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CucinaIl quinto quarto

Il quinto quarto

C' è chi le chiama frattaglie. Chi interiora. Chi, giocando su un paradosso aritmetico, quinto quarto. Sono le parti meno nobili degli animali, originarie dell'Antica Roma e per molti anche molto gustose

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In una qualche cena tra amici, vi sarà sicuramente capitato che qualcuno vi chiedesse: "Ma il fegato alla Veneta vi piace?", possiamo immaginare che in molti abbiate risposto di sì. Ma tutta questione di vocaboli. Diteci un po' se invece del fegato vi avessero detto "vi piacciono le interiora?" Probabilmente in molti avreste esitato a rispondere... Ma questo perchè? Il motivo è che capita a molti di non sapere da cosa sia composta questa particolare categoria alimentare, spesso anche per una scelta di gusti.


Il nome frattaglie, nel gergo comune, interiora, deriva dal participio passato latino del verbo frangere, fractus, cioè tutte le parti piccole e spezzate, ovvero le parti fresche all'interno della carcassa. Un'altro tipico nome è quinto quarto, cioè il "quarto alimentare", inteso come l'insieme dei tagli commestibili che si ricavano dall'animale oltre ai quattro quarti classici in cui viene diviso. Le frattaglie più diffuse sono di manzo, vitello e maiale, anche se, soprattutto nelle cucine regionali, si usano quelle ovine, caprine, equine, di volatili e altri e si dividono in bianche e rosse. Alle prime appartengono: cervella, animelle e le trippe. Le rosse sono invece fegato, milza, rognone, lingua e cuore. Non dimentichiamoci le frattaglie hanno anche dei pregi a livello nutrizionale: hanno un buon contenuto di proteine e ottimo di sali minerali


Usi e cotture


Una volta questi tagli erano destinati a imbandire le tavole dei contadini quindi una cucina sostanzialmente povera, intesa come "cucina di recupero". Oggi però questa è tornata a fare capolino, anzi di più: viene prediletta  dai ristoranti più raffinati che hanno ripreso a raccontarla e a proporla nei loro piatti. Ne è un esempio la robusta cassoeula (costine, cotenna, piedino e orecchie cotte con verza e salsiccia) tipica della "bassa" lombarda, come pure il cassoulet francese (con fagioli), i fegatelli alla toscana, i fagioli con le cotiche laziali. Tutti questi tagli richiedono una grande preparazione oltre che cotture a volte separate e quindi più lunghe: il piedino, ad esempio, va bruciacchiato per eliminare le setole, poi lavato con cura e prelessato prima delle preparazioni in umido. Fegato, animelle, cuore e rene invece vanno scottati ad alta temperatura, in modo che restino croccanti all'esterno e morbide dentro. Trippa, lingua, testina e guance, invece, richiedono sempre lunghe cotture. Le frattaglie di bovino non devono essere surgelate per non alterarne il gusto e la consistenza. Di norma, per la preparazione, basta eliminare i vasi sanguigni e il grasso. Ma alcuni tagli, come il fegato o il rognone, sono rivestiti da una membrana che si contrae durante la cottura e va tolta. In un caso o nell'altro, un bravo macellaio vi consegnerà la parte già pronta per la cottura.


Queste ovviamente sono tutte caratteristiche poco conciliabili con i ritmi della società moderna, per cui il progressivo abbandono dei tagli "minori" è stato inesorabile. Uno di questi che ha raccontato la sua esperienza è Giovanni Tamburini, titolare dell’antica salsamenteria di famiglia, il tempio bolognese della lavorazione del maiale nonché autore con Giovanni Cremonini del volume Maiali si nasce, salami si diventa(Pendragon Editore): Tamburini dice che negli anni '70 la macelleria, questi pezzi li regalava ai clienti. Poi però nel tempo non li hanno più voluti nemmeno gratuitamente. Come spesso succede, però, chi si fa portavoce del recupero dei cibi dimenticati e della loro valorizzazione in chiave innovativa, sono gli chef stellati. Uno di questi è lo chef Giancarlo Pierbellini che da più di dieci anni propone le orecchie di maiale rosolate con dadolata di zucchine e mattonella di piedini fritti su puré di patate all'interno dei suoi ristoranti molto rinomati (Casa Pierbellini - Locanda 4 cuochi - Al Capitan della Cittadella - Tapasotto - Du De Cope - Dolce Locanda a Verona, Locanda Perbellini Bistrot Milano e La Pergola by Perbellini nel Bahrain). Il taglio più ricercato è la guancetta di maiale che è più saporita di quella del bovino. Più scuro di quello di vitello, il fegato di maiale si cucina nello stesso modo, come nella tipica ricetta “alla veneziana”, con le cipolle.


Un’antica tradizione romana 


L’arte culinaria romana era basata su una cucina povera, una cucina fornita di quegli elementi che di solito vengono gettati via. I romani però amavano utilizzare tutto ciò che era commestibile, a partire dalle interiora degli animali. Per preparare le pietanze con questi particolari pezzi venivano utilizzate solo quelli commestibili come la trippa, chiamata dagli osti cuffia, le animelle cioè il pancreas, il fegato e le ghiandole salivari e i "rognoni", ossia i reni delle bestie. Questi ultimi venivano tenuti a scaricare in acqua acidulata con il limone per qualche ora prima di essere adoperati.


La cucina del quinto quarto, costola fondamentale della gastronomia romanesca, nasce proprio all’ombra del mattatoio di Testaccio dove, verso la fine dell’Ottocento, erano i cosiddetti “vaccinari” o “scortichini” coloro che avevano il compito di scuoiare i bovini. Questi operai venivano pagati non in moneta ma proprio col “quinto quarto”, magro compenso per il loro duro lavoro. Le donne di casa e le cuoche delle osterie e taverne usavano questi ingredienti apparentemente poco appetibili per creare ricette succulente e gustose. Ecco allora venire alla luce la mitica coda alla vaccinara, preparata con olio, vino bianco, cipolla, carota, aglio, basilico, sedano, pomodoro, pinoli ed una spolverata di cacao amaro. Da mangiare rigorosamente con le mani, per spolparla bene e riempirsi le mani di sugo

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