Conosciamo e impariamo a scegliere e usare i principali condimenti tipici della cucina asiatica: da quelli base alle miscele tradizionali per insaporire carne e verdure, riso e noodles, sushi & co.
Chi ama fare la spesa nei negozi di prodotti esotici, così come chi ama andare per ristoranti orientali, s’imbatte sugli scaffali e nei menu in tantissime salse. Alcune diventate ormai di uso comune, basti pensare alla salsa di soia, altre più insolite, come la sriracha thailandese o il gochujang coreano. Ne abbiamo selezionate una dozzina da conoscere e distinguere per ingredienti e utilizzi. Tutte assolutamente da provare!
Quella di soia è in assoluto la salsa regina della maggior parte delle cucine orientali, dalla Corea alla Thailandia, dalle Filippine al Vietnam e, naturalmente, in Cina e in Giappone, dove si producono i due stili più diffusi. La differenza principale tra le salse dei due paesi è nei tempi di produzione e, in particolare, di fermentazione: in Cina avviene in assenza di lieviti ed è più breve (alcune settimane), mentre in Giappone è innescata da lieviti selezionati e dura diversi mesi, fino addirittura a un anno.
Nelle salse cinesi il sapore è arrotondato grazie all’aggiunta di zucchero, caramello o melassa e spesso sono presenti conservanti e additivi, come gli esaltatori di sapidità. Diversamente, le migliori salse giapponesi, dette shoyu, contano di soli 4 ingredienti: acqua, soia, frumento e sale, oltre ai già citati fermenti. In Sol Levante si produce tradizionalmente anche la tamari che, essendo priva di frumento, è adatta a chi soffre di celiachia, tanto che molti brand riportano il simbolo della spiga barrata. Altra macro distinzione è quella tra salsa di soia chiara e scura: la prima è un genere più liquida e sapida, la seconda più densa e dolce.
Altra distinzione è nell’utilizzo: se nella cucina cinese la soia è un principalmente condimento da aggiungere a marinate e cotture, o da irrorare rifinitura dei piatti cucinati, in Giappone è un accompagnamento in cui intingere sushi (rigorosamente dalla parte del pesce, non del riso!) e sashimi. Come vedete, l’argomento è davvero vasto e ricco di curiosità: se volete approfondire, vi consigliamo il nostro articolo dedicato alla salsa di soia, e a come sceglierla.
È la salsina traslucida e sciropposa che spesso accompagna gli involtini primavera. Può essere a base di peperone, a volte lievemente piccante per l’aggiunta di peperoncino, oppure con succo o polpa di frutta (ananas, pere), zucchero, sciroppo (di mais, di glucosio), aceto e, per ottenere la tipica consistenza, amido di mais e/o xantano. Un buon abbinamento è anche con gli involtini vietnamiti (più sottili di quelli primavera e farciti con spaghettini di soia) e con i wanton (ravioli) fritti.
Altro tipico accompagnamento delle pietanze cinesi, nella sua versione tradizionale l’hot chili oil è preparato versando, sopra una dose generosa di peperoncino secco in fiocchi, un olio bollente, aromatizzato con verdure odorose e spezie (cipollotto, aglio, zenzero, anice stellato, eccetera). A volte completato da semi di sesamo, si utilizza in dosi minime, almeno per noi occidentali! Può insaporire zuppe, tofu, carne e pesce in cottura, oppure essere aggiunto a piacimento al momento di gustare i piatti, un po’ come il nostro olio al peperoncino.
Più che una salsa il wasabi è una pasta densa, dall’inconfondibile colore verde fluo, ricavata dal rizoma di una pianta conosciuta come ravanello giapponese. Affine ai nostrani cren o rafano, così come alla senape (tutti derivati da ortaggi della famiglia della brassicacee), rispetto ai “parenti” occidentali è persino più intenso, con una piccantezza peculiare, fresca e balsamica. Da dosare con attenzione perché, oltre a stimolare le papille, “eccita” naso e occhi, letteralmente fino alle lacrime! Per questa sua decisa pungenza si può utilizzare per dare carattere a salse più elaborate: una punta irrobustisce la delicata maionese, una quantità generosa, abbinata a salsa di soia e spezie varie, dà vita al kizami wasabi, decisamente hot.
La salsa di pesce o fish sauce, chiamata nuoc mam in Vietnam, è una salsa fermentata di acciughe o seppie decisamente salata e dall’intenso aroma marino. Rientra in tantissime ricette e condimenti, zuppe e brodi, oltre che nella preparazione del kimchi coreano (foto in alto). Può ricordare la nostra colatura di alici e, come quella, si utilizza a gocce o poco più, perché molto saporita. Più gentile, densa e zuccherina è invece la salsa di ostriche. Tipicamente cinese (il brand più celebre è Lee Kum Kee, l’azienda fondata dall’inventore della ricetta) è usata per insaporire carni, verdure, noodles, stufati eccetera.
È una salsa elegante e piacevolmente acidula a base di salsa di soia e succo di limone o, nelle versioni migliori, di yuzu, agrume giapponese particolarmente aromatico. Nella formula rientrano il mirin, vino di riso da cucina che dona dolcezza, katsuoboshi (fiocchi di tonnetto essiccato) e alga kombu per l’umami. Si può usare nelle marinate, nel condimento di carpacci e tartare o per intingere la tempura, i gyoza, i ravioli brasati, e i ravioli al vapore, in particolare quelli con un ripieno di gamberi.
È un po’ la parente giapponese della salsa barbecue occidentale, da impiegare nelle marinate e spennellare durante la cottura degli spiedini di pollo (yakitori, appunto). Non c’è una vera e propria ricetta codificata ma in genere è preparata con salsa di soia, mirin, sakè e zucchero. Il risultato è una glassa densa e scura che, nelle versioni commerciali, può essere arricchita con melassa, spezie, amido, aceto.
Simile per gusto e utilizzi alla salsa yakitori, la teriyaki ha un profilo aromatico più complesso per l’aggiunta di miele, aglio e zenzero. Tradizionalmente, non è legata a un solo ingrediente (come la yakitori al pollo) ma si impiega nelle cotture alla piastra o nel wok di carni, verdure e pesci: sembra anzi che sia nata dagli immigrati giapponese alle Hawaii proprio per glassare il pesce alla griglia.
Prende il nome dalla tipica cotoletta di maiale fritta e servita a trancetti, che la tonkatsu accompagna per tradizione. Per fare un altro paragone con le salse occidentali, si può dire che sia l’interpretazione jap della Worcestershire. Come quella, è fermentata a partire da una base vegetale che comprende verdure (pomodori, carote, cipolle, sedano) e frutta (prugne e mele, ma anche datteri o mango), oltre a spezie ed erbe aromatiche. E così come nella Worcester è presente la pasta di acciughe, nella tonkatsu può esserci salsa di pesce. Scura, densa e agrodolce, si abbina a qualsiasi ingrediente impanato e fritto.
Guarnisce l’okonomyaki, la golosa frittatina di cavolo, e accompagna le takoyaki, polpette di polpo, e il pollo karaage, bocconcini impanati nel panko (pangrattato grossolano). Sostanzialmente è una maionese per come la conosciamo, a base di tuorli, olio vegetale (a seconda delle marche, di colza, di soia, eccetera) e aceto (che può essere di mele, di riso, di vino, anche miscelati tra loro). A fare la differenza sono la quantità di tuorli (Kewpie, in assoluto il brand più diffuso, ne dichiara 4 per 450 g di salsa), che la rendono molto soffice e cremosa, ma anche una punta di senape, che conferisce una nota sprint, e l’aggiunta di glutammato monosodico (che può essere indicato in etichetta con la sigla E621), esaltatore di sapidità che regala il tipico gusto umami. Si trova anche già aromatizzata al wasabi (foto in alto).
Se Cina e Giappone, quando si parla di salse, la fanno da padrone, ci sono prodotti di nicchia di altri paesi che stanno prendendo sempre più piede. Tra questi vale senza dubbio menzionare la sriracha, una purea abbasta fluida e super hot di peperoncini piccanti, di provenienza thailandese, ma molto apprezzata anche dalla cucina vietnamita. Tanto forte da non poter essere usata al naturale, si aggiunge in piccole quantità ai condimenti e alle marinate, un po’ come si fa con il Tabasco. Per esempio, nella glassatura delle chicken wings, le alette di pollo al barbecue (foto in alto), o nel leche de tigre, il “brodetto” che condisce il ceviche peruviano.
Andiamo in Corea con questa che è forse la salsa piccante più celebre della cultura gastronomica del paese asiatico. Piuttosto complessa, e fermentata a lungo come molte delle specialità coreane, vede tra gli ingredienti – oltre al peperoncino - riso glutinoso e fagioli di soia. Il gochujang si usa per condire riso, gnocchi (i tteokbokki), noodles, carni (in special modo manzo), uova o per arricchire salse più elaborate come la ssamjang, condimento per gli involtini in foglia di insalata.
Francesca Romana Mezzadri
Foto olio piccante Freepik
Febbraio 2025
Super appassionata di buon cibo e profonda conoscitrice di fornelli, è una giornalista milanese specializzata che ha fatto del suo goloso hobby una professione. Oltre a scrivere di food e seguire i servizi sul set che mostrano come preparare tanti manicaretti, insegna anche tecniche di cucina in corsi speciali: cooking night, lezioni personalizzate ed eventi con showcooking e cucina a domicilio. Il suo obiettivo è osare e sperimentare (in relax) per portare in tavola solo il meglio. @cuochina
Super appassionata di buon cibo e profonda conoscitrice di fornelli, è una giornalista milanese specializzata che ha fatto del suo goloso hobby una professione. Oltre a scrivere di food e seguire i servizi sul set che mostrano come preparare tanti manicaretti, insegna anche tecniche di cucina in corsi speciali: cooking night, lezioni personalizzate ed eventi con showcooking e cucina a domicilio. Il suo obiettivo è osare e sperimentare (in relax) per portare in tavola solo il meglio. @cuochina