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News ed EventiNewsI biscotti del Lagaccio

I biscotti del Lagaccio

Un'antica specialità genovese, nata vicino a un lago. E divenuta ghiotto patrimonio di storiche pasticcerie e industrie dolciarie

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Vi sfido a trovare un genovese che non abbia mangiato un biscotto del Lagaccio. Non belli, non golosi alla vista, ma austeri, sobri, rustici, oserei dire "riservati" se fossero una persona, questi dolci da forno sono invece delicati grazie alla presenza del burro e dello zucchero, leggermente resistenti all'inzuppo, eppure fantastici tuffati nel latte o nel cappuccino. Ma soprattutto dotati di quella caratteristica che a Genova piace molto: la conservabilità nel tempo.

Apprezzati da nomi illustri come Giuseppe Mazzini, che li ricorda nella sua corrispondenza dall'estero, Giuseppe Garibaldi, che li riceve in dono dall'amico Coltelletti definendoli eccellentissimi, e Pellegrino Artusi, il quale scrive: "con questi biscotti non morirete ma camperete gli anni di Mathusalem". Se li gustava anche il poeta Eugenio Montale, che li "pucciava" nel latte nella sua casa genovese di corso Dogali o nella residenza estiva di Monterosso.

La storia dei biscotti del Lagaccio inizia con la costruzione della Villa del Principe, senza la quale non sarebbero nati. Chi parte dalla Stazione marittima o percorre la strada sopraelevata, che come un biscione divide il porto vecchio dalla città, ha modo di scorgere il lussuoso palazzo che l'ammiraglio Andrea Doria si fece costruire nella metà del '500. Per garantire una cospicua riserva d'acqua alla villa e ai giardini, il Principe ottenne il permesso di costruire una diga tra le colline di Granarolo e Oregina (sovrastanti il palazzo).

Fatta la diga, si formò il lago artificiale alimentato dall'acqua piovana e da un vicino rio. Il lago con il tempo prese il nome di Lagaccio, per le sue acque scure e limacciose e per la sua profondità. Nel '600 alimentò una fabbrica di polveri da sparo (poi trasformata in opificio di proiettili durante il governo sardo) e, dopo la Seconda guerra mondiale, diede il nome al quartiere popolare sorto intorno alle sue rive. Diventato pericoloso, fu prosciugato intorno al 1970 e oggi al suo posto c'è un impianto sportivo.

Vicino allo specchio d'acqua, all'inizio del '600, nacque un forno con il compito di fornire le gallette alle flotte della Repubblica. Il biscotto originario era ricavato da normali filoni di pane, poi affettati e rimessi in forno ad asciugare, anzi a biscottare: perché è proprio questa doppia cottura a regalare conservabilità e fragranza. Dal misterioso fornaio originario, o da altri, nacquero poi varianti profumate al finocchietto o addolcite con sapa e miele; lo zucchero arrivò un bel po' dopo con l'aggiunta della parte grassa (burro, olio o strutto).

Non è difficile prepararli in casa, ma i tempi sono lunghi per la doppia lievitazione e la doppia cottura, così i genovesi preferiscono comprarli (strano a dirsi) da sempre. Diversi i produttori, molti dei quali nati come forni o pasticcerie e poi diventati industrie dolciarie, come Preti (1851), Panarello (1872), Grondona (inizio '800), tanto per citare i più famosi.

In centro città meritano un assaggio i Lagaccio della pasticceria Tagliafico (1890): qui i filoni, dopo la prima cottura, vengono incisi con una lama particolare e poi strappati a mano; questo rende i biscotti irregolari aumentandone la friabilità. Il pasticciere consiglia di gustarli spalmandoli con un velo di burro e marmellata.

Un sottile piacere come quello che qualcuno riusciva a permettersi nel secondo dopoguerra per la mattina di Natale: intingere i biscotti del Lagaccio nella cioccolata calda. Due lussi per quei tempi. Da consumare in un sol colpo una sola volta all'anno.

Laura Maragliano,
gennaio 2025

Laura Maragliano
Laura Maragliano

Direttore di Sale&Pepe dal 20o8 (dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate) è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.

Direttore di Sale&Pepe dal 20o8 (dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate) è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.

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