Memoria, arte e tradizioni. Dalle ferite del terremoto alla bellezza ritrovata
Antica e modernissima. Ai margini del grande turismo ma affascinante e maliarda. Profondo Ovest dell’isola e ultimo lembo di terra siciliana prima del grande salto verso l’Africa, la Valle del Belice (siamo in provincia di Trapani) sembra fatta apposta per chi non cerca il già visto. Qui i protagonisti (quasi) assoluti sono i paesaggi spettacolari e, spesso, selvaggi delle oasi naturali, delle distese di dune, delle grotte e delle campagne punteggiate di bagli. Ma la Valle del Belice è anche la destinazione ideale per gli amanti della buona cucina e del berebene. Il territorio è disegnato da uliveti (qui matura la celebre oliva Nocellara del Belice da cui si ricava un EVO da primato) e nelle campagne la presenza di decine di greggi di pecore fa indovinare una grande produzione lattiero-casearia. E, infatti, i mastri casari locali si sono specializzati nella produzione di pecorini, dal primosale allo stagionato, di ricotte (mattatrici nella preparazione di cannoli e cassate) di Vastedda (formaggio a pasta filata, col bollino di Presidio Slow Food). Non è tutto: in Valle sta ripartendo alla grande la coltivazione dei grani antichi - Perciasacchi, Tumminia, Russello, Maiorca- che entrano nella preparazione di pane (il famoso Pane Nero di Castelvetrano, già Presidio Slow Food) e di pasta. Questa, insomma, è una Sicilia che offre il suo tempo rallentato, la sua nicchia di provincia preziosa fuori dal coro, un territorio che assicura scoperte varie e non eventuali: città fenicie, santuari greci, chiese barocche, chilometri di litorali, specialità gastronomiche al top e una matassa di itinerari da districare a piacimento. Uno di questi porta, per esempio, a Selinunte.
Uno di questi porta, per esempio, a Selinunte. La città degli dei (il copyright è dei viaggiatori del Grand Tour) regala uno scenario suggestivo di colonne cadute e di torri, di mura ciclopiche e templi monumentali che si stagliano sullo sfondo di un mare battuto dalle ventate di scirocco. E nel suo Parco Archeologico (per estensione tra i maggiori del Mediterraneo, foto sopra) tra la Collina Orientale e l’Acropoli ci sono centinaia di ulivi, distese di campi di grani antichi e decine di arnie che ospitano la rarissima ape nera. E, quindi, nessuna sorpresa se nel book shop del Parco si trovano in vendita l’EVO dell’Oleificio Centonze, le busiate e gli spaghettoni di Tumminia col brand Molini del Ponte, i mieli di sulla e di eucalipto dell’apicultore Vito Salluzzo.
Dal passato remotissimo al presente sembra un viaggio impossibile, ma qui non lo è. Statali e provinciali, infatti, dopo aver sfiorato campi e vigneti da primato (questo angolo di Sicilia è la regione più visitata d'Europa) raggiungono Gibellina, la new town nata dopo il devastante terremoto del 1968, destinata ad essere nel 2026 la prima Capitale italiana dell'Arte contemporanea. Gibellina è un museo a cielo aperto: negli anni post terremoto, infatti, furono chiamati a raccolta artisti, pittori, scultori, architetti perché si occupassero della ricostruzione. Gli artisti accorsero e concentrarono tra le vie e le piazze installazioni audaci, architetture azzardate, creazioni ardite.
Ecco, allora, la Porta del Belice, una mega stella in acciaio di Pietro Consagra e la Chiesa Sferica di Ludovico Quaroni, il Giardino Segreto di Francesco Venezia che racchiude la facciata della cattedrale terremotata e il Municipio di Vittorio Gregotti e Giuseppe Samonà, la Torre Civica di Alessandro Mendini, le Macchine sceniche di Arnaldo Pomodoro e la Montagna di sale (foto sopra) di Mimmo Paladino. Non è tutto, perché Gibellina custodisce anche due preziosi musei. Uno è il Museo delle Trame Mediterranee dove manufatti del Nord Africa e del Medio Oriente incontrano opere d’arte antica e contemporanea.
E poi c’è il MAC (Museo di Arte Contemporanea) una raccolta di centinaia di lavori, tra dipinti, sculture, grafica, fotografie, bozzetti dei grandi maestri del ‘900 (Schifano, Guttuso, Treccani, Rotella…). Ma è all’ora del tramonto che questo lembo della Valle regala l’emozione intensa di un’opera d’arte unica al mondo. Una strada che si srotola tra colline ricoperte da un fitto disegno di vigneti e uliveti porta, infatti, fino ai ruderi della vecchia Gibellina: sull’altura dove sorgeva il paese giganteggia un’opera di land art, il Grande Cretto di Alberto Burri (foto sopra), un abbagliante sudario di cemento bianco steso sul borgo distrutto.
Tra le piccole capitali della Valle del Belice c’è anche Santa Ninfa pronta a raccontare un frammento di Sicilia che non si arrende mai e dove la natura gioca da protagonista, attraverso itinerari che si sviluppano in un paesaggio che più insolito non si può. È qui che si visita la Riserva Naturale Grotta di Santa Ninfa (foto sopra), una delle attrazioni naturali più affascinanti e scenografiche della Valle del Belice. Chi attraversa questo territorio non sospetta che a qualche metro di profondità l’acqua piovana, per secoli, ha allargato fratture, ampliato spazi, assottigliato strati di roccia. Un lavorio incessante, durato migliaia di anni che ha scolpito nel gesso grotte e doline, colate e colonne, stalattiti oversize e minuscoli cristalli. E poi? Ecco “… un enorme fabbricato, abitato soltanto durante un mese dell’anno da braccianti, muli ed altro bestiame: si era giunti alla fattoria di Rampinzèri”. Così Tomasi di Lampedusa, descrivendo ne Il Gattopardo il viaggio della famiglia Salina, parla di quello che oggi è il Castello di Rampinzeri, in realtà un antico casale saraceno, che nei secoli è stato trasformato fino ad assumere l’aspetto di fortilizio neogotico. E che, oggi, ospita il Museo della Preistoria e il Centro "Esplora-Ambiente" della Riserva Naturale Grotta di Santa Ninfa.
Tra antico e moderno, tra innovazione e tradizione i vigneti, scenografico contorno al Castello (foto sopra), sono il simbolo di una Sicilia rurale che si rifiuta di scomparire sotto il peso dei cambiamenti globali ma che cerca di gestirli. E se i wine lovers del terzo Millennio vanno coccolati, solleticati e sollecitati, le cantine rispondono con proposte insolite e/o inedite da fare tra vigneti e bottaie. “Il turismo enologico - dicono dalle parti di Assovini Sicilia - diventa sempre di più un veicolo per promuovere, oltre al vino di qualità, il territorio, le bellezze paesaggistiche e l’unicità del patrimonio storico-archeologico dell’ isola”.
L’ha capito Angela Maria Biondo, giovanissima Donna del Vino e titolare di Tenute Rapinzeri (foto sopra), una delle cantine emergenti in questo angolo di Sicilia, ad una manciata di chilometri dal Cretto di Burri e dalle opere d'arte, sculture e installazioni nel tessuto urbano della new town di Gibellina.
Giovani e insolite le scelte di Angela che sta lavorando per la completa conversione della sua azienda al biologico e all’ecosostenibile, obiettivi già perseguiti attraverso l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e l’impiego di prodotti ammessi nell’agricoltura biologica. Non è tutto, ovviamente.
In cantina, infatti, matura un Brut da uve Catarratto Lucido (è il primo metodo classico da queste uve realizzato in Sicilia) accanto a produzioni con vitigni tradizionali e internazionali (ci sono anche due metodi classici di Muller Thurgau e di Syrah Rosato). Altra innovazione: le etichette delle bottiglie con il logo dell’azienda sono tattili, a partire dalla carta per arrivare alle scritte che sono anche in braille.
Per i turisti del vino, poi, è stata studiata una serie di proposte esperienziali: degustazioni, certo, ma anche offerte che puntano a valorizzare aspetti diversi della vita nei vigneti: la vendemmia con la famiglia Biondo, i percorsi di trekking, le escursioni a cavallo lungo i filari e all’interno della Riserva Naturale Bosco Finestrelle adiacente ai vigneti.
Come se non bastasse, la cantina, sulla sommità del Monte Finestrelle, regala una vista scenograficamente perfetta sul mare di Selinunte, sulle Egadi e, se il vento è propizio, su Pantelleria.
Storie di resistenza, di speranza e di eterna rinascita, quelle della Valle del Belice. Che parlano di un’isola che sa reinventarsi. Sempre.
Enrico Saravalle,
gennaio 2025
Enrico Saravalle è giornalista di vasta e varia cultura, che ama viaggiare, mangiare e usare mouse e tastiera per raccontare luoghi, esperienze e sapori ad ogni angolo del globo. Quando non è in giro per il mondo si divide tra Milano e la Sicilia.
Enrico Saravalle è giornalista di vasta e varia cultura, che ama viaggiare, mangiare e usare mouse e tastiera per raccontare luoghi, esperienze e sapori ad ogni angolo del globo. Quando non è in giro per il mondo si divide tra Milano e la Sicilia.