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News ed EventiNewsAiuto... mi si è rotta la confezione (ma non il prezzo)

Aiuto... mi si è rotta la confezione (ma non il prezzo)

Quando si è a fare la spesa e si deve decidere cosa comprare entrano in gioco diversi fattori, a partire dal prezzo

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Lo scontrino del supermercato si fa sempre più salato. L’aumento dei costi energetici e produttivi unita alla difficoltà nel reperire molte materie prime e materiali per le confezioni ha fatto schizzare i costi delle aziende, costringendole a rivedere tutti i loro listini. E ora questi rincari sono arrivati anche nel carrello della spesa. Secondo l’Istat i prezzi sono aumentati in media del 9% nell’arco di 12 mesi. Gli aumenti dei prezzi sono generalizzati, ma su alcuni prodotti hanno raggiunto livelli record.

I prodotti che aumentano di più
Dall’osservatorio prezzi dell’istituto di ricerche Iri emerge che è l’olio di semi il prodotto su cui l’inflazione ha battuto di più, facendolo aumentare di quasi il 50%. Seguono la pasta (+ 23%), il burro (+20%), le farine/miscele (+19%), i tovaglioli di carta (+14%), le carni avicunicole e la carta igienica (+13%), i nettari e le bevande di frutta (+12%), il riso bianco e la maionese (+11%).

Cos'è la shrinkflation
Ma ci sono molti casi in cui i rincari non sono così facilmente intuibili quando si va a fare la spesa. Succede quando il prezzo del prodotto che mettiamo nel carrello è rimasto invariato ma solo perché il contenuto della confezione è diminuito oppure gli ingredienti sono stati rivisti al risparmio. È un fenomeno ben noto, si chiama shrinkflation. Produttori e commercianti, infatti, prestano grande attenzione (e approfonditi analisi e studi) per individuare la corretta “battuta di cassa”, ossia la cifra che il consumatore è disposto a spendere per ogni prodotto.  Se, come in questi mesi, i rincari delle materie prime, delle tariffe di energia e di trasporto fanno lievitare il costo del prodotto, si alza il prezzo al kg ma senza ritoccare la battuta di cassa per non rischiare di diminuire le vendite. Si ricorre quindi a quella che gli addetti ai lavori definiscono “sgrammatura”, ossia la riduzione del peso delle confezioni dei prodotti. Ma a parità di prezzo.

Una pratica tornata di grande attualità in questi mesi tanto da far diventare comune il concetto di shrinkflation, ossia di riduzione della quantità di prodotto per mantenere invariato il prezzo. Una sorta di inflazione mascherata che è facile smascherare. È sufficiente, infatti, controllare il prezzo al kg, che dev’essere indicato sui cartellini apposti sugli scaffali dei negozi. Non basta, infatti, prestare attenzione alla dimensione delle confezioni per verificare l’eventuale sgrammatura. Un po’ perché talvolta le dimensioni del packaging restano le stesse (semplicemente c’è meno prodotto nelle confezioni), un po’ perché a volte cambia anche il design delle confezioni e quindi notare le differenze non è semplice.

La sgrammatura, però, non è un fenomeno nuovo ma abbastanza usuale. Tra 2013 e 2018, ad esempio, ha riguardato il 43,5% dei 1.405 prodotti presenti nel paniere Istat (in particolare prodotti dolciari, confetture, miele, cioccolato e creme da spalmare) ma in 83 casi su 100 il prezzo non è stato diminuito. Al supermercato sono comparse le bibite in bottiglie da 25 ml (anziché da 33 ml) o da 1,35 litri (anziché da 1,5 litri) l’olio extravergine in confezioni da 750 ml anziché da 1 litro, il cibo per gatti in scatolette da 85 grammi (e non più da 100 grammi) e le merendine monoporzione da 30-40 grammi (che così diventano più virtuose anche come valore nutrizionale).

Negli ultimi mesi è stata, invece, la volta della riduzione del numero di biscotti contenuti in un pacco o dei fazzolettini di carta nei pacchetti e della diminuzione del peso delle scatolette di tonno, delle bottiglie di passate di pomodoro e del pacco della pasta. Ma anche del contenuto dei flaconi del detersivo.

Ingredienti “rivisti” per risparmiare
Grano, zucchero, cacao, caffè, farina, riso, burro: queste, come tante altre, materie prime alimentari sono inserite in un mercato mondiale, dove i prezzi fluttuano anche in maniera importante e in tempi molto brevi. Basta che qualche grande potenza faccia scorta di una di queste derrate (come sta facendo la Cina col latte o il Brasile con lo zucchero), che una guerra blocchi le materie prime (come avviene a causa di crisi politiche o guerre) oppure che le sfavorevoli condizioni climatiche riducano i raccolti, per far esplodere i prezzi e i costi d’importazione di questi prodotti. Ora poi, a causa del conflitto tra Russia e Ucraina, molte materie prime sono diventate difficili da reperire.

Quindi le aziende di trasformazione alimentare, che devono comprare e gestire migliaia di ingredienti, sono costrette a rivedere le ricette dei prodotti, diminuendo il peso degli ingredienti troppo costosi o difficili da trovare, e sostituendoli, del tutto o in parti, con surrogati più economici. Ecco dunque che ci sono prodotti dolciari con meno cacao oppure realizzati con margarina al posto del burro, tortellini con ripieno di prosciutto cotto anziché di crudo, croissant farciti con confettura anziché con confettura extra. Ed è allarme sulla reperibilità dell’olio di girasole tanto che si sta tornando a recuperare grassi che di recente erano stati snobbati, come l’olio di sansa, quello di canola e quello di palma.

Manuela Soressi
giugno-novembre 2022

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