Mai più hamburger vegani o salsicce veggie? Lo propone la Ue
AAA nuovi nomi cercansi. Ci sono due anni di tempo a disposizione per capire come ri-battezzare i burger vegetali, le bistecche vegane e le salsicce veggie, visto che dal 2028 gli alimenti a base vegetale potrebbero non poter più usare termini che fanno riferimento alla carne. Lo stabilisce un emendamento approvato l’8 ottobre 2025 dal Parlamento europeo che definisce cosa sia la “carne” e stabilisce che alcune denominazioni possano essere applicate solo agli alimenti di origine animale. Vietando, dunque, alle alternative plant based molti dei termini oggi usati, come scaloppine, bistecche, burger, salsicce, hamburger ma anche tuorlo e albume d’uovo. Un pronunciamento che ha innescato un acceso dibattito.
Ma non è ancora detta l’ultima parola. Affinché questa decisione diventi effettiva servono l’ok delle istituzioni e la negoziazione con i governi dei 27 Paesi della Ue. E, dunque, non se ne parlerà prima del 2028.
A oggi parole come bistecca, scaloppina, burger e salsiccia possono essere usate sulle confezioni e nella pubblicità anche dei prodotti alimentari plant based ma sulle etichette va specificato che si tratta di un “burger vegetale” o di “salsiccia vegana” e vanno ovviamente indicati gli ingredienti. Con la nuova proposta di regolamento Ue, invece, queste denominazioni saranno riservate ai prodotti che contengono parti di animali, che siano bovini, suini, ovini o pollame. Perciò non potranno più essere accostate a preparazioni alimentari senza carne né uova. E neppure essere usate per i prodotti derivati da coltura cellulare. È quello che già avviene nel mondo lattiero-casearie dove nella Ue è vietato applicare ai sostituti vegetali alcuni termini tradizionali, come latte, yogurt e formaggio.
Ora, dunque, la decisione finale spetta alle istituzioni e agli Stati membri della Ue ed è attesa entro un paio di anni. Ma intanto è già partita la gara per trovare nuovi nomi da attribuire ai prodotti plant based e per ripensare etichette, confezioni, marketing e pubblicità.
Non è la prima volta che gli alimenti vegetali che “replicano” la carne finiscono nel mirino delle istituzioni europee. Già cinque anni fa era stata proposta una misura analoga per evitare che termini ben noti e conosciuti dagli europei venissero applicati a prodotti nuovi, simili alla carne ma completamente diversi per ingredienti e tecnica produttiva. L’obiettivo dei promotori del regolamento è la tutela dei consumatori, esposti a etichette che possono essere fuorvianti, ma anche quella degli allevatori, che subiscono la crescente concorrenza delle cosiddette “proteine alternative”, ottenute da alimenti vegetali (come i legumi), da carne coltivata (non ancora ammessa nella Ue, peraltro) o da novel food (come gli insetti),
Nel 2023 anche il governo italiano aveva proposto una misura analoga ma la Corte di Giustizia dell'Ue l’aveva rifiutata poiché aveva riconosciuto la legittimità delle etichette in commercio, purché fossero espressi con chiarezza gli ingredienti di questi prodotti.
I dubbi non mancano neppure oggi. Alcuni esperti hanno sottolineato che i consumatori sono più informati (e meno stupidi) di quanto credono gli europarlamentari anche se ritengono che il modo di comunicare questi prodotti vada cambiato in nome di una maggiore chiarezza. Infatti, il 70% degli italiani giudica appropriati termini come “latte” o “hamburger” anche per le alternative vegetali rivela una ricerca di YouGov e The Good Food Institute. In Germania alcune catene distributive hanno sottolineato che vietare l’uso di termini familiari (come bistecca e salsiccia) potrebbe anche danneggiare le vendite dei prodotti alternativi alla carne, con pesanti ricadute economiche. Proprio i costi aggiuntivi che potrebbero dover sostenere le aziende del mondo plant based per “ripensare” la presentazione dei loro prodotti rappresenta un elemento critico perché metterebbe in difficoltà tanti operatori (soprattutto piccole imprese e start-up) finendo col punire le aziende che hanno puntato sull’innovazione e sulla sostenibilità alimentare.
Manuela Soressi,
ottobre 2025
Curiosa e gioiosa, non a caso è emiliana, lavora come giornalista freelance specializzata nel settore consumi e food di cui scrive per molte testate di settore (economiche e gourmand). Tra un reportage e l’altro trova anche il tempo di scrivere dei libri. Uno, per esempio, è dedicato ai limoni e un altro ai radicchi e ha ricevuto dall’Accademia italiana della cucina il Premio Gianni Fossati per l’impegno nella promozione e divulgazione della buona tavola tricolore. @manuelasoressi
Curiosa e gioiosa, non a caso è emiliana, lavora come giornalista freelance specializzata nel settore consumi e food di cui scrive per molte testate di settore (economiche e gourmand). Tra un reportage e l’altro trova anche il tempo di scrivere dei libri. Uno, per esempio, è dedicato ai limoni e un altro ai radicchi e ha ricevuto dall’Accademia italiana della cucina il Premio Gianni Fossati per l’impegno nella promozione e divulgazione della buona tavola tricolore. @manuelasoressi