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News ed EventiPiaceriPasta di qualità: la conosci davvero?

Pasta di qualità: la conosci davvero?

Come si producono gli spaghetti più buoni? Quale grano tiene meglio la cottura? È vero che le penne lisce sono più nobili di quelle rigate? Per capirlo abbiamo intervistato il CEO di Felicetti, il pastificio collocato più ad alta quota d'Italia e anche uno dei preferiti dagli chef stellati. Correggendo, grazie a lui, alcune convinzioni e luoghi comuni sul mondo della pasta

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Tra i monti del Trentino, in Val di Fiemme, si trova uno dei migliori produttori di pasta italiani. Da oltre 100 anni, il pastificio Felicetti porta avanti la sua attività a mille metri di quota, in un ambiente che molti riterrebbero insolito per una simile produzione. Eppure questo pastificio delle Dolomiti è assolutamente in grado di competere con gli storici marchi del mezzogiorno, tanto che i suoi prodotti entrano nei menu di un centinaio di chef stellati italiani e in quelli di altrettanti colleghi all'estero. Ne abbiamo voluto parlare con Riccardo Felicetti, l'attuale amministratore delegato. 


Come fa a esserci un pastificio nel cuore delle Dolomiti, così lontano dalle zone vocate alla produzione della pasta?
In realtà la nostra posizione non è affatto sorprendente: nel 1908, quando Felicetti nasce, in Trentino esistevano oltre venti pastifici. E il motivo è logico: tra le nostre montagne l'agricoltura è di tempo breve e anche l'allevamento non è da meno, quindi la gente ha sempre avuto bisogno di conservare gli alimenti. L'utilizzo dei cereali attraverso la trasformazione e l'essiccazione rispondeva a questa necessità proprio come l'affumicatura dei salumi e la fermentazione degli ortaggi: quindi, per capirci meglio, pasta, speck e crauti.


Ma con quali cereali riuscivate a fare la pasta a quel tempo?
All'inizio del XX secolo usavamo farro, avena, orzo e il poco grano tenero che veniva coltivato nelle valli alpine. Così è stato fino alle due guerre.


Quindi un tempo la pasta secca non si faceva solo con il grano duro del Mezzogiorno...  
Già nel 1500 la pasta si faceva in tutta Europa, persino a Parigi, in Alsazia o nel Baden-Württemberg, in Germania, dove da secoli c'è una forte tradizione di pastifici: alcuni ovviavano alla poca tenacia del glutine aggiungendo delle uova, ma erano comunque prodotti prelibati. Tornando in Italia, nei secoli passati c'erano moltissimi poli produttivi, molti più di oggi: oltre ai napoletani, esistevano i siciliani, i fiorentini. In particolare a Genova c'era l'importante corporazione dei fidelari poi scomparsa.

Una nota puntata del programma televisivo Report, trasmessa a fine 2020, ha dato voce ad alcuni tra i più rinomati pastai di Gragnano. Supportati da chef stellati campani, sostenevano che la migliore pasta debba essere liscia, non rigata. Felicetti che formati produce?
Noi abbiamo in catalogo centinaia di tipologie, sia lisce sia rigate. A livello di vendite però non c'è confronto: a parte lo spaghetto, che è il re della liscia, la pasta rigata vende il 90% di più. Questo almeno succede in Italia, perché negli Stati Uniti ci sono formati lisci come i gobbetti, gli ziti e i mezzi ziti che probabilmente sono rimasti vincolati a un'Italia ricordata con nostalgia e piacciono ancora molto.


Ma la pasta rigata è davvero di qualità inferiore?
Oggi non è assolutamente così. Diciamo che una volta la rigatura serviva a dare più tenacia e struttura ai prodotti ottenuti da cereali con un basso livello di glutine, ma oggi a parità di ingredienti, tipologia di impasto, tempo e temperatura di essiccazione, la riga diventa solo una questione di trafilatura: usando stampi rigati, ottieni formati rigati e viceversa con i lisci. La scelta quindi è divenuta solo una questione di gusto e di condimento più appropriato.


Con quali sughi consiglierebbe l'uno o l'altro formato?
Secondo me la pasta liscia trova gli abbinamenti migliori con condimenti delicati e di pesce; mi viene in mente anche la ricetta campana dello scarpariello, cioè pomodoro, basilico e mozzarella, ideale con la penna o il pennone liscio. Per i rigati invece io ci vedo i ragù di carne o di selvaggina. Rigati anche per le paste passate in forno e spadellate. E poi pensiamo che per i piatti romani come la cacio e pepe, la carbonara, la gricia, quando non è pasta lunga, si prende in considerazione solo la mezza manica rigata.


Ha parlato di spadellare: come deve comportarsi una buona pasta durante questa operazione? Se rilascia amido e imbianca il sugo è segno di maggiore o minore qualità?
Tutto dipende da cosa dobbiamo fare. Il rilascio d'amido può essere una caratteristica meravigliosa nel ristorante di alta gamma, dove lo chef cura e gestisce una o due porzioni per volta e la creazione di una cremina in mantecatura diventa decisamente un valore aggiunto. In una mensa la stessa caratteristica è un pericoloso killer che rende impossibile gestire il servizio. Diciamo che in genere il rilascio d'amido è più un nemico dei pastai che un amico, qualcosa a cui hanno dovuto ovviare con la tecnologia.


Quindi la qualità non c'entra nemmeno qui.
Nella pasta vi sono alcuni miti intramontabili: oltre alla trafilatura in bronzo, l'essiccazione lenta a bassa temperatura. Sono certamente requisiti importanti che danno prova di una pasta lavorata con cura, ma poi vale anche il contrario di tutto. Non sono certo gli unici parametri per ottenere una pasta buona. Tornando all'esempio di prima: se alla mensa della nostra azienda usassimo una pasta con le caratteristiche date dall'essiccazione lenta non potremmo soddisfare i nostri dipendenti. Una buona pasta oggi deve essere adeguata all'uso che se ne intende fare. E poi c'è la scelta della materia prima.


Che deve essere grano duro coltivato in Italia. Giusto?
Sì, ma non solo: noi il grano lo impastiamo con acqua che sgorga dalle Dolomiti del Latemar e anche questo sicuramente fa la differenza. Ma se parliamo di grano duro, in Italia se ne coltivano ben 200 varietà! E ognuna deve essere lavorata in modo diverso. Non si può prendere una specie varietale e utilizzarla con qualsiasi tecnologia. E ci vorrebbe un capitolo a parte solo per parlare dei tipi di macinazione in relazione ai risultati.

Ma Felicetti che grano lavora? Cos'è quel Matt che si legge sulle vostre confezioni?
Noi abbiamo scelto alcuni grani che privilegiano gli alti indici di glutine alla quantità proteica. Il grano Matt in particolare nasce nelle aree desertiche dell'Arizona e ha queste caratteristiche. Lo abbiamo portato in Italia nel 1999 e sperimentato per anni in diverse aree del sud Italia perché si adattasse a climi più umidi. Dal 2008 lo coltiviamo con successo nella zona di Manfredonia e lo utilizziamo nel nostro stabilimento.


Con quali risultati?
Oltre alla bontà, la pasta ottenuta dalla varietà Matt ha un'eccellente tenuta di cottura. Il che non significa che ci metta più minuti a cuocere, attenzione, perché quello dipende dallo spessore del formato. Significa che il tempo che passa tra la percezione di cotto e di scotto non è di 30 secondi come succedeva nelle paste degli anni Cinquanta ma di qualche minuto. Ed è un pregio determinante per garantire che lo spaghetto non si scuocia tra la cucina e il tavolo.


Insomma, fare pasta implica una ricerca continua. Ma i consumatori sono attratti dalle novità?
I gusti dei consumatori sono decisamente in via di trasformazione. C'è un'evoluzione costante nelle richieste che ha determinato una grande segmentazione dell'offerta. Formati molto grandi che si producevano in quantità minime, come conchiglioni e paccheri, ora sono richiestissimi. Ma lo stesso fenomeno riguarda lo spaghetto: una volta bastava il numero 5, oggi si deve andare dai capellini da 1,3 mm allo spaghettone e addirittura all'iper spaghettone da 2,5 mm. Inoltre l'integrale sta prendendo sempre più piede e si riscopre anche la pasta di cereali diversi dal grano duro, come il farro.


Che Felicetti impastava quando cominciò la sua avventura... Proprio così.

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