Avete sempre pensato che il lievito madre esista solo in panetteria? Invece lo si trova anche nel mondo caseario: si chiama siero innesto e si basa sullo stesso principio. Si ottiene dal siero, il liquido “vivo”, ricco di batteri lattici, che si forma durante la lavorazione dei formaggi. Una parte di questo siero viene messa da parte e, l’indomani, viene aggiunta in caldaia al latte fresco in modo da farlo acidificare in modo naturale, senza dover aggiungere acidi organici. Il risultato? Un formaggio genuino e gustoso, più digeribile perché contenente meno lattosio, e che rispecchia tutti i profumi e gli aromi della terra dove nasce.
Del resto la tecnica del siero innesto è antica quanto la caseificazione ed è una componente caratteristica del metodo tradizionale di produzione dei formaggi. E in particolare di quelli a pasta filata, tipici dell’Italia meridionale. Il Caseificio Palazzo di Putignano ne ha fatto un punto d’orgoglio: tutti i suoi formaggi prodotti da quest’azienda familiare nata nel 1957, dalla mozzarella alla burrata, dal caciocavallo alla stracciatella, sono realizzati in modo tradizionale. Ossia utilizzando il siero innesto e usando solo pochi e genuini ingredienti: latte, caglio microbico (così i formaggi sono meno salati e più digeribili) e sale. Di additivi, come conservanti o aromi, nemmeno l’ombra. È così che questi formaggi a marchio Murgella portano i profumi e i sapori del latte raccolto nelle Murge nel resto d’Italia e anche in giro per il mondo. La famiglia Palazzo esprime la miglior tradizione artigianale dei formaggi pugliesi da oltre 50 anni, da quando nel 1957 i coniugi Palazzo hanno aperto il loro caseificio artigianale, con Maria a fare la casara e il marito Vincenzo impegnato a raccogliere il latte e a vendere i formaggi. Oggi sono i loro nipoti a guidare un’azienda che dà lavoro a circa 200 addetti e realizza oltre il 30% delle vendite in 29 Paesi di tutto il mondo.
La “filatura” un orgoglio italiano
Mozzarelle e burrate, provole e scamorze sono un’invenzione italiana che è poi diventata patrimonio mondiale. Oggi le si produce in tutto il mondo ma quelle fatte in Italia, in modo tradizionale secondo un’arte casearia millenaria, non hanno paragoni. Anche perché sono tutt’altro che facili da produrre. Infatti, sono frutto di una lavorazione molto particolare, la filatura della pasta, che richiede molta cura e grande competenza, perché il rischio di ottenere un formaggio gommoso oppure “sfibrato” è molto alto. Tanto che, per evitarlo i casari fanno la “prova” di filatura, l’operazione che ha poi dato nome a provola e provolone.
Ma perché “filare” la pasta del formaggio è così difficile? Perché per renderla elastica, tirarla e darle la forma voluta va immersa in acqua bollente e lavorata a mano, a caldo, plasmandola con gesti sapienti. Nello stabilimento di Putignano del Caseificio Palazzo uomini e donne lo fanno ogni giorno e vederli al lavoro è uno spettacolo, con quelle mani che stendono, arrotolano e arrotondano la massa caldissima (60 gradi) come fosse argilla per terracotta.
La mozzarella vaccina. Ora è anche Dop
I formaggi a pasta filata condividono ingredienti e tecnica di lavorazione del latte. Ma non completamente. Sono, infatti, gli accorgimenti adottati in alcune fasi della produzione che consentono di ottenere formaggi tanto diversi. La cagliata è determinante: quella destinata a mozzarelle e burrate dev’essere più umida e va rotta in chicchi grandi quanto una nocciola, in modo che mantenga una certa acidità. Parlando di mozzarella, anche il tipo di caglio fa la differenza. Quello microbico dà un formaggio naturalmente più saporito e adatto anche ai vegetariani, come attesta il marchio V-Label rilasciato dall’Associazione vegetariani italiani. Invece, nel formaggio tradizionale, si usa il tradizionale caglio di vitello così come avviene nella Mozzarella di Gioia del Colle Dop, la prima e unica mozzarella vaccina ad aver ottenuto la Denominazione di origine protetta, nel 2020, e che, con il marchio Murgella, è arrivata da poche settimane nella distribuzione moderna portando in tutta Italia il sapore della sapienza artigianale pugliese tramandata nei secoli.
La burrata? Ha perso la testa
A “decapitare” la burrata, che per tradizione aveva la testa (e anche piuttosto alta), è stata la famiglia Palazzo che, una ventina di anni fa, è stato il primo produttore a toglierle la testa in un’ottica anti-spreco, visto che non la si mangia. Non solo: mettendo a frutto la competenza dei casari di famiglia, ha cercato di rendere la parte esterna più sottile e il ripieno più omogeneo, cremoso e gustoso. Ne è nata una burrata gourmet, una delle specialità più irresistibili della produzione casearia pugliese, premiata con la medaglia d’oro al World Cheese Awards 2010 di Birmingham. Alla versione classica, deliziosa e rinfrescante nella stagione calda, insieme a fichi, frutti rossi o acciughe, Murgella ha affiancato quella al tartufo e la burrata affumicata: con la pasta elastica e il sapore deciso che contrasta con il cuore dolce, è perfetta in ricette elaborate, soprattutto nella cucina dell’autunno e dell’inverno.
Il caciocavallo? Mai più senza
Come per la burrata anche per un altro grande classico dei formaggi a pasta filata, il caciocavallo, esiste la versione affumicata, che conquista con il suo mix di sapori di latte e di fumo. In Caseificio Palazzo il processo di affumicatura è ottenuto solo in modo naturale, a caldo, esponendo i formaggi ai fumi aromatici ottenuti da trucioli di faggio certificati. È per questo che il caciocavallo Murgella prende il suo bel colore ambrato e l’inconfondibile sapore intenso e in perfetto equilibrio tra dolcezza e aromaticità. Una bella differenza rispetto al gusto delicato e gentile del Caciocavallo Silano Dop, ottenuto da latte vaccino intero crudo e lasciato maturare per due mesi. E insostituibile in tante ricette tradizionali della terra dove nasce, a partire dalle squisite bombette pugliesi.
luglio 2021
Manuela Soressi
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