Seguici su Facebook Seguici su Instagram
News ed EventiPiaceriCaffè al ristorante: sarà buono?

Caffè al ristorante: sarà buono?

Parte dai ristoratori la riscoperta del caffè come momento significativo dell’esperienza a tavola. Una coccola da costruire con i giusti accorgimenti. Che possiamo seguire anche a casa!

Condividi

È capitato a tutti, almeno una volta: cenare in un ristorante fine dining e, al momento del caffè, restare letteralmente con l’amaro in bocca! Un inciampo capace di rovinare la serata, un dettaglio niente affatto trascurabile che può rimanere impresso negativamente. Per lungo tempo sono stati gli stessi ristoratori a non dare la giusta importanza alla “tazulella” anche – come vedremo - per via di oggettive difficoltà. Le cose, per fortuna, negli ultimi tempi stanno cambiando in meglio. Gli amanti della bevanda calda, consumata con regolarità da più del 90 per cento degli italiani, possono dunque tirare un sospiro – o un sorso! – di sollievo. Infatti, parte dai ristoratori la riscoperta del caffè come momento significativo dell’esperienza a tavola: una coccola da costruire con i giusti accorgimenti.

Al bar e al ristorante (ma anche a casa)

La lamentela più comune è che il caffè al ristorante non sia buono come al bar. Si tratta di un luogo comune, certo, ma come spesso accade presenta un fondo di verità. La differenza è legata soprattutto alle quantità. In particolare, il maggiore smercio permette al barista di accumulare più esperienza e, soprattutto, di non conservare troppo a lungo le confezioni aperte, preservando fragranza e aroma del prodotto. Questo non è sempre possibile al ristorante dove, fatalmente, il numero di caffè è esiguo e il caffè sfuso può restare a contatto con l’aria e l’umidità. Vediamo allora le buone pratiche per la ristorazione, che possono dare spunti utili da seguire anche a casa.

Come è noto, alle miscele già macinate si dovrebbe sempre preferire il caffè in grani, che mantengono meglio le qualità organolettiche. Naturalmente, deve essere mantenuto ben sigillato in recipienti opachi, perché l’esposizione prolungata a luce e calore - oltre ad accelerare l’ossidazione - può compromettere la corretta macinazione e, di conseguenza, l’estrazione. Il ristoratore dovrebbe evitare i pacchi da un chilo, preferiti dai bar che ne preparano decine e decine al giorno, e orientarsi su pacchetti da 250 grammi: “Con questi packaging è possibile garantire ai clienti un prodotto prima di tutto fresco”, conferma Giovanni Corsini di Agust, piccola torrefazione artigianale bresciana che rifornisce locali in tutta Italia. Altra indicazione importante è quella di macinare i chicchi di volta in volta con l’attrezzatura giusta, come i macinini professionali con bilancia incorporata che garantiscono che la dose sia sempre la stessa, con la stessa freschezza, espresso dopo espresso.

Naturalmente, pulizia e manutenzione della macchina devono essere impeccabili. In questo vengono in aiuto, secondo Corsini, i portafilitri in acciaio, più facili da pulire di quelli, assai comuni, in ottone. Ultimo, ma non per importanza, il fattore umano: come nella brigata ci sono gli chef de partie, i capo partita specializzati nelle diverse preparazioni, così dovrebbe essere per gli addetti alla preparazione del caffè: “Le persone che se ne occupano possono essere diverse e la formazione diventa fondamentale”, osserva Massimiliano Mascia, chef due stelle Michelin del San Domenico di Imola e membro dell’associazione JRE (Jeunes Restaurateurs) Italia.

Un nuovo servizio

Le regole suggerite dagli esperti sono il canovaccio su cui sempre più ristoratori stanno costruendo il “nuovo” servizio del caffè. Molti offrono una carta delle miscele in cui si raccontano origine, aromi, intensità delle diverse varietà proposte. Così, il cliente può scegliere il “suo” caffè, il più adatto a gusti ed esigenze personali. Se un ristorante prevede questa possibilità, ci sono buone probabilità di gustare un caffè di livello.

Anche l’occhio vuole la sua parte: vassoietti individuali, tazzine brandizzate, di design, con un minuscolo coperchietto per tenere in caldo la bevanda, una bella zuccheriera o bustine personalizzate sono tutti elementi che contribuiscono a rendere il servizio più gradevole. Un esempio su tutti: alla moda dei piatti vintage, non di rado spaiati, che colorano sempre più spesso le tavole dei ristoranti à la page, non sfuggono le tazzine che sembrano prese dal servizio buono della nonna, ricreando un momento intimo.

Completano la coccola-caffè biscottini, mini pasticcini, cioccolatini con cui accompagnare la tazzina. Con qualche piccolo accorgimento: il cioccolato fondente, per esempio, non dovrebbe avere una percentuale di cacao alta, per non rendere troppo amara la percezione del caffè. Così anche la dolcezza di frollini e sablè che, se eccessiva, renderebbe l’abbinamento stucchevole. Tra gli ingredienti della piccola pasticceria, sono indicate le note tostate della frutta secca, quelle floreali del miele e quelle fruttate degli agrumi, come nelle classiche scorzette di arancia candite, magari anche intinte nel cioccolato.

Man mano che piccole e grandi attenzioni vanno diffondendosi, ecco che il caffè sta diventando la miglior conclusione di menu degustazione e cene esperienziali. In molti sostengono che, alla fine di un percorso gastronomico, l’ultima cosa assaggiata è quella che si ricorda di più, capace di influenzare il giudizio sull’intero pasto e invogliare (o meno) il cliente a tornare. Di solito, ci si riferisce al dessert. Ma anche un semplice caffè può dire la sua: meglio che sia buono, allora!

Francesca Romana Mezzadri
maggio 2025

Abbina il tuo piatto a