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News ed EventiPiaceriPangiallo: il “nonno” del panettone (con qualche "cugino")

Pangiallo: il “nonno” del panettone (con qualche "cugino")

Questo dolce natalizio tipico laziale, insieme ad altri pani dolci simili originari dell’Italia centrale, predata di secoli la nascita del panettone milanese al quale però somiglia molto. Scopriamo insieme questi semplici antesignani del re del Natale

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Il pane è da sempre l’alimento simbolico per eccellenza. La Storia racconta come, una volta all’anno, in occasione di feste e riti, il pane – in origine prodotto da semplici fornai, quando i pasticcieri non esistevano – diveniva dolce e celebrava l’abbondanza e l’augurio grazie all’aggiunta di ingredienti preziosi come miele, spezie e frutta secca, più tardi anche uvette e canditi colorati come gemme.

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Il pane augurale dei Romani
Ai tempi dell’Antica Roma, al termine delle celebrazioni dei “Saturnalia”, festa del Solstizio d’Inverno (intorno alla fine di dicembre), i Romani usavano scambiarsi dei panetti a cupola tondi, non lievitati, fatti con poca farina, addolciti da miele e frutta secca e, nei casi dei cittadini più abbienti, anche uva passa, fichi disidratati e pezzetti di profumata scorza di cedro. Erano ricoperti da uno strato di pastella d’uovo per dar loro il colore del sole e festeggiare la fine dell’inverno. Lo scrittore, cuoco e gourmand latino del tempo di Tiberio (I secolo a.C.) –  Marco Gavio Apicius, nel suo “De Re Coquinaria” illustra la ricetta per questi piccoli pani: «Mescola nel miele pepato del vino puro, uva passita e della ruta. Unisci a questi ingredienti pinoli, noci e farina d’orzo. Aggiungi le noci raccolte nella città di Avella, tostate e sminuzzate, poi servi in tavola».

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Molto più tardi a questi dolci ben augurali di fine inverno si sarebbe dato il nome di Pangiallo di Palestrina (foto sotto). Le prime versioni del dolce prevedevano solo quanto si potesse trovare a quello che oggi chiamiamo km Zero, quindi frutta secca, uova e miele che, oltre ad addolcire, contribuiva alla sua conservazione. La semplicità di questo dolce e l’espansione dell’Impero Romano hanno fatto sì che la ricetta del pangiallo –  che viene da secoli tramandata oralmente e ancora oggi differisce da famiglia a famiglia – “viaggiasse” e si modificasse.

Pangiallo di Palestrina

Il pangiallo laziale
Nel Medioevo, nelle comunità agricole persisteva il costume, da parte delle mogli dei contadini, di preparare e offrire questo pane del Solstizio Invernale come dono natalizio alle autorità e ai Signori: in questo periodo nell’impasto del pangiallo comparivano, oltre a miele e frutta secca, cedro candito, zafferano per dare colore e altre spezie (foto sopra). Derivato quasi certamente dal pangiallo di Palestrina, l’attuale pangiallo laziale – oggi iscritto all’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) del Lazio e diffuso soprattutto nella zona dei Castelli Romani – conferma la propria appartenenza all’antica tradizione dolciaria speziata dell’Italia Centrale grazie alla forte presenza di pepe. Trovate la ricetta tradizionale del pangiallo laziale qui.

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Il pangiallo romano
Oggigiorno lo si trova solo nella Capitale: utilizza cioccolato nell’impasto (che appare scuro come nel panforte), per contrastare esteticamente la rivestitura gialla. L’origine della ricetta è quella del pangiallo laziale, tuttavia l’introduzione di cioccolato non permette di considerarla “autentica” (foto sotto).

PANGIALLO CIOCCOLATO

Ricette derivate (i “cugini” del panettone)
Nella versione umbra del dolce di Natale si usano gocce di cioccolato e molta frutta secca mandorle e nocciole pelate, pinoli, gherigli di noce; non mancano i canditi, l’uva passa, il miele e le scorze di un’arancia e un limone. Simile al panforte senese, il pangiallo umbro è però privo di spezie.
Natalizio pure il pangiallo viterbese, che ad abbondante frutta secca (nocciole, mandorle, noci e pinoli), essicata (fichi) e candita (scorzette di cedro e d’arancia), utilizza cioccolato, tanto miele e… pasta di pane. L’origine del colore giallo lo rivela un antico ricettario dei primi del Settecento ritrovato a Viterbo nella biblioteca della casa dei Conti Venturini Ciofi Degli Atti, dove viene indicato che nella preparazione si dovesse usare lo “…zaffarano, avertendo di lassarne un poco per dargli il colore di sopra alle pagnotte quando sono cotte…”. Tutti gli ingredienti vengono sbriciolati grossolanamente e mescolati, vengono poi formate piccole pagnotte e infornate. Un consiglio: con le mani si deve formare un panetto molto compatto, cercando di togliere tutta l’aria all’interno per evitare problemi in cottura.

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L'usanza del “pane dolce” del Solstizio dei Romani, sebbene custodita e tramandata da nonne e mamme dell’Italia Centrale per secoli, è stata superata dalla “moda” novecentesca del Panettone Milanese, che ha conquistato il mondo.

 

Giulia Paganelli
dicembre 2023

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