Una zuppa povera che conserva il nome antico di quando era fatta di sola acqua, pane e qualche verdura, e che rimane uno dei piatti più tradizionali e genuini diffusi in Toscana e Alto Lazio
Sebbene c’è chi ne ritrova le radici nella cucina etrusca – il territorio coinvolto corrisponde all’area di insediamento di questa antica popolazione – al pari del gulasch ungherese, l’acquacotta nasce on the road: siamo in Maremma, regione costiera della Toscana che si estende da Livorno fino alla Tuscia viterbese, al confine tra Toscana e Lazio.
Parco Nazionale della Maremma Un territorio che porta alla mente pinete e lunghi litorali di sabbia – oggi perfetti per vacanze di mare e relax – ma che nei secoli ha visto passare mandrie di bestiame accompagnate dai butteri, i pastori a cavallo tipici di questa zona che, come i mandriani magiari, trascorrevano lunghi periodi lontano da casa, scendendo dalla montagna amiatina, attraversando la pianura maremmana fino al mare per pascolare i capi a loro affidati. Giorni e notti nell’aspra campagna toscana del tempo, dove a mezzogiorno si riempiva d’acqua di ruscello un pignatto (una pentola panciuta in terracotta smaltata) e si cucinava con molto poco (con quel che si trovava) sul fuoco di campo.
Butteri con le mandrie (quadro di Giovanni Fattori, fine Ottocento) Il nome deriva infatti dal fatto che era un piatto così povero che l’acqua era uno degli ingredienti principali, insieme al pane raffermo: gli altri ingredienti arrivavano di fortuna. L’acquacotta nesce così, un piatto di transumanza che richiedeva pochi ingredienti e poco impegno da parte dei mandriani, che portavano sempre con sé nella loro catana (un tascapane di cuoio o tela simile a un borsello, dove pastori e soldati tenevano le loro vettovaglie) del pane di grano duro, senza sale (in Toscana si dice ‘sciocco’), raffermo, qualche cipolla, olio di oliva e sale: nei casi più fortunati, un pezzo di cotica o lardo da usare con moderazione, per centellinarli.
Pane toscano senza sale Le prime citazioni confermate della zuppa risalgono al Medioevo. Oltre ai transumanti, lo adottarono presto, per la semplicità e facilità di resa, anche i carbonai, i cavatori di marmo e chiunque lavorasse nelle campagne tutto il giorno: si riempiva d’acqua il pignatto, e via con quanto si trovava in quel momento.
Pentola in terracotta smaltata Oltre ad acqua e pane vecchio, in questa zuppa toscana semplice e gustosa c’erano infatti erbe, verdure e aromi selvatici che i butteri raccoglievano lungo il percorso. Davanti al fuoco, la sera, preparavano nel pignatto un soffritto di aglio, cipolla e qualche scheggia di lardo, se disponibile; tanta acqua e le verdure e le erbe raccolte, che naturalmente cambiavano sempre, secondo la stagione, le zone attraversate, coltivate o incolte, e la… fortuna del buttero.
In questa zuppa brodosa finivano lessati – a turno o tutti insieme – borragine, cicoria selvatica, broccoli, nepitella (mentuccia), sedano, carote, pomodori (talvolta del peperone rosso), fagiolini, denti di leone (tarassaco); più raramente funghi. Una volta pronta la zuppa, la si versava sul pane raffermo – talvolta abbrustolito sulla fiamma – perché questo si ammorbidisse e prendesse uno ‘spessore’ che riempisse lo stomaco dei butteri. Si finiva con una grattugiata di pecorino, ma solo nelle giornate di festa.
Acquacotta con l'uovo Oggi l’acquacotta è uno dei piatti nati poveri più gustosi della tradizione toscana: evolutasi, è ricca di verdure e legumi di stagione e, lontana dall’”acqua cotta” delle origini, viene arricchita da un uovo fresco sbattuto nel brodo oppure cotto in camicia. Tante le versioni che, come spesso accade con i piatti popolari e rustici, cambiano secondo i territori per rispecchiare il diverso carattere dei paesi – e delle famiglie.
A Cana e a Santa Fiora, alle pendici del Monte Amiata, l’acquacotta è più ricca e ghiotta del tradizionale piatto povero toscano perché completata dall’uovo e da tanto formaggio pecorino (talvolta parmigiano). C’è chi non fa mancare un pizzico di peperoncino. Entrambi i paesi celebrano l’acquacotta con sagre annuali dedicate. Nella zona di Sovana, si usa prepararla con spinaci o bietole, e con ricotta al posto dell’uovo. Nel Casentino e nel Senese si trova una gustosissima acquacotta a base di funghi porcini.
Acquacotta con porcini Nell’acquacotta della Tuscia ci sono patate, cipolle, cicoria di campo o bietole, pomodori e l’uovo sperso, cioè strapazzato nel brodo della zuppa, come si fa con la stracciatella; talvolta anche pecorino romano grattugiato. In alternativa all’uovo, la versione dell’Alto Lazio prevede baccalà essiccato, ammollato dalla sera prima e tagliato a cubetti, e poi peperoncino, costa di sedano, patate a tocchi.
Acquacotta con baccalà Nella zona del lago di Bracciano, è possibile incontrare ricette che includono pesce di lago, lumache o cosce di rana. L’acquacotta primaverile è legata alla stagione delle fave ed è preparata con queste unite a piselli, carciofi a pezzi, cipolla e biete, prosciutto o grasso di maiale, profumata di mentuccia. Un’altra versione vede fagiolini, cavolo, fiori di zucca, zucchine, patate novelle.
A Montalcino l’acquacotta non prevede l’uovo; l’acqua è spesso sostituita da brodo di manzo o pollo, come in questa ricetta, ci sono sempre i pomodori. A Capalbio, nel soffritto usano il basilico. A Massa Marittima, l’acquacotta si chiama ‘pagnone’ e viene preparata in una padella di ferro; in questa ricetta talvolta spuntano i fagioli cannellini.
Si racconta che l’acquacotta sia nata dopo che uno straniero, giunto in Maremma, mise dell’acqua a bollire in un paiolo con dentro due sassi, ben puliti. Al primo paesano che, incuriosito, gli chiese cosa stesse cucinando, egli rispose “Una squisita minestra di sassi e acqua che, naturalmente, sarebbe ancora più gustosa con l’aggiunta di una cipolla”. Il paesano rispose che aveva giusto una cipolla in dispensa, gliela portò e la misero nel pentolone. Pian piano, a chi passava e chiedeva, lo straniero elogiava la minestra di acqua e sassi che, precisava, “sarebbe stata davvero perfetta con l’aggiunta di una carota… un ciuffo di cicoria… un pezzetto di cotica di maiale… una punta di cacio…”. Tutti diedero un contributo alla zuppa, che continuava a cuocere con i suoi ingredienti, finché fu dichiarata pronta.
Si dice che quando coloro che avevano collaborato alla sua preparazione la assaggiarono, trovarono “questa acqua cotta davvero gustosa”.
Francesca Tagliabue
luglio 2025