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Pantelleria e la vite ad alberello

Perla nera del Mediterrano, il suo vino è erede di una viticoltura eroica che sfida con ingegno le inclemenze climatiche

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La sua latitudine la può far confondere con località del Maghreb: google maps alla mano, infatti, “lei” dista dal tunisino Capo Bon meno che dal siciliano Capo Granitola. Il clima, poi, è secco e asciutto come quello del deserto. Insomma, non è un caso che molti pensino a lei come alla più africana delle isole italiane. Parliamo di Pantelleria, ovviamente, la perla nera del Mediterraneo, la Bent-el-Rhia (figlia del vento) dei secoli di dominazione araba, nome che  ricordava le giornate di scirocco e di maestrale che si ripetevano (e si ripetono) ininterrottamente lungo tutto l'arco dell'anno. Ma dici Pantelleria e subito pensi, anche, al suo vino, il Passito, erede di una viticoltura eroica per evidenti difficoltà legate al territorio e al clima. Difficoltà che non hanno scoraggiato nei secoli i vigneron panteschi: alla inclemenze meteorologiche si è ovviato  con una soluzione semplice e ingegnosa, la coltivazione della vite ad alberello.  “È un tipo di coltivazione, introdotto dai fenici - racconta Josè Rallo, AD dell’azienda vitivinicola  Donnafugata –  perfezionato dai conquistadores arabi (va a loro il merito di avere introdotto nuove coltivazioni  come quelle degli agrumi e del Moscato di Alessandria, che per noi è, tout court, Zibibbo), tramandato nei secoli ed oggi capace di produrre splendidi frutti in condizioni estreme: l'isola è, infatti, caratterizzata da una costante ventosità, da una scarsa piovosità compensata, solo in parte, dalla umidità prodotta dalle brezze marine.”

Ma perché il nome di vite ad alberello?
Semplice: la pianta in fase di produzione, assume, grazie anche a potature estreme, la forma e le dimensioni di un albero in miniatura, dal tronco breve, da cui si diramano i rami. È una pratica, informano i vigneron panteschi, creativa e sostenibile: creativa perché basata sulla conca, una piccola fossa scavata nel terreno per accogliere la vite, proteggerla dal vento, nutrirla con l'umidità della notte che vi si raccoglie. Creativa, poi, perché la potatura fa sviluppare la pianta con un andamento orizzontale, quasi strisciante sul terreno, e quindi in grado di sopravvivere al vento costante che soffia sull'isola. Sostenibile, infine, perché la sua coltivazione è interamente manuale e perché i muretti a secco e le terrazze su cui vengono allevate le viti (girando per l’isola e seguendo l’Itinerario per la pratica agricola della Vite ad Alberello non si può fare a meno di notarli) delineano il paesaggio di Pantelleria e lo difendono dall'erosione.

I vignaioli panteschi testimoniano che quella della vite ad alberello è una pratica adatta a suoli (come quelli dell’isola) privi d’irrigazione e poco fertili ed è quasi d’obbligo su questi terreni impervi dove le forme di allevamento moderne, come il Guyot o il cordone speronato, hanno più difficoltà a garantire produzioni di qualità, mentre il tratto distintivo della vite ad alberello è la grande qualità delle uve. È grazie a questi suoi atout che la vite ad alberello è stata premiata con l’inserimento nella lista dei beni immateriali e culturali dell’UNESCO perché è stata considerata un modello da salvaguardare, promuovere, studiare. Le uve Zibibbo ricavate da questi vigneti unici al mondo sono utilizzate, come si diceva, per la produzione del pregiato Passito di Pantelleria, un vino dolce, particolare per le sue caratteristiche organolettiche, un vino prezioso che consente di ripagare la fatica e i costi (3 volte quelli di un vigneto in Sicilia) di questa viticoltura che si fonda proprio sull'alberello pantesco. Tutto qui? No, ovviamente: vinificando le uve di Zibibbo è possibile produrre un vino bianco secco dalle spiccate note minerali, aromatico, intenso e complesso, da abbinare con crostacei, tartare di pesce, ostriche, crudità di mare. Una versione sicuramente innovativa, questa dello Zibibbo secco, rispetto al Passito dolce. Versione accolta, però, da aziende come Donnafugata, Salvatore Murana, Cantina Basile  (solo per fare qualche nome) che hanno accettato la sfida di dare continuità alla tradizione della vite ad alberello, preservando il valore e l’immagine del territorio di Pantelleria. “Il vignaiolo – afferma convinto Fabrizio Basile dell’omonima cantina riprendendo il manifesto dei Vignerons d’Europa - si prende cura della vigna, della cantina e della vendita in prima persona, dà vita a un vino che dona piacere, figlio del territorio e del suo pensiero, coinvolge il consumatore con la sua passione, nel pieno rispetto delle vigne vecchie che gli sono state tramandate.”

I wine tourist possono scoprire che nella cantina di Salvatore Murana (vinimurana.it), frutto del lavoro di sei generazioni di vignaioli panteschi, i prodotti di punta sono sia i passiti  Khamma e Mueggen, sia il Gadì, Zibibbo in purezza ma in versione secca. Circondata dai vigneti di Zibibbo, la Cantina Khamma di Donnafugata (donnafugata.it) rappresenta, invece, un esempio di architettura sostenibile e una tappa imperdibile non solo per i winelover, ma anche per gli appassionati di turismo rurale che possono scoprire un esempio unico di Giardino Pantesco donato dall’azienda al FAI. Eccellenza della cantina pantesca di Donnafugata è il Ben Ryé Passito di Pantelleria che però si trova accanto ad una versione secca dello Zibibbo, il Lighea dai sentori agrumati (di cedro e bergamotto) e di frutta esotica (litchi). Anche Fabrizio Basile (cantinabasile.it) nella sua cantina vinifica il Moscato di Alessandria in versione Passito (imperdibile il suo Shamira) ma nella sua hit list c’è anche Sora Luna, Zibibbo secco in purezza, particolarmente vocato per accompagnare pesci e crostacei, anche crudi.

Enrico Saravalle
gennaio 2023

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