La nostra direttrice, tra ricordi personali e storia sociale ci svela come l’orario del pranzo racconta molto più di quanto sembri. Un invito a riflettere su come cultura e abitudini plasmino anche i gesti più quotidiani
Correvano gli anni Novanta e un'estate mi trovavo in Germania per un lavoretto occasionale che mi permetteva di acquisire scioltezza nell'uso del Verb am Ende e districarmi con grazia tra genitivo e dativo. Ma a dispetto delle asperità della lingua, l'impresa più ardua, per me, era quella di pranzare ogni giorno alle 11,30. Quel paio d'ore di scarto tra le abitudini mie e dei miei datori di lavoro non mi avrebbe colpito tanto se avessi già avuto modo di conoscere, tra le narrazioni di Alessandro Barbero, quella che il popolare prof torinese dedica all'evoluzione degli orari del pranzo tra '700 e '800. Nell'Europa del diciottesimo secolo – racconta Barbero in una conferenza – il pasto principale della giornata si svolge tra le 12 e le 14. Ed è nettamente più abbondante degli altri. Ma nella Londra di fine '700 qualcosa cambia: la nobiltà urbana, abituata a far tardi la sera e levarsi ancor più tardi la mattina, posticipa man mano l'orario del pranzo (dinner) distinguendosi dalle classi più basse, che di giorno lavorano e continuano a mangiare presto. Il fenomeno prosegue nel corso dell'800, tanto che si pranza anche dopo le 19. La "moda londinese" si diffonde nella Francia della Rivoluzione e di Napoleone, dove il dîner tardivo è funzionale agli uomini che hanno tempo per gli affari prima di sedere a tavola (dopo, ovviamente, non si lavora più!). Il resto d'Europa si accoda pigramente: nel 1826 Manzoni scrive per invitare a pranzo alle 5.
Se la cena spesso viene eliminata, altri due pasti "minori" sopperiscono allo spostamento del pranzo: in Francia petit déjeuner e déjeuner à la fourchette, in Inghilterra breakfast e lunch. E la trasformazione (che ha un che di gattopardesco) lascia tracce più lessicali che sostanziali. Nella nostra lingua, invece, prevale l'uso popolare e il pasto di metà giornata resta pranzo. Tranne per qualcuno che (con un po' di snobismo) lo colloca a fine giornata e distingue prima e seconda colazione. Barbero ci insegna come un'abitudine apparentemente banale sia condizionata da fattori culturali, sociali, economici o ambientali. Se i tedeschi continuano a mangiare alle 11.30, è per via di orari lavorativi molto anticipati. E se in Spagna la sera non si va a tavola prima delle 10, è anche perché la luce dura più a lungo. Poi basta l'osservazione della nostra realtà quotidiana per notare come lo smart working abbia in pochi anni sparigliato le abitudini di colleghi che prima marciavano compatti verso una mensa aziendale. E ora mangiano presto perché poi si tolgono il pensiero. O tardi perché aspettano il figlio da scuola. L'importante (ce lo insegna la storia!) è che un pranzo si faccia, in armonia tra necessità e desideri. E ora chiudo, perché mi chiamano a tavola. Sono le 13.30. Per me in oltre trent'anni è cambiato poco. Di certo mangio meno (ma questa è un'altra storia).
Livia Fagetti,
giugno 2025
Direttrice di Sale&Pepe da aprile 2025, ama l’arte, la lettura e i viaggi almeno quanto adora riunire nella sua casa la famiglia e gli amici, offrendo loro cose buone preparate con cura e allestite con gusto. Cuoca creativa e giornalista curiosa, “mette in tavola” da 25 anni anche le pagine del magazine scegliendo insieme alla redazione le ricette migliori, gli itinerari più affascinanti, le storie del cibo più interessanti da raccontare e i tanti contenuti che animano il giornale e il sito. Golosa di novità, il menu che la rispecchia è confortevole, appetitoso e ha – sempre – quel pizzico di sale e pepe in più che fa la differenza. In cucina come in edicola. @liviafagetti
Direttrice di Sale&Pepe da aprile 2025, ama l’arte, la lettura e i viaggi almeno quanto adora riunire nella sua casa la famiglia e gli amici, offrendo loro cose buone preparate con cura e allestite con gusto. Cuoca creativa e giornalista curiosa, “mette in tavola” da 25 anni anche le pagine del magazine scegliendo insieme alla redazione le ricette migliori, gli itinerari più affascinanti, le storie del cibo più interessanti da raccontare e i tanti contenuti che animano il giornale e il sito. Golosa di novità, il menu che la rispecchia è confortevole, appetitoso e ha – sempre – quel pizzico di sale e pepe in più che fa la differenza. In cucina come in edicola. @liviafagetti