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News ed EventiNewsLa zuppa del re

La zuppa del re

È quella che preparò una contadina pavese del ‘500 per ristorare il sovrano francese. la si replica da allora e piace pure ai grandi chef

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Due eserciti, una battaglia, una città sotto assedio, un re fatto prigioniero e una contadina che inventa un piatto destinato alla fama. Potrebbero essere gli elementi di un romanzo storico, invece riassumono in poche parole gli attori della battaglia di Pavia del 1525. Da una parte c'è Francesco I, re di Francia, che torna in Lombardia per riprendersi il Ducato di Milano, perso nel 1521, e ci riesce nell'autunno del 1524 grazie a un esercito poderoso. Dall'altra c'è l'esercito imperiale di Carlo V d'Asburgo, che per inferiorità numerica si ritira lasciando guarnigioni ad Alessandria, Como e soprattutto a Pavia. Quest'ultima, definita "gemma del Ducato di Milano", era una città di diecimila abitanti, con una guarnigione di seimila soldati. Ed è proprio fuori dalle sue mura che si accampa Francesco I. Dopo un primo periodo di difficoltà i capitani dell'esercito imperiale si riorganizzano, ricevono rinforzi, in città i viveri scarseggiano e bisogna agire: il 24 febbraio del 1525, a sorpresa, attaccano il castello di Mirabello che ospita Francesco I. La battaglia non dura più di due ore, la vittoria imperiale è netta, la cavalleria francese distrutta e il suo re, rimasto isolato, giunge nei pressi della cascina Repentita dove, trascinato a terra dal cavallo ferito, viene circondato dai nemici e catturato. I vincitori chiedono a una contadina di rifocillarlo. E qui termina, per quel che ci riguarda, la storia della battaglia di Pavia e inizia quella meno certa della zuppa alla pavese.

La contadina fa quello che può, mette sul fuoco una pentola con il brodo, prende del pane raffermo e lo fa tostare, depone le fette in una ciotola, rompe sopra un uovo e vi versa il brodo bollente con qualche foglia di crescione. A quanto dice la leggenda, il re ne è ristorato e rinvigorito. Ma che brodo sarà stato? Difficilmente di carne, impensabile in una cascina del XVI secolo, forse fatto con qualche carcassa di pollo, ma più probabilmente con verdura, vista la ristrettezza in tempo di guerra, e insaporito dal crescione, abbondante lungo i corsi d'acqua e in grado di dare un piccolo tocco piccante. Con una spolverata di grana o no? I cronisti pavesi del tempo raccontano che durante l'assedio della città furono distribuite ai soldati che difendevano Pavia forme di "formaggio parmense", ma non si sa se la cascina Repentita ne fosse provvista. Da allora le varianti della zuppa alla pavese si sono moltiplicate, comprese quelle create da chef famosi come Gualtiero Marchesi che friggeva i crostoni di pane nel burro e usava brodo di manzo definendo il piatto "una preparazione eccellente che meriterebbe maggiore considerazione". O quella di Carlo Cracco che su fette di baguette tostate pone una fetta di taleggio leggermente fusa a cui aggiunge cipolla caramellata, tuorlo ricoperto di pangrattato e fritto e abbondante brodo di manzo. Mentre Davide Oldani nel 2018 ha dato vita alla zuppa pavese 2.0: a base di brodo di pollo e verdure, passatelli, uovo barzotto e una sfoglia di pane croccante. Dopo essere stato catturato, Francesco I fu portato al Monastero di San Paolo e poi al castello di Pizzighettone e in seguito proseguì la sua prigionia in Spagna. Tornato libero in Francia si racconta che abbia insegnato la zuppa ai cuochi di corte trasformandola in "soupe à la pavoise". Ma chissà se i francesi la mangiano ancora.

Laura Maragliano,
maggio 2023

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