldassarri, donna di raro fascino, di altrettanta energia fisica e d'intelletto, era la fattoressa, cioè la moglie del fattore o direttore della tenuta. Se ne stava a Canneto e, oltre a essere una perfetta padrona di casa, amministrava anche le campagne.
Quando mio nonno organizzava le bandite (si chiamano così le grandi cacciate nella prima Maremma, sulle colline che da Volterra digradano al mare), si doveva pensare al pranzo per gli invitati. Poi c'erano le cene con gli ospiti di riguardo e qualche volta le feste agricole, la benfinita della trebbiatura e la svinatura. Nei libri di casa la signora Franca ha appuntato con grafia da amanuense centinaia di ricette (come quelle di queste pagine) che poi mi ha donato. Lì ci sono i piatti di caccia, quelli di campagna e i dolci con inflessioni francesizzanti, mescolando ruralità toscana con citazioni di modernità. Tata Jole era invece la cuoca di casa, in paese a Cecina. Arrivata come dama di compagnia, la mia bisnonna Ermelinda l'aveva subito avviata ai fornelli. Alta e massiccia, dai capelli quasi pel di carota, cominciava a preparare le colazioni (nei suoi quaderni abbondano i lievitati), poi passava al pranzo e alla cena sotto la direzione della Linda. Le sue ricette sono una fusione tra il desinare toscano e gli insegnamenti emiliani della nonna: poco pesce, tanta sfoglia. Un segreto di casa? Beh, la Linda andava matta per questa colazione sui generis: o gnocco fritto oppure polenta abbrustolita, prosciutto di Langhirano e caffellatte!
Di Carlo Cambi
aggiornato marzo 2023
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