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Cassoeula

Uno dei piatti più iconici della cucina lombarda è un ricco mix di tagli poveri del maiale e verze. Da gustare con un altro must: la polenta

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Per chi non è lombardo, la prima perplessità è sulla pronuncia vagamente francese, con quella "o chiusa", perciò spesso il termine italianizzato è "cazzuola". L'altra perplessità sono gli ingredienti, che prevedono le parti meno nobili del maiale, anche quelle grasse o cartilaginose, saporite ma frutto di una cucina povera che utilizzava gli scarti. Il retaggio di un passato contadino umile e frugale, che stride fortemente con la narrazione moderna di una regione ricca e opulenta. Eppure, la cassoeula è uno dei piatti della memoria più amati dai lombardi, vero caposaldo della cucina invernale. Per i nostri nonni, era legata alla festa di Sant'Antonio Abate, che cade il 17 gennaio, data che coincideva con la macellazione dei maiali allevati in famiglia. Seguendo il popolare principio che "del maiale non si butta niente", musetto, piedini, codino, cotenna e perfino orecchie venivano fatti stufare con le verze al loro meglio, ovvero raccolte dopo la prima gelata perché più tenere e dolci, con l'aggiunta di verzini (salsiccette fresche così chiamate appunto per la consuetudine di cuocerle con le verze). Ne risultava un piatto corposo e calorico che doveva essere di consistenza "tachénta" (in dialetto, "appiccicosa"), morbido ma assolutamente non brodoso, di norma accompagnato dall'imprescindibile polenta. Ma quali sono le origini della cassoeula?

La cazuela de carn
Una leggenda narra che sia stata portata a Milano da un soldato spagnolo durante l'occupazione della città, il quale insegnò la ricetta a una cuoca di cui si era invaghito. In effetti gli Spagnoli c'entrano qualcosa, perché la prima ricetta scritta riconducibile alla pietanza è di un cuoco catalano, Ruperto da Nola, che nel 1520 pubblicò El Libre del Coch, che diventò una sorta di best seller dell'epoca, dove descrive la "cazuela de carn", il cui ingrediente principale era però il pollo. Molto più tardi, nel 1826, il comasco Antonio Odescalchi nel suo Il cuoco senza pretese descrive poi la "cazzoletta ben fatta", che oltre a cotenne e costine di maiale prevedeva anche in questo caso scarti di pollo (fegatini, zampe, cuori), con un'ultima aggiunta di verze. Anche se una ricetta codificata non esiste, come spesso succede per i piatti di tradizione, da almeno un secolo si è consolidato l'utilizzo del solo maiale, con molte varianti da una zona all'altra. A fine Ottocento, nella zona prealpina la verdura veniva stufata con i soli verzini, come scrive Antonio Fogazzaro nel suo Piccolo mondo antico quando descrive la posciandra, "una rozza pietanza paesana di cavoli e salsicce". Una sostanziale variante della cassoeula si trova invece nei territori a sud di Milano, dove in Lomellina, nel Pavese e nel Lodigiano si prepara il bottaggio con la carne d'oca.

Paola Mancuso
febbraio 2023

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