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piaceriReggiana IGP, l'anguria più dolce che c'è

Reggiana IGP, l'anguria più dolce che c'è

Coltivata da secoli nella bassa emiliana, ha la polpa croccante e compatta dall'alto grado zuccherino. Deliziosa come dessert ma anche con pesce e formaggi

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L’anno passato “Miss Anguria” pesava oltre 104 kg ma nel 2012 è stato raggiunto il record mondiale con un cocomero di ben 139,60 kg. A salire sul podio sono angurie reggiane in versione maxi, che a fine luglio si sfidano a Novellara (RE) nella tradizionale gara del cocomero più pesante.

Caratteristiche angurie reggiane
Le varietà in commercio, che nel 2016 hanno ottenuto l’Igp, non raggiungono queste dimensioni ma vantano altre qualità: in particolare la dolcezza unica della polpa che, secondo il disciplinare, deve avere un tenore zuccherino di minimo 11-12 gradi brix (percentuale di zucchero/100 g di liquido totale). Sono le caratteristiche del terreno, calcareo-argilloso e ricco di potassio, a rendere inconfondibile il gusto dell’anguria. Ma anche l’abilità degli agricoltori che, in pieno campo o in ambiente protetto, la coltivano secondo tecniche tramandate di padre in figlio.

La raccolta
Il momento topico è quello della raccolta, il cosiddetto stacco, che deve avvenire al giusto grado di maturazione. Un tempo la figura dello “spicador” (lo staccatore) aveva contorni quasi mitici, perché sapeva cogliere i segnali, poco evidenti ai più, della raggiunta maturità dei cocomeri: stato della pianta, cambiamento di colore della scorza, suono cupo del frutto percosso con la mano. Ancora oggi lo stacco si effettua con la roncola, quando l’anguria ha raggiunto la maturazione commerciale: polpa di colore rosso vivo, di consistenza croccante e soda; peso dai 5-12 kg per la varietà tonda ai 7-20 kg per l’allungata. La zona di produzione comprende 20 comuni della Bassa Reggiana, sulla sponda destra del Po, dove tradizionalmente si coltivava il cocomero.

Dai banchetti rinascimentali ai roll
Anche se mancano testimonianze specifiche sulla coltura dell’anguria, il volume “Anguria Reggiana. Tradizione, terre e qualità” (Bookstone, 2012) ne cita gli usi gastronomici già al tempo dei banchetti rinascimentali degli Estensi, in cui si servivano cocomeri con mandorle e altri frutti sciroppati. Mentre nel Sei-Settecento le ricette del “Libro della Famiglia Cassoli” raccontano l’uso insolito del frutto nei piatti salati: marinato con aceto e sale e aggiunto a piatti di carne, coniglio e montone, insieme ad aromi e spezie; con uova, spezie, burro e farina; in minestra con brodo, erbe, rossi d’uovo e aceto.

Oggi l’utilizzo salato del cocomero reggiano, oltre a quello classico a fine pasto o nei dessert, è stato riscoperto, grazie in particolare alla compattezza della polpa. Per esempio Gianni Brancatelli, chef della Bottega di Campagna Amica a Reggio Emilia, abbina l’anguria a sapori di mare in roll di ispirazione giapponese, dove il frutto marinato con salsa di soia, sale di Cervia e scorza di limone avvolge il pesce (tonno, sgombro). Oppure la accosta al formaggio, come nei tacos di Parmgiano Reggiano con anguria spruzzata con aceto balsamico giovane.

Marina Cella
Giugno 2022

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