Ho un caminetto, ma non l’ho quasi mai usato. Vive nel mio soggiorno come un bel soprammobile, raramente ha sentito odor di legna, eppure ha il suo fascino. Al contrario, altri caminetti lavorano d’inverno alacremente recuperando talvolta anche la funzione di strumento di cottura.
Proprio come una volta, quando il camino era l’unica fonte di calore e, mentre gli anziani raccontavano storie davanti al fuoco, l’acqua bolliva, la polenta cuoceva e magari sotto la brace si nascondeva qualche semplice delizia, come il pipasener. La preparazione di questo dolce mantovano d’inizio Ottocento, di solito confezionato per la festa di Sant’Antonio Abate, non poteva prescindere dal fuoco del camino.
L’impasto povero (farina bianca e gialla, zucchero, un po’ di unto di maiale o burro, limone e, nelle versioni più ricche, pezzetti di cioccolato) veniva eseguito alla sera e poi lasciato cuocere per tutta la notte in una teglia di rame con il calore delle braci ancora accese. Il fumo che usciva sbuffando dal coperchio posto sulla teglia faceva un effetto “pipa” da cui il nome del dolce. Il risultato era una sorta di focaccia, caratteristica per il particolare sapore affumicato, che veniva consumata nel latte o nel vino e, nei giorni di festa, con lo zabaione.
Oggi si può gustare il pipasener nei locali del mantovano, naturalmente è cotto al forno e, persa l’idea originale di focaccione, è diventato un ottimo dolce. Nadia Santini, del ristorante Dal Pescatore, a Canneto sull’Oglio, eletta miglior chef donna al mondo nel 2013, da moltissimi anni lo ha in carta con lo scopo preciso di mantenerne la tradizione e il ricordo. La sua ricetta, più ricca di quella antica, prevede uova, ricotta, uvetta e un goccio di rum. Chi possiede un camino può provare invece il pipasener originale. Il risultato non lo conosco ma se qualcuno vuole cimentarsi e raccontarmelo sarà l’occasione giusta per accendere il mio camino.
di Laura Maragliano
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