A Brescia i casoncelli vengono serviti con burro e salvia, a Bergamo si aggiungono anche listarelle di pancettafritta. Si va poi dalla mezzaluna alla caramella ma ancora più diversificata è la composizione del ripieno. Ecco dove assaggiarli
Nel variegato mondo delle paste ripiene Brescia e Bergamo chiamano le proprie con un nome tutto loro, casoncello. Termine peraltro diffuso, con varianti locali, dall’Ampezzano (casunziei) al Comasco. Malgrado il termine comune le diversità sono molte. Quelle più evidenti stanno nel condimento e nella forma. In linea di principio, a Brescia i casoncelli vengono serviti con burro e salvia, a Bergamo si aggiungono anche listarelle di pancetta fritta. Si va poi dalla sagoma a mezzaluna alla chiusura della pasta a caramella o a cresta di gallo. Ma ancora più diversificata è la composizione del ripieno, che rende praticamente impossibile una geografia esaustiva dei casoncelli bresciani e bergamaschi.
Bisogna comunque riconoscere la comune origine, ossia l’utilizzo degli avanzi di carne o di pane triturati e amalgamati come ripieno della pasta fresca. Dei casoncelli ne parla Teofilo Folengo, misconosciuto gigante della letteratura italiana vissuto a Brescia, tra il lago d’Iseo e il lago di Garda. Nel Baldus, fantasioso romanzo scritto in lingua maccheronica, racconta delle Muse grasse dell’Olimpo intente a banchettare con i casoncelli. Erano i primi anni del Cinquecento. Ma risalirebbe all’XI secolo la prima citazione dei casoncelli, contenuta nel testamento del vescovo Attone e riportata nella seicentesca Historia quadripartita di Bergomo di Frate Celestino da Bergamo. Forse proprio in virtù di queste antiche origini, sotto il termine di casoncello si ritrovano una miriade di varianti.
Va riconosciuta alla Trattoria Antica Stella di Longhena, pochi chilometri a sud del capoluogo, la ricetta che da decenni ha riscritto la storia del casoncello. Nella pasta sottile il giusto, i casoncelli celano un ripieno di pane, formaggio e poca carne. È chiuso a mano tra due ali di pasta, che rende i casoncelli ancora più leggeri. Infatti, benché irrorati da una onesta quantità di burro fuso con qualche fogliolina di salvia qua e là, non risultano per nulla pesanti. Il menu ritorna sempre uguale ogni anno con il cambiare delle stagioni, segno non di ripetitività ma di indiscusso successo da parte di una clientela non solo bresciana. Prima dei casoncelli divertimento assicurato con la carrellata di salumi e, a seguire, carni alla griglia.
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Da una decina d’anni si è sviluppata a Barbariga, nella pianura bresciana, l’arte del casoncello, anche su stimolo dell’amministrazione comunale che ha intravvisto nella pasta ripiena un agevole strumento di comunicazione e sviluppo economico del territorio. Qui l’appuntamento d’obbligo è a metà settembre, con una saga che celebra la pasta ripiena. Durante il resto dell’anno a soddisfare il desiderio di casoncelli c’è la Trattoria Cavallino, piccola, sobria e golosa. Questo è il posto giusto dove provare una verticale di casoncelli: se ne preparano una mezza dozzina di tipologie. Il ripieno ha sempre come base pane e formaggio, la formula originaria, ci dicono. Poi ci sono quelli a cui si aggiunge lonza brasata di maiale e frullata, le biete, la zucca. Si può scegliere una verticale di casoncelli. I curiosi prenotano anche la bariloca, una sorta di risotto arricchito da gallina bollita e funghi chiodini.
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Letteralmente a cinque passi dalla Trattoria Cavallino ci si può fermare all’Antico Stemma. Qui i casoncelli vengono chiusi a mano e hanno forma di caramella. La sfoglia sottile viene ripiegata intorno al ripieno di pane e formaggio grattugiato ai quali vengono aggiunti prosciutto crudo ben rosolato e spinaci. Il tutto si frulla, se ne fanno palline sulle quali viene richiusa la pasta. Il condimento è a base di burro fuso e salvia. Ma come benvenuto ai clienti qui ci si è inventati il casoncello fritto. Non viene gettato quindi in acqua bollente, ma in olio di semi bollente. Da prendere con le mani e farne un unico boccone.
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Il casoncello ha numerose varianti in Valcamonica. In generale, più si va verso nord, più la pasta si ispessisce. E al casoncello vengono affidati altri nomi come a Breno, dove si preparano i calsù: una pasta dove nel ripieno cadono patate (bollite), cotechino, formaggio grattugiato, prezzemolo e un soffritto d’aglio. A Esine si possono provare i casoncelli camuni alla Trattoria Stella, dalla forma a mezzaluna. Gli ingredienti del ripieno sono carne macinata o salsiccia fresca che si fa rosolare, formaggio grattugiato, uova, erbette di stagione sbollentate. La combinazione delle materie prime deve assicurare una buona consistenza. Vanno accompagnati da una fetta di polenta, che si consuma con il burro sul fondo del piatto (trattoriastella.net).
A Irma si viene apposta. In questo che è uno dei più minuscoli Comuni della Lombardia, la sosta alla storica Trattoria Forelli è per chi ha trova ancora il gusto di stare bene in luoghi informali e poco affollati. Cucina ce prevede tagliatele con salmì di selvaggina, arrosti di selvaggina e gli immancabili casoncelli preparati con il ripieno di pane, formaggio grattugiato, prezzemolo e uova da legante. Chi vuole può chiedere un ripieno con aggiunta di speck, che rende il piatto più saporito. La forma del casoncello in questa trattoria è triangolare mentre il condimento non si discosta dalla tradizione più ortodossa: burro fuso e salvia.
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Il nome della trattoria in città bassa invita a sedersi e a non contare il tempo che passa: nulla dev’essere fast e i panini sono il nemico principale della convivialità. Tutto vero. Alla Scagna (sedia in bergamasco, ma a rigor di linguistica andrebbe scritto e pronunciato scagnö) l’ambiente e il pavimento in graniglia richiama ala memoria le case degli anni Cinquanta. E i casoncelli alla bergamasca sono quelli da copione. La pasta che si chiude intorno al ripieno è abbastanza spessa, la chiusura ricorda una caramella e nel centro –tutto fatto a mano- presenta una quasi impercettibile infossatura. Condimento di prassi: burro fuso, salvia e pancetta a cubetti, ben rosolata. Ma è il ripieno che segna la differenza con la vicina Brescia. Qui la pasta di salame e la carne di manzo vengono cotti al forno e poi frullati con amaretti, pera e uvetta sultanina. L’amalgama viene legato con uova e formaggio grattugiato. Il risultato è un casoncello dal gusto vagamente dolciastro.
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Al cospetto di ottime bottiglie da tutto il mondo sono i casoncelli a tenere banco all’Enoteca Fior di Vite ad Almè. Una schiera di signore di una certa età, coordinate dalla nonna dell’attuale proprietario, brasano carne macinata di manzo e maiale, la frullano, pestano amaretti, macinano uva sultanina o fichie secchi in base alla disponibilità, formano il ripieno che chiudono in una striscia rettangolare di pasta con due piccole code ai lati. Pochi minuti in acqua bollente e burro, salvia, pancetta crepitanti versati sopra con aggiunta di formaggio grattugiato. Nella sua (presunta) semplicità, un piatto che fa del locale una tappa d’obbligo. Taglieri di salumi e formaggi, baccalà mantecato con polenta in alternativa (o in aggiunta, se si apre un’altra bottiglia…).
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Più di un secolo di vita per un locale è certezza di serietà e garanzia di buon cibo. La Trattoria Dentella può vantare entrambi con la complicità di materie prime di alto profilo, dai funghi al tartufo nero locale, carni e formaggi. le serate a tema sono il pezzo forte del locale, ma i casoncelli non mancano mai per chi volesse provare la versione della Val Serina. Il profilo della pasta è zigrinato, conferma dell’utilizzo certosino della rotella per tagliare la pasta, piuttosto spessa. All’interno carni e salsiccia che sono stati brasati con sedano, carote, cipolla, spezie. C’è della pera che viene frullata con il resto e il tutto infine si amalgama con formaggio, pane ammorbidito nel latte e uova. La pancetta condisce con burro e salvia la pasta ripiena secondo stretta tradizione.
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Clima e panorama che fanno venire voglia di cibi rinfrancanti e di sostanza a Piani dell’Avaro, comune di Cusio in alta Val Brembana. L’ambiente montano di Ristorobie, a 1700 metri (ma si raggiunge facilmente in automobile), è quello che ci vuole per immergersi nella tradizionale cucina alpigiana. Pasta al ragù di capriolo, gulasch di cervo e polpette di cervo in guazzetto lasciano il segno. C’è da provare la zuppa del carpen (carpino, nomignolo degli abitanti di Cusio), una sorta di lasagna di pane di segale e Formai de Mut dell’Alta Val Brembana DOP bagnata con brodo e ripassata in forno. Il menu cambia spesso, ma i casoncelli sono sempre presenti. Il ripieno si fa con salamella sbriciolata o prosciutto cotto o arrosto (dipende da cosa è disponibile), pane ammollato in brodo, formaggio grattugiato, noci, amaretto, aglio e prezzemolo. La chiusura è a mezzaluna con il classico avvallamento in centro per raccogliere il burro, la pancetta o la salvia fritti.
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Podere Montizzolo è un allevamento di animali da carne, agriturismo e bottega in piena pianura padana, poco distante dal celebre santuario di Caravaggio. Ci si ferma fare la spesa nell’agribottega o per provare ai tavoli dell’agriristoro i salumi e le carni di produzione propria. Da mettere in conto il guanciale brasato con polenta o le carni di manzo alla griglia come secondi. E i casoncelli, che sono sempre presenti in carta e svettano tra i primi. La ricetta prevede che il ripieno sia esclusivamente di carne di maiale brasata e frullata. Il condimento è con burro, salvia e guanciale fritto (poderemontizzolo.it).
Riccardo Lagorio,
novembre 2025