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News ed EventiPiaceriI ravioli di Niccolò Paganini (ripetibili, per fortuna)

I ravioli di Niccolò Paganini (ripetibili, per fortuna)

Di lui si sa che era un violinista dotato di tecnica eccezionale, ma non tutti conoscono il suo lato di buongustaio ed entusiasta della cucina ligure, genovese in particolare. Al punto di scambiarne ricette con l’amico avvocato

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 Esecutore velocissimo, Niccolò Paganini compiva con disinvoltura salti melodici di diverse ottave con straordinario virtuosismo, grazie alle dita estremamente lunghe e mobili che gli permisero di arrivare a livelli di esecuzione tecnica insuperati – si racconta infatti che avesse stretto un patto con il Diavolo per avere fama e straordinaria abilità nel suonare il violino, cosa che costò al sublime musicista la sepoltura in terra consacrata.

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Nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti a Washington c’è una collezione di materiali che riguardano Niccolò Paganini acquistati e donati dalla Sig. Gertrude Clarke Whittall nel 1944. La raccolta di taccuini, diari e corrispondenza include una ricetta dei ravioli scritta a mano da Paganini (foto sotto): il famoso violinista genovese, infatti, era anche un entusiasta buongustaio: apprezzava diversi piatti della cucina genovese e talvolta li preparava lui stesso. Dopo un’operazione alle ghiandole salivari, Paganini scrisse a all’amico avvocato Luigi Guglielmo Germi —  con il quale scambiava idee sulla buona cucina —  che si sarebbe ripreso più in fretta se avesse trovato una "signora" che cucinasse "divinamente anche alla genovese" (Lettera a Luigi Germi, 20 ottobre 1828).

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Appassionato buongustaio
Il manoscritto con la ricetta risale al 1839, un anno prima della sua morte. Il testo contiene, in dettaglio, la ricetta d’uno dei suoi piatti preferiti: i ravioli conditi con il “tocco” (sugo) alla genovese. È un piatto robusto, dal grande successo popolare. Paganini era nato a Genova in un quartiere popolare, figlio di un lavoratore portuale grande appassionato di musica, che aveva intuito il genio del figlio fin dall’infanzia.
Paganini amava la cucina di tradizione genovese: in alcune sue lettere celebra nostalgico il denso minestrone che faceva sua madre ed elogia la farinata. La sua autentica passione erano però i ravioli, di cui più avanti trascriviamo fedelmente la ricetta (vedi in calce).

Ravioli alla Ligure 2

Ripieno alla ligure
Nell’intera ricetta, si impiegano solo due tipi di carne di bue: il manzo magro per fare il sugo e il vitello per il ripieno dei ravioli. Paganini interpreta la tradizione ligure che preferisce piatti saporiti ma tendenzialmente magri, niente salsiccia o carne di maiale come in altre ricette del periodo. I suoi ravioli, poi, hanno nel ripieno la borragine (in genovese boraxe), erba assai amata e apprezzata in Liguria.
I ravioli sono, nella loro origine, un piatto millenario. In tutte le regioni (ma in particolare in Piemonte e in Emilia) si trovano varianti infinite. Le variazioni dei condimenti e dei ripieni si devono all’urbanizzazione, ai mercati e anche alla trasformazione delle cucine nelle case.

FUNGHI SECCHI

Anche il sugo è genovese
La ricetta di Paganini segue la tradizione genovese: nel trito del sugo, infatti, sono compresi —  e a Genova ci sono in mille primi e pietanze —  i funghi porcini secchi tritati. Anche la presenza delle cervella di vitello (già presenti nella ricetta della cima alla genovese) bollite che vanno poi amalgamate al ripieno con la carne macinata, la borragine, le uova e il formaggio parmigiano.
Paganini nella sua ricetta offre anche alternative: restando nel quinto quarto, l’impiego dei laccetti (animelle), e poi la carne di cappone in alternativa al vitello. Il cappone è un’altra golosità̀ dei genovesi: adottato prima dalle famiglie alto borghesi, ha poi avuto anche un consumo popolare.

CONSERVA POM

Il pomodoro
La sua presenza —  cotto o crudo —  sulle tavole italiane era relativamente recente, decollerà pian piano dall’inizio del 1800: ai tempi di Niccolò Paganini il pomodoro era entrato nel consumo genovese da poco, considerato che lo scritto di Paganini è datato 1839. Paganini, a quanto pare, lo apprezzò da subito. In molte ricette dell’epoca il sugo di carne è ancora in bianco, sul modello piemontese. Inoltre, Paganini parla esplicitamente di conserva: la conserva si trova per la prima volta nella ricetta dei ravioli della “Cuciniera Genovese, ossia La vera maniera di cucinare alla genovese”, ricettario di Gio Batta Ratto con il figlio Giovanni Ratto, che risale al 1863, quando ormai l’uso del pomodoro era diffuso in tutta Italia.

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E il famoso “Paganini non ripete”?
Per fortuna non si riferiva ai ravioli: nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando il re Carlo Felice di Savoia I chiese al violinista di ripetere un brano appena eseguito. Paganini, che aveva lesioni ai polpastrelli e soprattutto aveva improvvisato, rispose “Paganini non ripete” perché non avrebbe potuto ripetere, anche volendo, e si giocò il permesso di continuare l’esecuzione e anche di tenere successivi concerti a Vercelli e Alessandria.

SFOGLIA

Il testo della ricetta di Paganini conservata nella Libreria del congresso a Washington (USA), copiato fedelmente

Per una libra e mezza di farina due libre di buon manzo magro, per fare il suco (sugo, ndr).
Nel tegame si mette del butirro, indi un poco di cipolla ben trottolata che soffrigga un poco.
Si mette il manzo e fare che prenda un po' di colore.
E per ottenere un suco consistente si prende poche prese di farina, ed adagio si semina in detto suco affinché prenda il colore.
Poi si prende della conserva di pomodoro, si disfa nell'acqua e di questa acqua se ne versa entro alla farina che sta nel tegame, si mescola per scioglierla maggiormente, ed in ultimo si pongono entro dei fonghi secchi ben tritati e pestati ed ecco fatto il suco.
Ora veniamo alla pasta per tirare le foglie senza ovi.
Un poco di sale entro la pasta gioverà alla consistenza della medesima.
Ora veniamo al pieno (ripieno, ndr).
Nello stesso tegame colla carne si fa in quel suco cuocere mezza libra di vitella magra, poi si leva, si trita e si pesta molto.
Si prende un cervello di vitello si cuoce nell'acqua, poi si cava la pelle che copre il cervello, si tritola e si pesta separatamente come carne.
Si prende un pugno di borage chiamata a Nizza bora, si fanno bollire, si premono molto, e si pestano come sopra.
Si prendono tre ovi che bastano per una libra e mezza di farina.
Si sbattono ed uniti e nuovamente pestati insieme tutti gli oggetti sopranominati, in detti ovi ponendovi un poco di formaggio parmigiano.
Ecco fatto il pieno.
Potete servirvi del capone in luogo del vitello, dei laccetti in luogo del cervello, per ottenere un pieno più delicato.
Se il pieno restasse duro si mette del suco.
Per i ravioli la pasta si lascia un poco molla.
Si lascia 1 ora sotto coperta da un piato per ottenere le foglie sotìli.

 

Francesca Tagliabue
maggio 2023

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