La divisione della lingua umana in quattro aree che corrisponderebbero al riconoscimento dei quattro gusti principali – salato, amaro, dolce, aspro – e ora con l'aggiunta anche di un quinto gusto (umami) sarebbe concettualmente errata. Lo sostiene un nuovo libro (clicca qui) appena pubblicato in America, che ripercorre dalle origini del mondo ai giorni nostri la lunga storia del senso del gusto e la nuova frontiera, dove ancora vi è molto da esplorare, del concetto di sapore. Proprio quest'ultimo sarebbe la chiave dell'evoluzione umana e anche della cucina moderna, che avrebbe spinto l'uomo a esplorare, gustare, sperimentare. In questo viaggio nella storia dei sensi, il libro dà anche una motivazione al perché i bambini, davanti a un piatto di cavolfiore, possano lamentarsi e fare gli schizzinosi.
Il testo si chiama Tasty: The Art and Science of What We Eat (Gustoso: l'arte e la scienza di quel che mangiamo), l'autore è John McQuaid, giornalista statunitense premio Pulitzer nel 2007 per un best seller sull'uragano Katrina (clicca qui), impegnato da molti anni in reportage e inchieste a cavallo tra cronaca e scienza. L'idea alla base del suo testo è che ancora vi sia molto da scoprire dell'affascinante mistero della lingua umana, intesa come quella parte del corpo, luogo recettore e propagatore del gusto. E che le indagini debbano andare a battere proprio nel rapporto tra questo senso e l'olfatto, ma anche nei condizionamenti sociali e nel ruolo che il cervello riveste nel riconoscere, classificare, giudicare i sapori ingeriti. In una parola sola: nella scienza del sapore. Una disciplina che interessa molto i produttori alimentari, impegnati spesso a studiare (e talvolta a manipolare) i loro prodotti per ottenere cibi di successo. Secondo l'autore, proprio la scienza del sapore nei prossimi dieci anni rivoluzionerà l'industria alimentare.
Scientificamente, il senso del gusto interessa la nostra lingua ed è l'insieme delle sensazioni che cibo e bevande fanno provare all'interno della bocca. Ogni volta in cui mastichiamo un cibo, o lo mettiamo in bocca per ingoiarlo, alcune sostanze volatili si disperdono e raggiungono anche il naso, motivo per cui è difficile slegare l'esperienza del gusto da quella olfattiva. Unendo insieme le sensazioni olfattive e gustative si ottiene proprio il senso del sapore. A cui si aggiungono la memoria, i ricordi, l'ambiente che ci circonda, fattori che tutti insieme contribuiscono a differenziare l'esperienza del cibo.
E secondo l'autore, proprio il sapore è alla base dell'uomo e delle sue esperienze sensoriali: “Il sapore ci ha creato”, dichiara McQuaid: miliardi di anni fa infatti quando le prime forme di vita interagivano con l'ambiente che le circondava, “queste creature dovevano provare cosa accadeva intorno a loro, e lo facevano inseguendole, catturandole e divorandole. Per riconoscerle, le creature hanno avuto bisogno di amplificare i loro poteri sensoriali e anche per questo motivo è cresciuto il volume dei loro cervelli”.
La sfida umana nel provare nuovi sapori è anche alla base di scelte spesso non condivise da tutti, come il provare gusti forti, assaporare il peperoncino, alcune pietanze fermentate, considerate da alcuni repellenti, e da altri una sfida dolorosa magari, ma piacevole. I condizionamenti sociali in questo caso, e il piacere dato da fattori secondari (la condivisione all'interno del gruppo sociale, la sfida tra pari e così via) contribuiscono a far nascere nell'uomo il bisogno e il desiderio di provare esperienze di gusto e olfatto spesso di confine. Per lo stesso motivo, questa volta rovesciato, un bambino tende a essere “schizzinoso” rispetto a determinati alimenti, che per consistenza, odore e sensazione lasciata in bocca vanno a scatenare reazioni di sapore non codificate (e non apprezzate).
Eva Perasso
22 gennaio 2015
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